2. Gatto

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È notte. Il cielo è limpido, se qualcuno fosse sveglio potrebbe ammirare le stelle, un'infinità di puntini luminosi che possono corrispondere alle vite degli uomini che ci sono, che ci sono stati e che ci saranno.

Quella notte però, nessuno è sul balcone o sul tetto ad ammirare la propria stella. La città intera è sprofondata in un sonno più o meno profondo, più o meno tranquillo. Pochi sono coloro che non si approfitterebbero di notti come queste per riprendere le energie.

Qualcuno di sveglio c'è, e un occhio attento se ne accorgerebbe. Sui tetti delle case più basse, infatti, è visibile un gatto. Sta percorrendo i tetti con calma, guardandosi intorno come un custode che tiene d'occhio i suoi manufatti. Persino quando salta da un tetto all'altro - spesso sono anche svariati metri di distanza, ma il gatto non ha problemi a saltare anche quelli con un solo balzo - lo fa con eleganza e tranquillità.

La città quel gatto dal pelo così nero lo conosceva, anche se nessuno lo aveva mai visto di giorno, ma ogni tanto lo si vedeva di sera, gli occhi di un bel giallo brillante sempre aperti. Si mimetizzava con le ombre quel gatto, lo dicevano tutti.

Niente di più vero, ma non potevano saperlo.

Un urlo spezza la quiete della città. Un orecchio umano, a quella distanza di chilometri, non avrebbe mai potuto sentirlo, ma i gatti sentono molto meglio, quel gatto in particolare.

La sua passeggiata si trasforma in una corsa rapida da un tetto all'altro, da un albero all'altro, l'obiettivo fisso di comprendere la fonte di quel suono.

È una donna ad aver urlato. Una donna di forse trent'anni, vestita pesante - questo è ciò che il gatto vede quando arriva. Insieme a lei, un uomo più vecchio di lei, i pantaloni già slacciati mentre con una mano la tiene ferma e con l'altra cerca di levarle i jeans.

Il gatto osserva e, fissando insistentemente l'uomo, sbatte le palpebre.

C'è una diceria che gira intorno a quel gatto, secondo la quale ad ogni suo sbattito di palpebre qualcuno avrebbe smesso di vivere. Nessuno lo ha mai visto chiudere gli occhi, quindi molti hanno raggiunto questa conclusione.

Il gatto si nutre delle dicerie delle persone e si modella in base ad esse, così quando sbatte le palpebre in quella notte stellata una delle stelle si spegne.

L'uomo cade a terra, agonizzante. L'autopsia riconoscerà come causa della morte un infarto, e molti sosterranno che se l'era meritato, quel guardone che metteva sempre le mani ovunque, così come molti altri sosterranno che non meritava una fine simile.

Ed è vedendo la donna fuggire che si può vedere un'espressione compiaciuta sul volto del gatto. I felini non dovrebbero essere in grado di fare espressioni, ma si vede quando un micio è felice.

Quel gatto quasi sorride. Il sorriso di chi ha salvato di nuovo una vita sacrificandone un'altra e che può tornare a dormire nell'ombra.

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