Capitolo 28

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Percorsi le vie notturne pensando a quanto vile fosse la madre di Carlo.
Come si fa a reagire in quel modo, facendosi incantare dal profumo dei soldi e dimenticare la parte più importante della situazione, ovvero il proprio figlio?

Quando arrivai nella via di casa, notai in lontananza una figura seduta sul muretto, di fianco all'atrio del condominio. La luce del lampione lo illuminava e io ne fui elettrizzata, quando compresi che era Lorenzo.
Se ne stava seduto e fumava una sigaretta.

La presenza di Lore faceva sembrare quella facciata di cemento un'opera d'arte.
Come lo scatto artistico di una fotografia in bianco e nero.
E io, ogni volta, entravo in quel quadro tridimensionale e dimenticavo ogni mia sfiga.

Fermai il motorino non molto distante da lui. Scesi, tolsi il casco, lo infilai nel manubrio e gli corsi incontro.
Avevo bisogno di un suo abbraccio.
Lui balzò dal muretto e buttò a terra la sigaretta.
Mi buttai tra le sue braccia e iniziai a piangere. Dovevo sfogarmi.

«Fammi vedere il tuo viso» chiese preoccupato.
Alzai di poco la testa e guardandolo negli occhi gli chiesi: «Hai visto la scena dello schiaffo?» 
«Sì. E gliel'ho fatta pagare. Quello stronzo non si deve permettere di metterti le mani addosso. Se si azzarda a farlo un'altra volta, lo ammazzo. Giuro che lo ammazzo.»
«Quindi sei stato tu a ridurlo in quello stato?»
«Dove lo hai visto?»
«All'ospedale. Ho accompagnato Carlo. E mi sa che ha il naso rotto. E quando eravamo lì,
nella sala d'attesa del pronto soccorso, Moro è arrivato con il padre.»

«Mi dispiace solamente di non essere arrivato in tempo» disse, mettendomi le mani tra i capelli.
«E dopo che l'ho preso a pugni, ti ho cercata. Eri sparita. Stavo diventando matto. Ti avrò fatto mille chiamate» concluse, passandomi la mano sul viso.

Mi spostai di pochi centimetri, la guancia mi bruciava.
«Ti fa male?»
«Un po'» risposi, mentre Lore mi sfiorava il viso con le labbra.
«Ora va molto meglio» dissi, mostrando un sorriso.
Lore posò la bocca sulla mia e mi baciò con un'intensità tale che dovetti aggrapparmi a lui per non cadere. Mi sentivo al sicuro con lui. Anche se dentro di me si era aperta una voragine e sentivo che mi sarei potuta perdere. Ero triste, tormentata.
Ero arrivata a pensare che Lore non avesse mantenuto la promessa. Invece, mi aveva trovata, un po' in ritardo, ma comunque ce l'aveva fatta.
Ma il tormento non se n'era andato.

Ci sedemmo sul muretto e guardai la sua mano. Aveva le nocche graffiate.
«Ti sei fatto male?» chiesi prendendogli la mano.
«Non è niente al confronto di quello che ha fatto a te e a Carlo, quell'essere inutile.»
Lore non riusciva a trattenere la rabbia e io nonostante il bruciore alla guancia, sorridevo. Non per quello che aveva fatto Moro, perché
Lorenzo lo odiava tanto quanto me.
E io m'innamoravo ogni giorno di più di lui e la tristezza che provavo forse se ne sarebbe andata.

Gli spiegai ciò che era successo all'ospedale, lo informai sulle parole del padre che aveva avuto nei confronti dell'aggressore di suo figlio e gli dissi ciò che avevo detto al bulletto.
Sapevo di non avere i soldi e nemmeno il potere della famiglia di Moro, ma non accettavo le continue infamie che aveva nei miei confronti e soprattutto dello schiaffo ricevuto. Così chiesi a Lorenzo un favore: «Conosci qualcuno che se ne intende di informatica?»
«Sì, perché?»
«Vorrei scaricare tutti i video della pagina di Mirko Sarti su Youtube. Però, secondo me, dovremmo farlo al più presto. Dopo che ho detto a Moro che l'avrei denunciato, e lo sguardo terrorizzato che mi ha regalato, sono sicura che li farà sparire. Se li scarichiamo,
potrebbero servirmi come prove. Non ho i soldi che ha lui ma ho l'astuzia» dissi.
«Mando subito un messaggio a un amico. Lui è il genio dell'informatica» rispose Lore, che aveva già tirato fuori il cellulare dal giubbotto.

Guardai anch'io il cellulare e notai che era spento.
Ecco perché non avevo sentito nessuna suoneria.

Quando Lore finì di messaggiare con l'amico, mi prese e mi spostò sulle sue gambe.
Ci abbracciammo.
Avevo così tanto bisogno di quell'affetto.
Mi strinsi a lui, chiusi gli occhi e cercai di assaporare ogni attimo di quel momento.

I sentimenti ti legano, ma non devono imprigionarti. E io, che fino adesso avevo conosciuto solo la mia libertà, gli stavo donando il mio cuore.

Quando entrai in casa, mi guardai il viso attraverso lo specchio attaccato al mobile d'entrata.
Avevo quattro ditate di colore viola scuro.
Quel bulletto aveva oltrepassato il limite e lo odiavo con tutta me stessa.

Mi accorsi che c'era qualcuno in cucina. Non avevo voglia di far vedere l'impronta di Moro sul viso a nessuno della mia famiglia.
Tentai di nascondermi la guancia con una ciocca di capelli e quando mi voltai salutai Giovanni: «Ciao» sussurrai.
«Che cazzo hai fatto in faccia?» chiese, mentre chiudeva l'anta del frigorifero.
Avrei dovuto mettermi un passamontagna per coprire quel segno viola, altroché.

«Ho sbattuto la faccia contro un palo della luce» mentii.
Non desideravo dirgli la verità, al momento.
E non desideravo che nessun membro della mia famiglia si mettesse di mezzo.

«Viola, un palo della luce non ti lascia le ditate sul viso. Vuoi farmi fesso?» continuò Giovanni.
No, non volevo, e sapevo benissimo che mio fratello se ne intendeva di botte.

Quando era alle medie lo avevano espulso molte volte per le continue risse. Non era adatto per stare sui banchi di scuola e non sopportava vedere malmenato un suo compagno di classe, così lo difendeva spesso. Non disse mai la verità ai professori e ai loro occhi fu solamente una persona con disturbi comportamentali e di punto in bianco non tornò e andò a lavorare.

«È stato quel tuo amico Lorenzo?» insistette, mentre tiravo fuori i cubetti di ghiaccio dal freezer e li mettevo dentro a un canovaccio.
Lo chiusi e lo appoggiai sulla guancia.
Il contatto del ghiaccio sul viso fu come la parola che avevo imparato nel pomeriggio.
Un ossimoro: il ghiaccio bruciava.

«No, non è stato Lorenzo» risposi sedendomi.
Il rapporto con mio fratello era molto strano. Lui si arrabbiava spesso con me, ma di una cosa ero certa: non si sarebbe mai azzardato a mettermi le mani addosso anche quando poteva sembrare il contrario.
E chiedermi se fosse stato Lore a fare quel gesto, era come se volesse proteggermi.
A suo modo, chiaramente.

«Chiunque sia stato, lo voglio sapere. Perlomeno vorrei sapere se te lo sei meritato» disse Giovanni, mostrandomi un sorriso.
Non ricordo nemmeno di averlo mai visto sorridere, suscettibile com'è sempre stato nei miei confronti.

«Vallo a chiedere al palo della luce» ironizzai.
«Lo farò. Ora vai a letto che è tardi.»
«Vado» dissi alzandomi dalla sedia e poi prima di andarmene, conclusi: «Non dire niente a mamma e papà, non ho voglia di dare spiegazioni a nessuno.»
«Le spiegazioni le devi a me. Ora vai» mi ordinò.
Me ne andai nello sgabuzzino, chiusi la porta, mi buttai sul letto e cercai di dimenticare la serata.

Spazio autrice:
Ehilà, Wattpadiani, come state?
Cosa ne pensate di Lorenzo?
E di Giovanni, il fratello di Viola? ❤️

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