9. Nella tana col lupo

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Odiavo le cene organizzate da mia madre e da mio padre, erano noiose e tremendamente formali. Dovevo sorridere alle battute e annuire alle citazioni che venivano fatte durante il rinfresco, la difficoltà stava nel capire la differenza.

Mentre gli ospiti si congratulavano con mia madre per quanto fossi educata e bella io mi limitavo a sorridere. Mio padre invece si dilettava mostrando i vini che possedeva spiegando l'intero procedimento che nelle viti svolgevano per produrlo. Per qualche ragione chi lo ascoltava rimaneva incantato dalla sua dialettica ricercata.

<<Signora Mantle>>. Dissi accennando un sorriso. La donna appena mi vide si illuminò.

<<Britney, come stai tesoro?>>. Chiese, cordialmente. Le risposi allo stesso modo dialogando con lei animatamante, come se fosse stata la mia migliore amica.
Alle sue spalle vicino al divano c'era il figlio, intendo a guardare le foto sul camino di casa. Reggie conosceva a memoria la disposizione delle cornici ma tutte le volte si divertiva ad osservarle di nuovo.

<<Sei sul piede di guerra?>>. Mi sussurrò all'orecchio. Quasi non feci cadere il piatto di pietanze che stavo riempiendo.

Lo guardai male tornando a riempiere il piatto di salatini. <<Non lo sono>>. Risposi scrutando la varietà di cibi presenti sul tavolo, un hamburger sarebbe stato gradito ma mi accontentai del salmone affumicato.

<<Amici?>>. Domandò ad un tratto sottrando dal mio piatto una tartina. La mangiò di fronte a me, vittorioso.

Lo guardai per un istante non potendo fare a meno di ridere. <<Amici>>. Confermai, divertita. Non tutto il male accadeva per nuocere, in Reggie avrei potuto trovare un buon amico e alleato. Infondo quando stavamo insieme sembravamo più un fratello e una sorella che una coppia.

Camminavo per il lungo corridoi di casa in direzione del bagno. <<Non ho tempo per questo>>. Disse mio padre suonando al quando seccato. La porta del suo studio era leggermente aperta, cosa che mi invogliò ad origliare.
Quando usava quella voce due erano le ipotesi: la prima era che stesse parlando con il ministro degli esteri, persona con la quale non andava d'accordo, o qualcuno lo stava annoiando. Dato che nei giorni festivi non riceveva mai telefondate dal ministro degli esteri sicuramente qualcuno o qualcosa lo annoiava.

<<Lorenz ho bisogno del tuo appoggio se dovesse andare storto qualcosa>>. Riconobbi la voce di Hiram Lodge, il padre di Veronica. Quell'uomo mi metteva i brividi e non ero la sola a cui faceva paura.

<<Hiram, ascoltami bene>>. Iniziò mio padre con tono neutro. <<Non ti ho mai negato il mio sostegno legale. Se qualcosa andasse storto puoi contare su di me, ma non voglio essere incluso nel progetto. Un avvocato associato a questo ha vita breve>>. Concluse con una sua frase ad effetto. Il loro scambio di frasi mi aveva confuso e forse non sarei neanche dovuta essere lì in quel momento.

Decisi di allontanarmi senza fare rumore e andare in bagno. Mi specchiai all'enorme specchio appeso alla parete. Il trucco leggero copriva le mie imperfezioni nascondendo i piccoli segni dell'adolescenza.

La vibrazione del cellulare mi riportò alla vita reale. Aggrottai la fronte alla vista di quel messaggio, confusa. Avrei dovuto sapere che fosse nei guai. Con una scusa uscii di casa, non fu semplice comvincere mia madre ma in qualche modo l'avevo persuasa. Camminai veloce trovandomi dopo qualche minuto a casa di mio zio. La macchina non era parcheggiata nel vialetto, segno che erano usciti.
Suonai il campanello più volte, ero agitata.

<<Britney, sei tu>>. Disse mio cugino.

Lo evitai entrando in casa. <<Quanto vi deve?>>. Arrivai subito al dunque fronteggiando i due uomini appoggiati al muro. Mi guardarono divertiti, non mi avevano preso sul serio ma io pretendevo una risposta in fretta.

<<Più di quanto immagini>>. Mi rispose Malacai apparendo dal salotto. Si gingillava con una statuetta di ceramica che riconobbi essere della vetrina.

<<Ho chiesto quanto>>. Continuai, fredda. Lo fronteggiavo bene nonostante dentro di me avessi paura e non fossi più così sicura di me. Sorrise scrutandomi a fondo. Il suo sguardo vagava sul mio corpo e mi dovetti trattenere per non colpirlo sul naso.

Si spostò più vicino e poi sussurrò al mio orecchio. <<Diecimila dollari>>. A quella cifra il sangue mi si gelò nelle vene, erano tanti soldi e una cifra a cui non potevo arrivare. <<Il nostro Adam si è divertito parecchio>>. Aggiunse prendendosi gioco di mio cugino che rimase in silenzio.

<<Posso pagare>>. Dissi cercando di mantenere una voce ferma. Si avvicinò di più a me accarezzandomi la pelle scoperta delle scapole. Il suo tocco mi fece rabbrividire, era freddo. Sentivo il respiro di Malacai sul mio collo.

<<Sarebbe troppo facile>>. Rise allontanandosi da me continuando a muovere nelle sue mani la statuetta, tranquillo. Cosa voleva da me?

It's complicated | Sweet pea ✓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora