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Sembrava che il pianerottolo davanti casa di Alessio fosse diventato, nell'ultimo periodo, luogo d'incontro di troppe persone che fondamentalmente, poco avevano a che spartire con il giovane proprietario di casa.

Alessio rimase qualche secondo a fissare la figura di Javier, che riuscì a scorgere oltre lo spioncino della porta, un po' deformata dalla lente, ma inconfondibile.

"Mattia! Sara, Dario... adesso anche Javier. Mancano soltanto Guido e Daniele e questa settimana di visite, potrebbe entrare nel Guiness Word Records delle assurdità!" Pensò il ragazzo, scuotendo appena la testa, e premendo la fronte contro la superficie lignea della porta.

Aprire... o no?

Javier non poteva sapere se Alessio fosse o meno in casa, e il giovane valutò la possibilità di non aprirgli fingendo di essere altrove.

Eppure, anche se stava lì, immobile, separato dall'altro dal legno spesso, gli occhi chiusi e i respiri lenti, nel tentativo di non produrre alcun rumore, non poteva far altro che ammettere di riuscire a "sentire" Javier: una presenza vera, tangibile, come se stesse lì a poggiare le palme delle mani e la fronte direttamente sul suo petto.

Vi era quel tum-tum costante, quasi assordante... come se potesse sentire il cuore dell'altro battere, ma sapeva benissimo che non era affatto come credeva: era il suo di cuore a battere furioso, spaventato, ma anche desideroso di aprire quella porta e buttargli le braccia al collo, aggrapparsi a lui e riempirsi i polmoni del profumo della sua pelle.

Alessio sobbalzò a quei pensieri, si staccò dalla porta come se si fosse scottato, sgranò gli occhi e fece un passo indietro, nello stesso momento in cui Javier premette nuovamente il pulsante del campanello.

Le mani del ragazzo presero a tremare, era sempre più propenso a farlo entrare in casa sua, ma sembrava aver perso la capacità di compiere il più piccolo movimento.

"Ti stai facendo problemi inutili. Sicuramente, è venuto qui a cazziarti per non essere andato a lezione, per averlo lasciato in asso senza preavviso" pensò.

Come se tu fossi così indispensabile, come se lui non fosse in grado di svolgere il suo lavoro senza di te!

"Non volevo insinuare questo..."

Ti dai un'importanza che non hai.

"È solo lavoro... sarebbe stato giusto avvisarlo. Mi arrabbiavo sempre con Carlo quando si comportava così in pizzeria."

Non si sarà neanche accorto della tua assenza.

Sentì gli occhi riempirsi di lacrime.

Era inutile continuare quel "discorso" con la sua coscienza: sapeva bene da quale parte risiedesse la ragione... e non era di certo dalla sua.

Si passò velocemente la manica della t-shirt che indossava sugli occhi, asciugandoli malamente; trasse un lungo respiro, cercando di calmarsi.

Si schiarì la gola e aprì la porta.

Javier sussultò, come se si fosse spaventato: probabilmente, aveva smesso di sperare che Alessio fosse in casa.

Il giovane aggrottò la fronte e incrociò le braccia sul petto, nel tentativo di darsi un contegno.

-Ciao- lo salutò, e si maledì mentalmente per non essere stato in grado di celare del tutto l'angoscia che gli scuoteva il petto e la voce.

Javier rimase immobile senza ricambiare il suo saluto. Prese a studiarlo attentamente, facendo scorrere lo sguardo su ogni angolo del viso dell'altro, cercando qualsiasi cosa potesse rivelarsi una conferma, o una smentita ai suoi sospetti.

QUANDO TUTTO FINISCE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora