Capitolo 7

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"Cavolo, che mal di testa atroce. Ricordo poco e niente di stanotte." esclamo entrando in cucina.
"Idem." affermano all'unisono le mie due amiche.
"Credo di aver incontrato qualcuno ieri, ma non ricordo chi fosse." dico mangiando la brioche.
"Logico! Era una festa, chissà quante persone avrai incontrato." mi fa notare Elisa.
"Lo so, ma..." lascio in sospeso non sapendo cos'altro aggiungere.
"Va bene, cambiamo argomento. Tua madre ha chiamato poco prima che ti svegliassi e ha detto di tornare a casa per pranzo. È quasi mezzogiorno, quindi dovresti darti una mossa."
"Come faccio ad arrivare in tempo se sono a piedi?" quasi urlo in preda al panico: mia madre odia il ritardo!
"Dovrai correre." propone Beatrice con un grande sorriso sulle labbra.
Mi fiondo in camera e raccolgo le mie cose, poi torno in sala e saluto le mie amiche frettolosamente.
Più cerco di sforzarmi nel ricordare quello che ho fatto ieri, più il mal di testa aumenta e ricordi si allontanano.
Come diavolo è possibile rimuovere i ricordi della sera precedente?
Spero di aver incontrato Riccardo e di avergliene dette di tutti i colori.
Ma forse è meglio di no, non si può mai sapere cosa una Giorgia ubriaca possa combinare con un figo del genere, e senza nessuno a fermarla.
Arrivo finalmente al grande condominio in cui abito e con un gesto veloce, spingo il citofono di casa, sperando che mia madre non sia di cattivo umore.
Saluto la vecchia signora che annaffia, quasi ogni mattina, le piante sul pianerottolo e premo il pulsante rosso dell'ascensore.
Trovo la porta d'ingresso aperta, quindi entro e appendo la giaccia nell'armadietto alla mia sinistra.
"Giorgia." sibila una voce fin troppo conosciuta.
"Perché sei qui?" evito il suo sguardo.
Veniamo interrotti da mia madre che mi urla di entrare e andare in camera a metterla in ordine.
"Riccardo va' con lei, magari le dai una mano a sistemare." sorride in fine.
Ma come le viene in mente?!
La guardo male, e in silenzio vado verso la mia camera seguita da Riccardo.
"Dovremmo parlare di.." comincia lui.
"Di cosa? Non ti vedo dal pranzo di Natale. Non mi sembra di averti incontrato ieri sera."
"Non ricordi nulla?" domanda stupito.
"Cosa dovrei ricordare?" lo guardo interrogativa e sinceramente spaventata di sapere qualcosa che potrebbe non piacermi.
"Niente di importante." risponde vago.
Lo guardo male ma non obbietto, non ho alcuna voglia di cominciare un discorso con lui.
"Ma.. questi siamo noi." dice Riccardo rompendo quel così tanto pacifico silenzio.
Mi giro verso di lui e lo vedo difronte alla scrivania intento a guardare l'immagine nella piccola cornice blu appena sbiadita.
"Si, siamo noi e quindi? " dico strappandogli la foto dalle mai.
La osservo per pochi secondi, e un piccolo sorriso si forma sulle mie labbra: la foto ritrae me e Riccardo nella piccola piscina gonfiabile a casa di mia nonna, mentre ridiamo come due matti.
Avevamo solo quattro anni.
"Mi dispiace Giorgia. Giuro che avrei voluto dirtelo." sospira dispiaciuto.
"Dispiace anche a me, ma ormai è fatta. Non possiamo tornare indietro." asciugo la lacrima che nel frattempo era scesa indisturbata sul mio viso fino ad arrivare al mento.
"Non posso cambiare quello che è successo, ma posso dimostrarti che mi dispiace e che per me sei ancora importante." sussurra prendendomi le mani e portandosele al petto.
"Questo cuore batte sempre più forte da quando sono tornato da te." continua guardandomi negli occhi.
"Smettila! Sei arrivato qui dopo aver passato sei lunghissimi anni senza avere tue notizie, e adesso pretendi che io accetti le tue scuse così. Tu non sai cosa ho passato. Non ne hai la minima idea Riccardo." urlo a perdi fiato.
Poi chiudo gli occhi, respirò profondamente e apro la porta "Ti prego, esci dalla mia stanza."
Fa' come gli ho detto, e chiude la porta dietro di lui con un espressione triste.
Le lacrime cominciano ad appannarmi gli occhi e i singhiozzi si fanno sempre più forti.
Mi rannicchio sul letto, con il piumone che copre del tutto il mio corpo e anche la testa, così da evitare che mi sentano singhiozzare.
Sento mia madre dire a Riccardo che presto mi passerà e poi una porta (quella d'ingresso) che viene chiusa con poca delicatezza.
Vorrei urlargli di restare, di non andare via. Vorrei urlargli fino a perder fiato che mi è mancato come l'aria e che non ho mai smesso di volergli bene in tutti questi anni. Non ci riesco però, l'orgoglio ha la meglio anche sui sentimenti.

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