Capitolo 52

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Il giorno dopo lo passai a letto a combattere contro il mal di testa e la nausea.
Soprattutto contro i messaggi di Lorenzo.

Non si dava pace e non credeva, quando gli scrissi la sera prima di andare a dormire, che non mi fossi sentita bene.

Avevo salutato Giulio, ero salita in casa e prima di buttarmi sul letto, con fatica gli avevo scritto: «Ci vediamo un'altra volta. Non sto bene.»
Continuava a dirmi che dovevo dargli un'altra chance, che mi amava, che non poteva dimenticarmi.
Trovai una soluzione: buttai a terra il cellulare, mi girai di lato e mi addormentai.

La domenica pomeriggio passò velocemente e pure la sera.
Il giorno dopo mi svegliai e andai a lavorare. Mi venne da sorridere quando passai accanto al muro con la scritta:
IL LAVORO TI RUBA LA VITA.

Dopo essermi cambiata, andai in reparto, salutai i colleghi e iniziammo a lavorare. Durante la pausa mattiniera scoprii che Alessio era il fratello di Giulio. Mi aveva vista insieme a lui al parchetto. E nel frattempo, gli altri si chiedevano chi fosse stato a fare la scritta sul muro della riseria.

Quando finimmo la pausa, Mosca mi disse di seguirlo. Martinotti mi voleva parlare.
Fui scortata fin davanti al suo ufficio.

Mosca bussò e aprì la porta.
Entrai chiudendomela alle spalle e notai che oltre a Martinotti c'era anche mio padre.
Tutte e due avevano la faccia seria.
Mio padre aveva le narici larghe. Capii che era incazzato nero.
Mi accomodai sulla sedia di fronte a loro.

«Dimmi, c'è qualcosa che non va?» esordì l'ingegnere.
Quella domanda mi stupì però non glielo feci capire.
«No, signore. Va tutto alla grande!» risposi e guardai mio padre negli occhi.
Conoscevo quello sguardo infuriato. E forse iniziavo a capire il motivo.

«Per noi, per me e tuo padre intendo, non va affatto bene. E quindi volevamo capire che cosa ci fosse di così tanto sbagliato. Io ti sto offrendo un posto di lavoro sicuro, uno stipendio assicurato e tu, come mi ripaghi? Imbrattando il muro della MIA riseria?»

Era la prima volta che lo vedevo arrabbiato e fissai la vena grossa che pulsava sul suo collo.

«Non so di che cosa stia parlando» risposi, stringendo le mani sui poggioli della sedia.
«Te lo faccio vedere, allora. Così ti schiarisci le idee.»

Mio padre si era portato la mano nei capelli. Sembrava disperato.
Martinotti voltò il portatile nella mia direzione e fece partire il video.
Si vedeva una persona che imbrattava il muro ma non il viso e nemmeno i capelli. Ero salva.

«Continuo a non capire» dissi con sicurezza.
«Quella persona nel video sei tu! Con che coraggio continui a mentire?»
Martinotti alzò il tono della voce.
Bene, stavo tagliando i ponti anche con lui.
Il cerchio si stava chiudendo.

«Come fa a dire che sono io?»
«Questo motorino a chi appartiene?» e indicò il Ciao.

Ero nella merda!
Mi ero preoccupata di nascondermi bene il viso ma avevo dimenticato un dettaglio importante.

Mi feci piccola piccola sulla sedia, fino a sprofondare, allungando le gambe sotto la scrivania e con un filo di voce, dissi: «Chissà in quanti posseggono un Ciao.»
«Ma porca puttana, la vuoi smettere di dire cazzate? Sei rimasta l'unica persona nel raggio di molti chilometri a possedere quel cazzo di motorino. Vuoi che facciamo lo zoom sulla targa?» esplose mio padre, alzandosi e venendo dalla mia parte.
Mi spostai.
La sua aggressività mi spaventava.

Non avevo scelta, dovevo confessare. Solo che non ci riuscivo. Non ce la faceva proprio.

«Calmati, Luigi. Non c'è bisogno che ti arrabbi così tanto. Abbiamo pensato alla soluzione ed è ciò che più mi interessa. Nella speranza che capisca che non deve più fare queste cose.»
«E sarebbe?» chiesi curiosa.
«Pitturi tutto il muro che circonda la MIA riseria.»
«Tutto il muro?» chiesi sbigottita.
«Sì, tutto il muro.»
«Siamo quasi in inverno e il muro non si asciugherà mai. Diglielo papà! Lo dici sempre anche tu che è meglio farlo in primavera.» lo stavo implorando.
«Ho dato un'occhiata al meteo. Ci sarà il sole per tutta la settimana» rispose Martinotti.

Non avevo scampo.

«Ah, dimenticavo! Lo farai al di fuori dell'orario di lavoro.»
«È un'ingiustizia!»
Misi le mani sul viso e mi trattenni dal piangere.
«No, non è un'ingiustizia, è la giusta punizione. Così la prossima volta ci pensi due volte prima di fare qualche cazzata.»

Lo guardai malissimo.
Guardai malissimo anche mio padre che adesso si era rilassato e aveva l'aria di uno che acconsentiva a tutto ciò che quello stronzo diceva.

Li odiavo.
Con tutta me stessa.
Sarei uscita da quella riseria e gli avrei dato fuoco. Altroché pitturare quel muro di merda.
Mi ero scavata la fossa da sola, come sempre.
A ogni azione corrispondeva una reazione. Karma maledetto!

Mi congedarono dicendo che Mosca mi avrebbe fornito di vernice, rullo, scaletta, qualora non ci arrivassi, per togliere la scritta dal muro.
Uscii dall'ufficio sconfitta e amareggiata.
E tanti cari fottuti saluti alla famiglia Martinotti.

Spazio autrice:
Ehilà, Wattpadiani, come state?
Alla fine, Martinotti si è arrabbiato con Viola per la scritta sul muro.
A quanti sarebbe piaciuto fare la stessa cosa? 😂❤️

ViolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora