Capitolo 38

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La mia vita aveva preso una piega diversa da come me l'ero immaginata.

Il desiderio di studiare era stato sostituito dal lavoro. Passavo troppo tempo dentro a quella fabbrica e quando uscivo mi sentivo troppo stanca per fare gli esercizi di scuola.
Il lavoro risucchiava tutte le mie energie fisiche e psicologiche.
E sta cosa mi dava sui nervi.

Mi dicevo: "studio più tardi", ma era solo una buona scusa per non reagire e mettermi a letto. Sapevo che se fossi andata avanti in questo modo avrei buttato via tutti gli anni passati a studiare clandestinamente. Ma si era aggiunta un'altra cosa più importante: la violenza di Moro. E non potevo fingere che tutto si aggiustasse con una sana dormita.
In questo caso dovevo assolutamente fare qualcosa. E in cuor mio speravo che gli svitati comprendessero la gravità della situazione appena gli avessi spiegato quello che era successo.

Ma quando entrai in casa fui investita dalla rabbia di mio padre.
«Dove cazzo sei andata a finire?»
Mi spaventò a morte e indietreggiando di qualche passo lo guardai stupita.
«Oh, ma sei impazzito?» dissi terrorizzata.

Ma lui non mi ascoltava, era troppo arrabbiato e con voce alterata mi scaricò un sacco di domande: «Perché non sei venuta nell'ufficio di Martinotti? Che cosa ti dice quella testa, eh? Chi ti credi di essere per comportarti in questo modo?»

Le donne della famiglia se ne stavano in cucina a preparare la cena fingendo indifferenza.
Erano d'accordo con lui e non si azzardavano a contraddirlo. Sofia era l'unica che ancora non si era schierata con loro e ingenuamente chiese a mia madre: «Perché papà è arrabbiato con Viola?
Mia madre non le rispose, prese un pennarello sul tavolo della cucina e glielo passò. Lei continuò a disegnare come se non stesse succedendo nulla. Mio fratello era sul divano e sorrideva.

«Non pensavo fosse così importante» dissi evitando di guardarlo in faccia.
Mi faceva paura.
«Tu non pensi mai a un cazzo! E lo sai adesso cosa facciamo? Andiamo a casa di Martinotti.»
«A casa di Martinotti?»
«Sì, a casa sua. Sei stata talmente maleducata a non presentarti in ufficio, che lui, essendo un signore, non si è nemmeno arrabbiato, e ci ha invitati a cena.»
«E per quale motivo dovremmo and...»
«Zitta! Non voglio sentire una sola parola. Adesso ti vai a lavare, ti vesti bene e mi segui senza fiatare. È un ordine» sentenziò mio padre e se ne andò verso camera sua.

Io feci un respiro profondo e fissai Giovanni che continuava a sorridere.
Si voltò e disse a bassa voce: «Ora sono cazzi tuoi!»
Lo mandai al diavolo mentalmente e mi diressi in bagno.

Cosa diavolo doveva dirmi di così importante Martinotti da invitarci a casa sua? pensai,mentre mi spogliavo per entrare in doccia. Ero curiosa ma al tempo stesso provavo diffidenza. Sentivo puzza di fregatura.

Quando finii di fare la doccia andai nello sgabuzzino e cercai di capire cosa intendesse mio padre quando mi disse di vestirmi bene.
Io non possedevo nessun vestito elegante. Il mio armadio era fornito di qualche paio di jeans, tante magliette e altrettante felpe. L'unico mio vestito adatto a qualche cerimonia era quello usato al battesimo di Sofia. Ma era un vestitino estivo e forse era diventato stretto.

Presi un paio di leggins neri, scelsi una maglietta nera e indossai anche la felpa dello stesso colore.
Mi preparavo all'ignoto e il nero lo ritenevo un colore adatto. Come l'umore che stavo provando.

Uscimmo di casa e lo seguii in silenzio.
Mio padre era talmente arrabbiato che non disse nulla riguardo al mio abbigliamento. Sapeva benissimo che non possedevo nessun abito elegante. Lui, invece, si era messo un paio di pantaloni eleganti, una camicia e un maglioncino. Abituata com'ero a vederlo sempre vestito o con la tuta o con la divisa del lavoro, dovetti ammettere a me stessa che stava bene.

Salii in macchina, infilai gli auricolari nel cellulare e schiacciai il tasto play su una canzone che ascoltavo spesso, ultimamente:
Killing in the name dei RATM.
La ritenevo adatta alla situazione.

Mio padre partì e guidò tenendo le braccia in tensione sul volante.
Per tutto il tragitto ascoltai in loop quella canzone.
Mi stavo preparando al peggio.
Chissà che diavolo voleva dirmi, Martinotti.

Spazio autrice:
Ehilà, Wattpadiani, come state?
Cosa vorranno dirle? 🤔❤️

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