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-Benissimo!- esclamò esasperato Alessio: -Carlo ha la febbre e stasera non può essere qui!-
-A me non sembra che vada "benissimo"- borbottò Dario incrociando le braccia sul petto.
-Quindi, che facciamo?- domandò Sophia scuotendo appena la testa.

Alessio sospirò e si passò una mano tra i capelli: odiava il fatto che Carlo non li avesse avvisati preventivamente del suo stato di salute. Certo, non aveva una palla di vetro e non era in grado di prevedere tutte le disgrazie che si sarebbero potute abbattere sulla sua vita. Ma il ragazzo ricordava molto bene la lite che avevano avuto la notte precedente, ricordava limpidamente le parole e la rabbia che li avevano messi l'uno contro l'altro. E temeva che il suo capo, proprio come un bambino capriccioso, avesse finito per evitare di comportarsi in maniera lucida solo per ripicca, solo per non dover interloquire con il suo quasi ex braccio destro.

Il ragazzo scosse la testa ancora una volta: non trovava giusto né professionale quel suo comportamento. Aveva finito per lasciare i suoi dipendenti in balia di se stessi senza un valido motivo.

-Abbiamo tavoli prenotati per questa sera?- domandò poco dopo, cercando di fare fronte alle proprie responsabilità lavorative.

Cosa che non aveva fatto Carlo... cosa che gli avrebbe, volentieri, fatto pagare cara, se solo avesse potuto.

-Sì- disse Sara: - Uno da quindici ed un paio minori-
-Ergo... non possiamo chiudere- borbottò Alessio.
-E come facciamo senza il pizzaiolo?- domandò scettico Dario. Tiziano si strinse nelle spalle:
-Potrei sostituirlo io, per questa sera. Non sono bravo come lui, ma ho fatto questo mestiere per un paio di anni prima di arrivare qui-

Alessio inarcò un sopracciglio stupito:
-E che aspettavi a dirlo?- gli domandò e Tiziano si lasciò scappare un risolino imbarazzato. Dario gli batté una mano su di una spalla:
-Certo che sei scemo... noi qui a scervellarci per una soluzione, e te ti tenevi ancora l'asso nascosto nella manica!-

I ragazzi continuarono a rimproverare ancora un po' il loro collega con fare scherzoso, mentre iniziavano a darsi da fare per prepararsi all'arrivo dei clienti.

Poco prima dell'apertura della pizzeria, Alessio sentì qualcuno bussare contro la saracinesca mezza alzata che celava in parte la porta d'ingresso.

-Siamo ancora chiusi. Apriamo tra mezz'ora- disse alzando appena la voce per farsi sentire dall'altro lato:
-Sono Javier- sentì rispondersi ed aggrottò la fronte schiacciando il pulsante per azionare la saracinesca: quella si alzò molto lentamente scoprendo poco per volta il corpo dell'uomo che, Alessio, aveva imparato a conoscere molto bene.

-Ciao- lo salutò Javier ed al ragazzo parve stranamente imbarazzato, molto più dell'ultima volta in cui si erano beccati nell'ufficio di Kalisa un paio di giorni prima.

In realtà, a parte quel piccolo incontro/scontro alla scuola di danza, i due non avevano avuto occasioni né voglia di parlarsi dopo la notte che avevano trascorso insieme. Non avevano avuto il coraggio di confrontarsi su quanto fosse accaduto e continuavano a fuggire l'uno dall'altro come se avessero deciso, di comune accordo, di ignorare quello che c'era stato tra di loro.

-Ciao. Come mai sei qui?- gli domandò Alessio invitandolo ad entrare nel locale:
-Stavo cercando Carlo, ho bisogno di parlargli- rispose Javier e, quelle poche parole, suscitarono in lui una voglia matta di tempestarlo di domande: cosa voleva da Carlo? Perché si trovava lì? Perché non si era limitato a contattarlo tramite il suo cellulare? L'aveva già fatto? Carlo gli aveva risposto? Cosa stava succedendo tra loro due? Carlo gli aveva rivelato di essere a conoscenza dei suoi sentimenti per lui? Gli aveva anche confidato che, a vuotare il sacco, era stato proprio Alessio?

Il giovane non vide rabbia nei suoi confronti annidata tra i lineamenti di Javier, ma sentì il cuore iniziare come a martellargli nel petto a causa di tutti quei dubbi:

QUANDO TUTTO FINISCE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora