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Il suono insistente del campanello che veniva molestato da qualcuno, destò Javier dai suoi sogni.

Il ragazzo aprì gli occhi nella semioscurità della sua camera da letto cercando di aiutarsi a dare risposte alle domande insistenti del suo cervello: dove si trovava? Che ore erano? Era vivo?

Odiava alzarsi presto al mattino, soprattutto se, la notte antecedente, si era concesso svaghi sino alle prime luci dell'alba.

Il suo cervello non connetteva bene, aveva un disperato bisogno di caffè e, sicuramente, dalla sensazione di palloncini tra i pensieri, intuì di non essere riuscito a dormire granché.

Scese dal letto passandosi le mani tra i lunghi capelli, grattandosi appena la cute e sbadigliando sonoramente.

Si diresse verso la porta d'ingresso pronto a tirare un pugno a chiunque si fosse deciso di importunarlo quella domenica mattina, rimanendo attaccato al campanello di casa sua.

-Ma chi cazzo è?!- urlò furioso aprendo la porta d'ingresso.

Dall'altro lato trovò... Carlo: il pollice ancora premuto contro il campanello, la sigaretta tra le dita tremanti della mano sinistra e gli occhi scuri e furiosi.
Si portò la sigaretta alla bocca, inspirò ed espirò il fumo direttamente in faccia all'altro: Javier tossì infastidito.

-Sei impazzito?- gli domandò portandosi una mano davanti al naso: -Sempre con ste cazzo di sigarette!-
-Hai qualcosa da ridire pure su questo?- gli chiese Carlo con tono sprezzante.

Javier aggrottò la fronte:
-Di che diavolo stai parlando?- gli domandò a sua volta:
-Non lo so, dimmelo tu. Raccontami la tua versione dei fatti. Sentiamo un po'... da uno a dieci: quanto pensi che io sia abbastanza cretino da poter essere raggirato dalle tue cazzate?-

Il ragazzo sgranò gli occhi e sentì un nodo stringergli la gola: non aveva idea di come avesse fatto... o forse sì, fatto stava che, Javier, solo su di una cosa aveva mentito spudoratamente a Carlo, quell'unica cosa che aveva cercato di tacere per non farsi odiare da lui.

Sapeva di aver commesso un errore madornale, ed aveva cercato di nasconderlo proprio per non perderlo, per non ferirlo, per non farsi odiare dall'uomo di cui era innamorato.

Javier era fatto così: tanti buoni sentimenti, tante paranoie e... tante cazzate.

Scosse appena la testa facendosi da parte ed invitando l'uomo ad entrare in casa sua.

Carlo spense la sigaretta nel posacenere che Javier teneva di fianco la porta d'ingresso, sul pavimento: odiava il fumo, non lo sopportava proprio e non permetteva a nessuno di fumare in casa sua. L'uomo fece il suo ingresso con passo marziale all'interno dell'appartamento che conosceva bene, dirigendosi direttamente nel balconcino che si affacciava sul soggiorno.

Una volta arrivato lì, si accese l'ennesima sigaretta.

Javier lo seguì titubante e rimase alle sue spalle a guardarlo mentre poggiava i gomiti sulla balaustra e rimaneva in silenzio ad osservare il panorama che si poteva godere da lì.

Sentiva chiara la rabbia dell'altro, quasi come se avesse un'aura propria e questa gli scivolasse sulla pelle facendolo rabbrividire.

Di tutte le stronzate che avrebbe potuto fare, aveva messo in pratica la più grande di tutte.

Sospirò e gli si fece vicino sfiorandogli una spalla con la punta delle dita. Carlo sobbalzò appena, ma rimase fermò lì dov'era, senza degnare l'altro di uno sguardo, decidendo di averne abbastanza persino di sigarette: getto la cicca nel vuoto e recuperò un chewingam dal pacchetto che teneva nella tasca posteriore dei jeans, e prese a masticare sentendo l'aroma alla mente rinfrescargli di colpo la bocca.

QUANDO TUTTO FINISCE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora