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L'estate era definitivamente terminata.

Già da qualche settimana, la sera si stava abbastanza freschi da sentire la pelle ricoprirsi di brividi e la notte, a letto, le mani avevano iniziato a ripescare le lenzuola con le quali coprirsi.

Quel giorno, il sole sembrò non presentarsi all'appello abbandonando il cielo ad un tenue colore grigiastro, quasi malaticcio, intercorso da morbide nuvole bianche dai riflessi grigi e cariche di pioggia.

L'aria sembrava avvolgere i corpi delle persone che riempivano la via, come un gelido abbraccio: alcuni, più temerari, che avevano deciso di continuare ad uscire di casa con un abbigliamento non più adatto al clima, si strofinavano le braccia sconfitti, nel tentativo di diminuire la fastidiosa sensazione di freddo, mentre altri lanciavano occhiatacce a quest'ultimi, avvolti nelle loro giacche autunnali sprofondando parte del viso all'interno di sciarpe sottili.

Carlo non era mai stato un tipo temerario, tutt'altro: era sempre stato uno che odiava il freddo e subito, ai primi gradi in meno di temperatura, finiva per ammalarsi.

Era stato stupido da parte sua passare la notte fuori casa senza giacca e ne aveva pagato le conseguenze con tre giorni di febbre.

Quando, finalmente, si era ripreso, era tornato a lavorare ed era stato come investito da delle novità che gli avevano fatto quasi rimpiangere i suoi giorni di malattia.

Aveva notato immediatamente lo scambio di sguardi tra Alessio e Tiziano, la confidenza fisica che sembrava avessero acquisito in quei pochi giorni in un cui lui era stato assente, così come aveva finito per beccarli a baciarsi nel magazzino della pizzeria.

E la rabbia si era impossessata di lui.

Aveva smesso di rispondere agli insistenti messaggi di Javier, aveva smesso di rivolgere la parola ai suoi due dipendenti ed, alla fine del turno, aveva chiuso la sua attività ed era praticamente scappato via da lì senza salutare nessuno.

Ed il fatto che Alessio avrebbe lasciato il suo posto di lavoro soltanto alla fine della settimana successiva, non lo consolava per niente.

Scosse la testa e, senza neanche stare a pensarci più di tanto, suonò insistentemente al citofono, sicuro di stare per buttare giù dal letto i padroni di casa.

-Porca puttana! Non potevi aspettare domani?- si sentì rispondere al citofono e sollevò un sopracciglio stupito.

"Oh, beh..." pensò, "Se non io, chi diavolo dovrebbe venire ad importunarlo a quest'ora di notte?"

Si lasciò scappare un mezzo sorriso, prima di rispondere:
-Sono nei guai, ho bisogno di te- ed il portone del palazzo venne immediatamente aperto.

Poco dopo, Carlo si trovò seduto nella cucina di Guido e Mattia, davanti una fumante tazza di tè, con il secondo dei due ragazzi seduto al suo fianco ad accarezzargli un braccio nel tentativo di confortarlo, mentre il suo migliore amico stava in piedi, con la sua tazzina di caffè stretta ancora tra le mani senza che lui ne avesse bevuto neanche un sorso, mentre stava lì intento ad ascoltare il resoconto di Carlo.

Guido era rimasto freddo, impassibile, appoggiato contro il ripiano da lavoro della cucina, in attesa che Carlo concludesse il suo discorso senza osare interromperlo neanche una volta.

-Ti sei fatto infettare da me e tutti i tuoi amici gay?- domandò sarcastico, alla fine:
-Non dire cazzate! L'omosessualità non è una malattia trasmettibile a pelle né in nessun altro modo- ribatté furioso Carlo.

-Che stronzate- mormorò Mattia, convenendo con l'amico: -Ancora con sta storia dei gay ed etero? L'amore è amore. Qualsiasi forma assuma quando si presenta alla propria porta, se si vuole essere felici, bisogna avere il coraggio di spalancarla senza rimanere impantanati in stupide etichette sociali e "gay" ed "etero", ormai, sono diventate proprio queste: due etichette. Parole che andrebbero bandite dal dizionario-

QUANDO TUTTO FINISCE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora