Ugarit[3/3]

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Il giorno successivo si alzarono molto prima che il sole sorgesse e fecero una colazione frugale, a base di latte di capra e di una zuppa di ceci, yogurt e burro. Prima di uscire dalla città, si fermarono a una bottega e Tyrron comprò del tè.

Nemeria passò il tempo a combattere con il sonno. Una parte di lei non voleva perdersi neanche un istante di quel viaggio, ma ce n’era un’altra, quella più vicina all’anima di Batuffolo, che la teneva distesa sul materasso a guardare lo spicchio di cielo visibile dalla finestra della carrozza. Riuscì a riprendersi solo poco dopo pranzo, quando si fermarono a un’oasi per sgranchire le gambe e dare modo ai cavalli di abbeverarsi.

All’ombra delle palme era stato allestito un grande mercato, soprattutto di frutta fresca. C’era un gran vociare che, però, non spaventava gli animali. Nemeria intravide anche una famiglia di gatti nascosta sotto una bancarella. Pagò due albicocche e un melograno e camminò fino a una lingua di sabbia isolata. Si tolse le scarpe e si perse a guardare Batuffolo che saltellava nell’acqua, sollevando una pioggia disordinata di schizzi intorno a sé. Il cielo si specchiava nel lago e i raggi del sole ne imbiancavano la superficie con riflessi abbacinanti. In lontananza, una carovana; a pochi passi il cinguettio degli uccelli tra le fronde; tra le dita e sulla bocca il sapore dolce della frutta.

Nemeria inspirò a fondo e si abbandonò distesa a occhi chiusi. Sarebbe stato perfetto se Noriko fosse stata al suo fianco. Le avrebbe potuto raccontare di quando si accampava nelle oasi con la sua tribù e di quanto si divertiva a fingere di volare sotto il battito d’ali degli uccelli. Erano cose che sapeva già, ma gliele avrebbe ripetute guardando l’azzurro intenso e pulito del cielo con il cuore perso nel passato. Lo avrebbe fatto, se fosse stata ancora sua amica. Dopo quel bacio, non sapeva come definirla. Il dubbio bruciava più del sale su una ferita.

Nel pomeriggio, si inoltrarono fra quelle che Nemeria pensò fossero montagne. Erano molto più basse della maggior parte di quelle che aveva visto durante i suoi viaggi, ma il terreno era compatto e anche la strada s’inclinava verso l’alto. Incontrarono anche una carovana di sha’ir. Non scambiarono mezza parola con loro, se non sul far della sera, quando si fermarono in una stazione di posta. Il locandiere li accolse con la calorosità di un vecchio amico e li invitò a fare come a fossero a casa loro. E così fecero.

I primi a finire di mangiare cominciarono a suonare e a ballare sul palco che i camerieri avevano allestito in fretta e furia con i tavoli più robusti. Scandivano il ritmo soprattutto coi piedi, e le loro canzoni, anche dove il suono dei flauti e dei tamburi soverchiava quello della voce, erano piene di allegria. Nemeria non sapeva di cosa parlassero, se stessero festeggiando un matrimonio o scacciando la tristezza per un lutto, ma si augurò che il loro cuore fosse colmo di gioia.

Nel primo pomeriggio del giorno seguente, varcarono le mura di Antaradus. Lasciarono la carrozza in custodia al cocchiere e si diressero a piedi al porto. Nemeria rimase impressionata dalla sua grandezza e da quanta gente ci fosse. I moli erano tanti e fendevano il mare come le dita della mano di un gigante. E davanti all’entrata del porto, dove le braccia dei frangiflutti quasi si toccavano, si ergeva la statua di Mahendra. Lo forma più gentile di Revati fissava l’orizzonte nelle vesti di un giovane dalla chioma selvaggia. Le squame, incastonate nella pelle blu, erano iridescenti sotto la luce del sole.

Si imbarcarono su una galea e presero il largo quasi subito. A bordo, oltre ai marinai, c’erano anche altri passeggeri che, per sfuggire alla calura, ben presto si rifugiarono sottocoperta. Nemeria, invece, si appoggiò alla balaustra sul lato della nave e respirò l’aria salmastra. Erano passati anni da quando aveva visto il mare l’ultima volta e l’odore di salsedine era più intenso di quanto ricordasse. Se Rakshaan fosse stato lì con lei, si sarebbe buttato in acqua, tra pesci e meduse. Hediye avrebbe riso ed Etheram si sarebbe distratta giusto il tempo di un’occhiata. Gli altri membri della sua tribù sarebbero stati troppo occupati a guardare i marinai che ronzavano agli ordini del capitano.

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