Capitolo 11

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"Lies in disguise in the name of trust
Put your head in the sand, it will turn to dust
What's your problem? What's your curse?
Won't it make the matter worse ?
In my head...
And they say faith can move mountains
Fire can cleanse your soul
Faith can move mountains
But mind over matter won't stop all your chatter"

La voce di Roland Orzabal usciva a tutto volume dalle cuffie di Hazel che, distesa sul letto, cercava di svuotare la mente. Gli ultimi cinque giorni erano stati troppo densi di avvenimenti, troppo complicati, e lei era cambiata troppo perché il suo cervello riuscisse a restare al passo.

Quando era tornata in hotel, quella sera, si era fatta una lunga doccia tiepida e aveva ordinato il servizio in camera. Aveva solo sbocconcellato la cena, però: aveva scoperto, non senza un certo fastidio, che starsene con le mani in mano permetteva ai suoi pensieri di correre industurbati.

Naturalmente Crowley era il motivo principale delle sue preoccupazioni. La facilità con cui era riuscito a far crollare tutte le sue certezze era impressionante. Era colpa sua se aveva deciso di rivolgersi ad Azraphel per ricordare, colpa sua se si era sottoposta a quella stupida idea di rivivere il suo passato da angelo.

Era colpa sua se adesso si sentiva così. Lo odiava.

Una parte di lei, tuttavia, ne era innegabilmente attratta. La spiegazione più logica è che fosse Aziel, che si svegliava sempre di più dentro di lei, a ricordarle il legame che aveva avuto un tempo con quel demone. Non era lei, a provare quelle emozioni, era il suo passato.

Questo lo poteva controllare.

Hazel era talmente concentrata sulle parole della canzone - che, sfortunatamente, non le erano affatto di conforto - da non accorgersi del rumore simile ad uno schiocco che si udì risuonare nella sua stanza, e aveva gli occhi troppo serrati dietro agli occhiali da sole per rendersi conto del lampo di luce rossastra che lo seguì.

- Bene, bene... cosa abbiamo qui? - disse una voce melliflua da un angolo accanto alla porta.

La voce apparteneva a un demone dalla pelle olivastra, con corti capelli neri ed escrescenze simili a pustole sparse su tutta la - altrimenti piuttosto affascinante - faccia. Il demone si chiamava Orias, ed era nientemeno che un Marchese Infernale.

Hazel scattò in piedi, sentendo una potenza ultraterrena insolitamente forte a pochi passi da sé, e si trovò faccia a faccia con Orias che si leccava le labbra con espressione da predatore. I suoi occhi interamente neri brillavano nella penombra della stanza come costellazioni dimenticate.

- Cosa vuoi, Oriax? - domandò la ragazza, che non conosceva il demone di persona, o almeno così credeva, e aveva pronunciato il suo nome alla maniera degli antichi. Lui le sorrise, i lunghi canini che spuntavano fra le labbra sottili, e fece un altro passo avanti.

- Perché non mi chiami Hellboy?

Hazel deglutì a vuoto, riuscendo perfettamente a percepire le intenzioni tutt'altro che amichevoli del suo ex-informatore. Istintivamente si guardò intorno in cerca di un'arma in grado di ferire, o perlomeno rallentare, un Marchese Infernale. Ovviamente nella stanza d'albergo non ce n'era nessuna, nemmeno un crocifisso piccino picciò da lanciargli addosso.

Si voltò verso il suo interlocutore.

- E... uhm... a cosa devo la tua visita, Hellboy? - temporeggiò, cercando di suonare incoraggiante. Orias inclinò il capo, senza smettere di sogghignare.

Crowley aveva deciso di fermarsi da Azraphel in biblioteca per distrarsi e magari sbronzarsi un altro po': ancora si stava domandando cosa accidenti gli fosse preso. Mettere dei dubbi ad Hazel era un conto, si disse, mettere dei dubbi ad Hazel riguardo al loro rapporto era ben altra cosa.

The Future That Wasn't | CompletaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora