Capitolo 6.

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Dopo la conversazione avvenuta pochi giorni fa con Andrew, dove io accettavo di essere la sua amica di letto, lo evitavo come la peste. Se lo vedevo in giro per i corridoi della scuola cambiavo strada, arrivando molte volte tardi a lezione. Quando Sav mi proponeva di fare uscire a quattro con Cameron e Andrew, mi fingevo malata.

Non sapevo cosa mi fosse preso quel giorno, quando ho accettato quello stupido patto, ma era la cosa che mi sentivo di fare. Ne ero sicura. Ma ora, distesa sul letto di camera mia, tutta la convinzione che avevo stava sfumando man mano.
Era passata una settimana, ed evitarlo senza alcuna spiegazione mi dispiaceva si, ma mi sembrava la cosa più giusta da fare in quel momento. Era venuto anche più volte a casa, ma lo avevo ignorato. Aveva cercato di rintracciarmi in tutti i modi, ma avevo reso cenere ogni suo tentativo.

Sospiro a fondo, girandomi su un fianco. La cosa che mi verrebbe da pensare è qualche malata di mente arriverebbe ad accettare di essere.. l'amante di qualcuno? L'amica di letto? Non sapevo neanche io che etichetta darmi. Mi sentivo sporca dentro, ad aver accettato quel patto. Sapevo che non c'era niente di male, che i rapporti sessuali erano una cosa normale tra due persone, ma non in questo modo. O almeno per me. Non ritenevo normale avere dei rapporti con una persona che non fosse la ragazza o il ragazzo che ami.

Sentii il telefono vibrare nella tasca, ma lo ignorai. Doveva essere per forza lui. Non sapevo come avesse fatto ad ottenere il mio numero, ma il mio primo pensiero andò a Sav.
Ultimamente ignoravo anche lei. Aveva cercato diverse spiegazioni, e mi ero giustificata dicendo che fossi stressata.

Per quanto riguarda Bryan, invece, mi infastidiva ancora. Non mi aveva più toccato neanche con un dito, ma i suoi commenti non erano dei migliori. A scuola, come già sospettavo, avevo la nomina di cornuta dell'anno, e adesso stavo diventando man mano anche la sfigata presa in giro dall'ex. Non lo degnavo neanche di una risposta. Lasciavo che sfogasse la sua rabbia su di me, riempiendomi di insulti.

Due giorni fa ci era andato giù pesante, e Andrew che aveva sentivo, aveva iniziato una discussione con lui, ed io avevo approfittato della situazione che si era creata, svignandomela.

Il telefono vibrò nuovamente nella tasca inferiore dei jeans, e seccata lo presi, leggendo il nome di una mia compagna del corso di letteratura. Che avesse bisogno di appunti?

"Pronto?" Dissi lentamente, portando il telefono all'orecchio.

"Dio Santo Ester, devo arrivare al punto di chiamarti con il telefono di altre persone purché tu mi rivolga la parola?" A quelle parole, il mio cuore perse un battito. Sentivo che fosse ferito e deluso dal mio comportamento, ma non sapevo cosa fare, e scappare e nascondermi erano le cose che mi uscivano meglio. La sua voce mi fece salire i brividi. Rimasi in silenzio. "Io e te dobbiamo parlare." Proseguì. "E non mi interessa se opporrai resistenza, sto venendo a casa tua. E questa volta non sono intenzionato ad andarmene." Riattaccò il telefono, senza aspettare una risposta. Forse sapeva già che non l'avrebbe ricevuta.

Buttai fuori l'aria dai polmoni, non rendendomi neanche conto che stessi trattenendo il respiro. E ora come avrei dovuto comportarmi? Avrei dovuto far finta di niente, o dirgli come realmente mi sentivo? Non mi mossi dalla posizione in cui ero, ma il campanello mi fece girare la testa verso la porta di camera mia. Riportai lo sguardo sul soffitto. Il campanello suonò di nuovo. Sospirai. "Vai via, Andrew." Sussurrai.

Mi strinsi il telefono al petto. Il campanello suonò nuovamente. E poi ancora, e ancora. Quando non sopportai più quel suono tremendamente fastidioso mi alzai dal letto, lanciando il telefono su esso. Scesi le scale di fretta, spalancando poi la porta. Mi pentii di quello che avevo fatto quando me lo ritrovai di fronte. I suoi occhi chiari mi studiavano con curiosità, mista a risentimento.

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