Capitolo 16.

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Dopo quella conversazione con Ilary, non mi ero presentata a scuola per due giorni consecutivi. Non ero pronta ad affrontare un cambiamento così drastico, non ancora. Non sopportavo di girare per i corridoi senza avere Savannah al mio fianco, vedendo Andrew e sentire le lacrime agli occhi.
Non ero ancora pronta.

Come avevo sempre fatto, al posto di affrontare le situazione, mi nascondevo. Passavo il tempo chiusa nella mi stanza inondata da cibo calorico e il mio fidato computer, avvolta sotto le coperte. Non avevo ancora aperto il telefono per controllare possibili messaggi o chiamate. Non volevo leggere i loro nomi.
Non ero pronta. Non ancora.

"Sorellina?" La testa di Ilary sbucò dalla porta, facendo fermare la mia bocca dal masticare delle patatine al pomodoro. "Mh?" Mormorai, tenendo le labbra serrate. "C'è una visita per te." Mi fece un cenno con la testa verso il piano inferiore. "Chi è?"
"Non lo so, sono tre ragazzi. Anche molto carini, aggiungerei dire. Specialmente uno." Si leccò le labbra, sognando ad occhi aperti.

Alzai gli occhi al cielo a quella affermazione. "Dammi il tempo di darmi una sistemata e arrivo." Sospirai.

Non avevo idea di chi potesse essere, ma non nego il fatto che la mia mente andò pensare ad Andrew, Savannah e qualcun altro. Idea che però sfumò subito. Per prima cosa, erano tre ragazzi. E Savannah era una ragazza. In secondo luogo, sapevano che non sarebbe stato piacevole per me ritrovarmeli a casa mia.

Sospirai nuovamente, alzandomi dal letto. Tolsi il pantalone di tuta grigio - più grande di me di almeno due taglie - e il maglioncino bianco abbastanza largo. Indossai un pantalone di tuta nero ed una canotta del medesimo colore, con una felpa grigia sulle spalle. Tolsi il - ormai disordinato - chignon dalla testa che ondeggiava in ogni direzione a suo piacimento. Pettinai i capelli, indossando le mie calde pantofole pelose bianche.

Scesi di corsa le scale, andando verso il punto in cui provenivano quelle voci. "Est!" La voce calda di Paul mi riempì il cuore, e lo strinsi a me in un abbraccio, al quale si aggiunsero anche i due muscolosi Roy e Edward. "Abbiamo saputo quanto successo." Sussurra Roy. "Ci dispiace. Non ce lo aspettavamo.. insomma, dal modo in cui ti guardava Andrew sembrava tutta un'altra cosa."
"Non nominarlo." Lo pregai. "Non ho ancora assimilato del tutto la cosa, preferirei evitare il discorso."

Dal modo in cui ti guardava sembrava tutta un'altra cosa. Questa frase mi era stata già detto, quando avevo visto Bryan baciare un'altra, e lo avevo detto a mia madre.
Non riuscivo a capacitarmi del fatto che fosse successo per la seconda volta. Per la seconda volta, nel giro di pochi mesi, ero stata presa nuovamente in giro. Ero stata umiliata, tradita, e trattata come una nullità. Poi però, una domanda bloccò ogni mio pensiero. Come facevano a saperlo? Andrew aveva già messo fine alla sua scommessa?

"Come fate a saperlo?"
"Avevamo chiesto a Savannah di te, non ti vedevamo più in giro." Iniziò Roy. "Ma lei ci ha detto che non ti stava sentendo, perché la ignoravi. Così abbiamo iniziato a preoccuparci, finché non ci è giunta voce da Matt - un ragazzo della squadra di football - della scommessa. Kimberly aveva già messo in giro la voce." Si intromise Edward. "Andrew quando lo ha scoperto ha dato di matto." Continuò Paul. "Aveva smentito ogni voce, dicendo che tra voi era finita perché avevate capito che non eravate fatti per stare insieme. Ha preso a pugni ogni ragazzo che provasse a dire qualcosa a riguardo." Strabuzzai gli occhi. "Poi è andato da Kimberly." Sospirò Paul. "L'ha fatta a pezzi. A parole, intendo. È tornata a casa in lacrime, chiudendosi nella sua stanza."

Il mio cervello aveva ricevuto troppe informazioni in una volta, e si era improvvisamente fermato. Una piccola speranza, in un angolo del mio cuore, si era accesa. Forse anche per Andrew non era solo del sesso, forse anche lui provava le cose che provavo io. Ma poi, i ricordi, presero il sopravvento. Ogni volta, ogni singola volta, che ero con Andrew mi tormentava la mente. Che fossimo soli, in compagnia, che fossimo in momenti intimi, che stessimo ridendo insieme. Ogni singola emozione che provavo nei suoi confronti mi stava devastando. Sia mentalmente, che fisicamente.

"Il gesto di Andrew è stato carino." Mi girai verso Ilary, appoggiata alla mensola della cucina. "Ma questo non giustifica che è stato uno stronzo nei tuoi confronti." Mi puntò un dito contro, avvicinandosi a me mantenendo il suo sguardo fisso nel mio. "Questa Kimberly, invece, sembra non sia soddisfatta dalla sua vita. E per farlo si rifugia nel rovinare la vita degli altri."

