Capitolo Nove

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Panico.
Fabrizio si trovava completamente nel panico. Non sapeva come si era cacciato in quella situazione. O meglio, lo sapeva. I sensi di colpa lo avevano spinto ad accettare di aiutare il riccio nonostante lui avesse completamente chiuso con la musica.

(22:14) Giada. Ho fatto un casino. FM

Era l'unica che sapeva tutto. L'unica che lo poteva aiutare.
Nemmeno i suoi fratelli.
Sì, sapevano cos'era successo, ma non tutti i particolari, né cosa aveva provato lui.

(22:19) Ti sei fatto cacciare? GD

(22:21) Peggio. FM

(22:21) ? GD

(22:24) Te posso chiamà? FM

(22:25) Metto a letto Luca e ti chiamo io. GD

Sembravano minuti interminabili. Non poteva farcela. Continuava a chiedersi quale fosse il suo problema, come mai avesse accettato, perché ora si ritrovava con le spalle al muro e non sapeva come uscirne. Fissava il telefono sperando iniziasse a suonare da un momento all'altro. Sapeva che se Luca non era stanco avrebbe faticato ad addormentarsi, ma il panico non riusciva a dargli tregua e aveva bisogno di quella chiamata. Andava avanti e indietro per la stanza cercando di scaricare il nervosismo, ma la situazione non migliorava.
Aveva chiuso la porta a chiave, come se lo facesse stare più tranquillo.

Non sapeva quanto era passato quando il telefono aveva squillato, ma si era affrettato a rispondere <<Giada!>>
<<Che hai combinato?>> aveva chiesto la donna con tono apprensivo. <<Ermal m'ha chiesto d'aiutallo a comporre 'na canzone. J'ho detto de sì, perché me sentivo in colpa pe' la mano.>> L'aveva detto tutto d'un fiato, come se avesse paura anche solo a dirlo. <<Il casino sarebbe?>> Giada lo sapeva qual era il problema, lo sapeva eccome visto che si erano conosciuti in quel periodo, ma sapeva anche che doveva essere lui a dire qual era il casino perché altrimenti gli anni di terapia sarebbero stati vani. <<Non suono da quanno… 'o sai da quanno, Giada>>
<<Lo so. Ma devi comunque dirlo>>  
<<Giada, nun chiamavo te se dovevo dillo>> l'aveva detto quasi spazientito, Giada lo sapeva che non ne voleva parlare. L'aveva chiamata apposta per non parlare.  <<Va bene. Cosa dovresti fare?>> aveva sospirato perché sapeva che altrimenti non sarebbero arrivati da nessuna parte con quella chiamata. <<Devo aiutallo a comporre. Lui me dice che fa' e io lo faccio. Deve consegna'  'na  canzone pe' venerdì>>
<<Okay, quindi non lo fai tu?>>
<<Me limito a sonà>> l'aveva quasi sussurrato, più per la paura di farlo che altro. <<È come se suonassi ai bimbi, allora. Prova a pensare che sia così>> Fabrizio si era passato una mano sul viso per asciugarsi le lacrime che gli erano scese mentre riaffiorano i ricordi. Erano passati nove anni, ma ogni volta era come una pugnalata.
Allo stesso, identico, modo.

*

<<Avevo detto un do, Fabrizio>> il moro stava fissando un punto indefinito sul muro, con la chitarra appoggiata sulle gambe pronto a fare quello che Ermal gli diceva. Peccato che era completamente assente, per quello il riccio lo aveva richiamato di nuovo.
<<Fabrizio mi stai ascoltando?>> Aveva ripreso a prestare attenzione, solo dopo quella frase, o almeno ci aveva provato. <<Sì, un sol. Mo t'o faccio>> aveva detto mentre sistemava le dita sulla chitarra. <<Un do>> l'aveva interrotto il più piccolo senza lasciarlo finire. Fabrizio aveva preso un respiro profondo prima di prendere a suonare. Ermal l'aveva richiamato poco dopo <<Quello è un re. Sei sicuro di saperla suonare?>> era perplesso e non ne stavano cavando un ragno dal buco. A dire la verità Ermal stava anche iniziando a spazientirsi. Se andavano avanti così, per venerdì, non avrebbe avuto pronta nemmeno una strofa.
Fabrizio nemmeno lo aveva guardato negli occhi, non ce la faceva. Aveva spostato la chitarra per metterla sul divano, si era alzato e aveva bisbigliato un <<Devo anda' ar bagno>> ed era scappato di lì, lasciando Ermal a cercare di capire quale fosse il problema.

Così sfuggenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora