"La violenza a volte serve"

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Lolita e io ci eravamo fermati su quel semplice e magico bacio, parlammo tutta la notte fino all'alba.

Lei si mise a piangere raccontandomi quanto si sentiva male da sua madre.

Mi raccontava che essa gli diceva che per colpa di Lolita, la mia cara Lolita non poteva rifarsi una vita.

I suoi genitori erano divorziati e Lolita mi raccontò di aver passato un brutto periodo di depressione, non a causa del divorzio, ma a causa della madre.

Una madre cos'è?
Una persona che ti sostiene e ti vuole troppo bene, non ti contraddisce e ti fa sentire la sua cosa più preziosa al mondo.
Non ti fa sentire in colpa, non ti vuole fare soffrire e non se ne frega del tuo stato d'animo. Cerca di capirti anche se sei arrabiata, cerca di discutere anche se non ne hai voglia, fa tutto per te senza chiedere nulla in cambio. Una madre ti ama e ti mette al primo posto.
Se non fa ciò, non è una madre.

E di certo non lo era la madre di Lolita.

La conoscevo di vista e mi dava l'impressione della donna di casa perfetta, ma quando Lolita mi raccontò che tradiva suo padre mentre stava morendo lei scoppiò in lacrime.

"Se tutti ti odiano, almeno l'unica persona al mondo che sai che ti ama è tua madre." Mi disse singhiozzando.

Mi faceva troppo pena, avrei solo voluto strozzarla e farla come un pollo allo spiedo quella donna.

"Abbracciava altre bambine e mi guardava dritta negli occhi dicendo che il suo amante avrebbe voluto una femmina e il mio cuore si spezzava a pezzi, non mi sentivo bastare per lei" Li iniziò il forte pianto di dolore.

Mia madre era una donna di casa, donna di tutto. Cucinava, lavava, stirava, e amava i suoi figli come una leonessa.

"Lolita ascoltami per favore" Gli asciughai le lacrime con un pollice e lei mi guardò.

Il sole del mattino rifletteva sul suo viso come se fosse su un palcoscenico, gli uccellini cinguettavano e il mare tanta musica faceva.

"Ora stai vivendo, e devi pensare a te e amare te stessa più di ogni altra cosa-" Presi fiato, avrei voluto che mi avesse interrotto per dirmi che avrebbe amato pure me, ma continuai.

"Persone come tua madre non hanno valore, ma tu ne hai tanto. Hai imparato in fretta cosa significa vivere e tu sarai sicuramente una madre mille volte migliore di lei" Non badavo tanto a ciò che dicevo, era il mio cuore a parlare.

"O-orlando, non sai quante volte ho pianto nella vita-" Scoppiò a piangere stringendomi forte.

Gli accarezzai la schiena pensando che avrei voluto rimanere così per sempre, sotto questa lieve luce del mattino tra le braccia della donna che amavo.

La portai a casa senza farmi notare dallo stronzo che avrei dovuto fottere, la lasciai a malincuore e la mia giornata continuò facendo delle piccole indagini con Warren.

"Ti sei divertito, eh?" Mi chiese malizioso.

"No ma va bene lo stesso, andiamo ora" Andammo a Little Havana, il quartiere conosciuto per lo spaccio e la criminalità non visibile agli occhi degli sbirri.

I sbirri qui a Miami erano tutti dei fottutissimi corrotti, si facevano di quello che sequestravano e punivano chi non c'entrava nulla.

Io e Warren ci eravamo mimetizzati con la folla e andammo in cerca del contabile di Castro, un contatto di Warren ci disse che veniva spesso in un locale abbastanza conosciuto di prostitute.

Quando entrammo nel locale faticavamo a concentrarci ma, Warren tenne gli occhi con fatica e a malincuore sui uomini che entravano.

Stavamo bevendo un bicchiere di Malibu in attesa, ma quando vidimo un uomo grosso e basso con dei baffoni io e Warren ci lanciammo uno sguardo d'intesa. Era nostro.

Era seguito da due uomini potenti, attraversavano la pista da ballo ed era il momento giusto per approfittare.

Io ero alle spalle dei due uomini e Warren un po' più avanti. Gli diedi con una mossa silenziosa e decisa una pacca su entrambe le nuce facendoli cadere a terra.

La folla che ballava era scioccata, e mi feci scioccato anch'io per non dare sul occhio.

Nessuno aveva visto ciò che avevo fatto, a parte il contabile.

La folla era talmente concentrata a ballare che non se ne curò nemmeno.

Warren gli mise una mano sulla bocca e lo trascinò nello stanzino con la scritta 'Privato' sulla porta.

Lo buttò sulla scrivania e alle nostre spalle chiuse la porta a chiave, sarebbe arrivato qualcuno ma non potevano farci nulla.

Eravamo di Santa Clara.

"Cosa volete da me! Chi siete! Vi faccio amazzare dai miei uomini!" Abbaiava come un piccolo cane che aveva paura.

Più paura ha un uomo, più si fa sentire.

I cani grandi invece guardano attentamente e aspettano di attaccarti.

"Noi siamo uomini di Santa Clara, Cuba. Ti dice qualcosa?" Lo guardai mentre mi accesi il sigaro.

Lui indietreggiava su se stesso per la paura finché non tocco il muro con le sue stesse spalle.

Mi abbassai alla sua altezza e gli soffiai il fumo in faccia.

"Quanti soldi volete?" Aveva deglutito a fatica, quando gli dissi da dove venivamo aveva capito tutto.

"Non vogliamo soldi, ma qualcosa di simile" Dissi lentamente.

Mi girai verso Warren ridendo, presi il coltello e mi girai di nuovo verso di lui più serio che mai.

Avvicinai la lama alla sua grande gola e il suo respiro diventava più irregolare.

"Vogliamo carte e documenti, subito e immediatamente. E penso che tu sappia già quali vogliamo" Gli dissi con una voce feroce stringendo gli occhi.

Ti avevamo incastrato, maledetto.

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