"Fondo di verità." Sussurrò Paul, e ci girammo in sua direzione. "Non avrei mai pensato di dirlo a qualcuno, Kimberly mi ucciderebbe." Sospirò, accarezzandosi i capelli con il palmo della mano destra. "È stata adottata. Sin dal primo momento che è arrivata in quella casa, l'ho considerata mia sorella, ma lei no. Non considerava, quella casa, casa sua. Odiava di essere stata adottata. Odiava il fatto di essere stata adottata da una famiglia che non fosse la sua, quella di sangue. Ha così odio dentro che lo riversa sugli altri, non pensando al male che potrebbe causare. Pensa solo al male che hanno causato a lei." Sbattei le palpebre più volte, incredula su quello che le mie orecchie avevano sentito. "Andrew era l'unico a saperlo, e aveva aiutato Kimberly ad ambientarsi sin dal primo momento, per questo sono così legati." Si strinse nelle spalle, mentre elaboravo tutto quello che mi era stato detto fino a quel momento. Mi stava veramente per scoppiare la testa. "Non è una cosa genuina quella che sta facendo tua sorella." Parla Ilary. "Dovrebbe cercare di dimenticare il passato, e vivere il suo presente. Dovrebbe ripulire la sua anima, farsi nuovi amici, essere più se stessa. Non allontanare tutti, chiudendosi nella sua bolla. Non le fa bene."

Notai la complicità che c'era tra Paul e mi sorella, e pensai se , il ragazzo che avesse notato prima, non fosse proprio lui. Sorrisi leggermente a quel pensiero. "Andrew non voleva ferirti." Mi Sussurra Edward. Mi girai a guardarlo, incastrando i miei occhi in quelle pozze scure e profonde. "Se Andrew sapesse ciò che sto per dirti, mi ammazzerebbe. Letteralmente." Deglutii, sentendo i battiti aumentare. "Non voglio saperlo." La mia bocca agì da sola, facendo comparire un'espressione confusa sul viso di Edward. "Se riguarda Andrew, voglio sia lui a dirmelo. Sempre se glielo permetterò."

Sentii suonare il campanello, e guardai allarmata Ilary. "Vado io." Mi sorrise, e rilassai le spalle tese. Tornò pochi istanti più tardi, affiancato da Cole. Non appena vidi il suo volto, la mia mente andò a pensare a Savannah. Stavo diventato completamente pazza. "Ehi." Mi sorrise, venendo in contro. Mi lasciò un tenero bacio sulla guancia, mentre i ragazzi studiavano ogni suo movimento. Gli sorrisi a labbra strette, accennando un saluto con la mano. "Come stai?"
"Bene." Sussurrai, cercando di convincere anche me stessa. "Possiamo parlare?" Mi domandò, mordendosi il labbro inferiore. Annuii con forza e più volte, uscendo nella veranda di casa mia. Ci sedemmo sulla panchina posta contro il muro, mentre il vento iniziò accarezzarmi il viso.

Per tutto il tempo che ero rimasta chiusa in camera mia mi ero dimenticata di quanto fosse piacevole stare all'aria aperta.

"Mi dispiace." Girai il viso verso Cole, guardandola confusa. "Per quello che ti hanno causato, intendo." Mi sorrise debolmente. "Ho saputo che anche Savannah ha partecipato a questa specie di scherzo uscito male, e in veste di fratello maggiore, mi sento in dovere di chiederti scusa da parte sua. È stato davvero stupido." Abbassai lo sguardo, alzando gli angoli delle labbra verso l'alto. "Non te lo meritavi." Sussurrò infine, spingendomi contro il suo petto, stringendomi in un abbraccio. Strinsi le mie braccia intorno al suo busto, respirando il suo forte profumo maschile. "Mi passerà." Cercai - per quanto possibile - di stringermi nelle spalle, serrando le labbra.

"Sono molto bravo a consolare le persone, sai?" Disse, accarezzandomi la schiena. "Oh, ti sbagli. Quando mi sono sbucciata il ginocchio a otto anni non eri stato per niente bravo! Avevi detto che avrei potuto essermi rotta il ginocchio!" Mi staccai da lui, tirandogli un pugno amichevole sul braccio. Dalle sia labbra si espanse una risata vera, che contagiò anche me.

Dopo tre giorni di facce serie e pianti, stavo veramente ridendo. E non solo per far credere a mia madre che stavo bene, ma perché era veramente così. "Grazie." Sussurrai, mettendo in mostra un sorriso sul mio viso, mentre abbassavo lo sguardo.
"Per cosa?"
"Per avermi tirato su il morale." Mi ritrovai nuovamente contro il suo petto, e mi trascinò di forza sulle sue gambe, stringendomi forte a lui. Gli cinsi il collo con le braccia, poggiando la testa sulle spalle. "Te lo avevo detto che ero bravo a consolare." Sussurrò, lasciando poi spazio ad un silenzio piacevole.

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