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Alessio sentì la stanchezza rendere i suoi muscoli tesi e quasi brucianti. Pensò fosse assurdo sentire il proprio corpo reagire in quel modo: non aveva trascorso l'ultimo anno seduto in un angolo con le gambe accavallate a guardare il tempo scorrere sotto il suo naso, eppure, da quando aveva ripreso a danzare, era sicuro di sentire il suo corpo troppo affaticato dallo sforzo, quasi come se avesse perso il ritmo.

Scosse la testa chiudendo il lucchetto dell'armadietto e poggiò la fronte contro il freddo metallo chiudendo gli occhi.

"Doppiamente assurdo", pensò, "È che mi stupisca così tanto... da rimanerci male."

Sapeva di non avere più l'agilità di un tempo, ma non aveva mai pensato che ciò lo avrebbe colpito così profondamente.

Ciò che riusciva a fare gli bastava: per insegnare era più che sufficiente.

"Tutta colpa di Kalisa" pensò ancora e del suo stupido piano architettato al fine di farlo tornare in pista.
Proprio quella mattina gli aveva comunicato di aver iscritto la sua classe ad un concorso che si sarebbe svolto poco prima di Natale: aveva già pensato ad una grande esibizione di gruppo con l'intento di riuscire a stracciare la concorrenza assicurando sul palco del teatro la presenza sia di studenti che di qualche insegnante.

-"Ovviamente, tu non ti esibirai"- aveva aggiunto alla fine del suo delirante discorso ed Alessio aveva percepito una fitta lancinante colpirlo al cuore.

Sul momento non si era indagato ed aveva concluso la discussione con la donna per recarsi dalla sua classe cercando di smorzare quell'insistente sensazione di fastidio e tutti i nuovi dubbi che, questa, aveva aperto dentro la sua mente.

Non vi era riuscito granché e l'entusiasmo genuino dei suoi allievi e di Javier a quella notizia, gli aveva fatto provare un'emozione totalizzante e chiara a cui non aveva potuto dare altro nome se non "invidia" e la sua mente non aveva più potuto fare a meno di macchinare nella speranza di trovare un perché soddisfacente alla sua insensata reazione.

Non voleva più ballare a livello agonistico, non aveva mai voluto farlo, non era per quello che ballava.

Era arrivato alla conclusione che, le competizioni, lo allontanassero persino dalla sua stessa passione.

Allora... perché stava reagendo in quel modo alla situazione che gli si era presentata?

Allontanò la fronte dalla superficie metallica e trasse un lungo sospiro:
-Tutto bene?- gli domandò Javier ed Alessio si voltò velocemente nella sua direzione.

-Sì. Non ti ho sentito entrare-
-Non volevo spaventarti. Non credevo di essere stato così silenzioso- disse l'altro sciogliendo i lunghi capelli e riavviandoli con entrambe le mani.

Si sedette sulla lunga e stretta panchina posta tra le due file di armadietti e lo fissò dritto negli occhi con espressione indecifrabile.

Alessio socchiuse appena gli occhi: la stanza era molto luminosa e le varie superfici metalliche riflettevano la luce rendendola quasi insopportabile, come se ci fosse qualcuno intento a puntare una freccia su di loro esaltando l'attenzione su i due con quei violenti giochi di luce.

Sapeva di non averlo sentito entrare per via dei troppi pensieri che gli affollavano la mente, ma non credeva che Javier potesse aiutarlo a dissipare i suoi dubbi, tantomeno aveva intenzione di confidarsi con lui.

Afferrò il borsone che aveva precedentemente abbandonato vicino ai suoi piedi e lo mise a tracolla mentre Javier incrociava le braccia sul petto.

-Vorrei parlare un po' con te- esordì prima che l'altro riuscisse a congedarsi.

QUANDO TUTTO FINISCE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora