Il mattino seguente iniziai a scontare la mia condanna. Mio padre e mio fratello uscirono di casa molto prima di me. Io feci colazione e me la presi con comodo. Mi sentivo amareggiata.
Infilai una tuta e mi diressi al lavoro.
Quando arrivai davanti alla riseria, notai molte persone che entravano con la macchina.
La sbarra dell'inferno era alzata. Così mi avvicinai al gabbiotto, scesi dal motorino e andai dal portinaio.Fui sollevata nel notare che non c'era nessuno.
Desideravo fare una cosa, prima di entrare all'inferno.
Mi affrettai e tirai fuori dalla sacca un foglio abbastanza grande che avevo preparato la sera precedente. Lo srotolai e lo fermai con delle puntine sopra la finestrella.
Mi allontanai di qualche metro e osservai quella scritta che annunciava:
Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate.Soddisfatta di quella frase così veritiera, notai arrivare Arnaldo. Entrò nel suo gabbiotto.
«Buongiorno» dissi, attraverso la finestrella aperta.
«Ciao» rispose quel vecchietto dalla faccia stropicciata.
«Che ci fai ancora qui?»
«Da oggi lavoro anch'io in questa azienda.»
«Sul serio?»
«Sì.»
Arnaldo mostrò un'espressione stupita.
Io ero tutt'altro che sorpresa. Ero nervosa.
«Può chiamarmi il signor Mosca?» chiesi.
«Subito.»
Attesi qualche minuto.Nel frattempo udii il suono di una sirena. Annunciava l'inizio della pena. E la sbarra dell'entrata dell'inferno si abbassò.
Arnaldo uscì dal suo gabbiotto e mi disse di andare verso gli uffici. Lì mi attendeva Mosca, la mia guida spirituale per le vie dell'inferno.
Salii sul motorino e mi avviai verso gli uffici.Al mio arrivo, notai un signore seduto su una golf car bianca che mi attendeva.
Al posto dell'attrezzatura da golf c'erano dei sacchi in iuta. E al posto della veste lunga e la corona di alloro sulla testa, indossava una tuta blu e scarpe antinfortunistiche.
Quell'uomo non mi trasmise nulla di poetico, e ne fui delusa.Era sulla cinquantina, stempiato, appesantito e per niente espressivo.
«Buongiorno» dissi.
«Ciao. Sei la figlia di Luigi?»
«Sì.»
«Sali.»
Era pure di poche parole.
Quel suo distacco mi gelò.Salii sulla macchina elettrica, mi posizionai al suo fianco e rimasi in silenzio per tutta la gita turistica della riseria.
Fece un percorso elementare, e non servivano molte parole per capire la lavorazione.In quell'azienda si seguiva l'intero ciclo del chicco di riso. Dalla lavorazione del risone, ossia il riso grezzo, alla sbramatura. Dalla trasformazione del riso fino al confezionamento.
Fine della storia.Quando arrivammo al reparto del confezionamento una ragionevole voglia di scappare mi assalì.
Lo schiavismo non è stato abolito, solo ampliato di molti colori, avevo letto un giorno da qualche parte, e lì, in quel dannato reparto, ne ebbi la conferma.Alcuni uomini se ne stavano allineati di fianco a un rullo, distanti qualche metro tra loro. Il rullo sputava fuori sacchetti carichi di riso e appena raggiungevano le postazioni degli operai, questi li chiudevano, schiacciando un pulsante con il piede, che azionava una pressa.
Quello che mi sconvolse più di tutto fu la velocità del rullo. E dei sacchetti che si accumulavano. E di quelle braccia che si muovevano velocemente.
I loro visi erano spenti, indaffarati in quel lavoro noioso, faticoso e per nulla appagante.Nel reparto a fianco c'era un macchinario che insacchettava automaticamente i sacchetti di riso. Sei cilindri automatici giravano a turno riempiendo i sacchetti di dieci chili l'uno. Dopo averli riempiti e chiusi ermeticamente, il macchinario sputava fuori il sacchetto passandolo sul rullo, fino ad allineare cinque sacchetti pronti per essere presi manualmente e posizionati in uno scatolone e appoggiati su un bancale di legno.
Una noia mortale e un'ernia assicurata alla schiena.
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Viola
Romance(COMPLETA) Viola è una ragazza di diciassette anni e ha un unico desiderio: studiare. Solo che non può perché vive insieme alla sua famiglia numerosa ed è costretta ad andare a lavorare nella riseria dove lavorano già il padre e il fratello maggior...