Il bar dell’Aquila fulminea era un locale che godeva di una fama che variava di bocca in bocca. Alcuni sostenevano che fosse il bar migliore della città, fornito dei migliori liquori provenienti da ogni parte del mondo, anche illegali - purché ovviamente si pagasse il giusto compenso -, altri che fosse uno dei posti più pericolosi dello stato intero.
Entrambe le voci erano vere, per l’uomo incappucciato, almeno in minima parte. Era da ore che vagava per le campagne, e giunto lì aveva chiesto in giro dove potesse andare a bere e magari mettere qualcosa sotto i denti. la risposta era stata quasi unanime.
Una volta entrato chiese qualcosa del posto e si prese un semplice panino giusto per riempire lo stomaco. Lo finì quando gli arrivò un bicchiere pieno di una sostanza scura. Il suo sapore era amaro, ma andava giù che era un piacere.
“Gio, Gio, arrivano!”, urlò una voce. Un uomo corse verso il bancone e prese per le bretelle il barista.
“Tornano qui”, disse facendosi sentire dal locale intero, su cui era calato il silenzio.
Uno sparo seguì quelle parole e l’uomo cadde a terra, morto stecchito. Il barista si ritrovò coperto di sangue e si affrettò ad andare a cambiarsi, borbottando un “Torno subito”.
“Dove crede di andare? Prima ci serve da bere”, disse una voce alle spalle dello straniero.
“Devo lavarmi le mani”, disse il barista, cercando già di ripulirsele nel grembiule. A quel punto lo straniero si girò.
Erano dieci uomini in totale, tutti armati, tutti con l’aria da cowboy che si sono montati la testa. Nell’intera stanza nessuno osava muoversi.
“Le ha già pulite, ora ci offra la cosa più forte che ha”.
Si sedettero tutti al bancone, a qualche posto di distanza da lui. Furono serviti immediatamente, i bicchieri tinti di rosso in alcuni punti; non parvero comunque farci troppo caso.
Il silenzio rimase assoluto mentre i dieci urlavano e sghignazzavano tra loro, il cadavere dell’uomo alle spalle come non fosse mai esistito. Lo straniero provò ribrezzo.
Poi un suono rimbombò nel bar. Un bambino in un tavolo aveva starnutito.
Tutti tacquero e uno dei dieci si alzò, andando verso di lui.
“Chi ha osato rompere il silenzio?”, disse con un ringhio.
“Lo perdoni, signore, è solo un bambino”, disse la madre, già in lacrime.
“È già grande abbastanza da stare zitto”, disse l’uomo sfoderando la pistola e puntandola contro la fronte del ragazzo.
“Ma che problemi hai esattamente?”.
La voce, totalmente priva di paura, paralizzó tutti. L’uomo in piedi si girò con gli altri nove verso lo straniero, che da sotto il cappuccio lo fissava.
“Come hai detto, scusami?!”, disse togliendo la pistola per puntarla contro di lui.
“Ti ho chiesto che problemi hai a voler uccidere un bambino per aver starnutito”, ripeté lo straniero. Tutti trattennero il fiato.
“Chi cazzo sei tu per dirmi queste cose?”.
“E tu chi cazzo sei per rivolgerti a tutti come se fossero degli stracci sporchi? Non sei il re d’Inghilterra, né lo sono i tuoi amici”.
Uno di loro si alzò e gli andò alle spalle, puntandogli la canna di una pistola contro la nuca. Lo straniero finì il suo bicchiere come se niente fosse e disse: “Ti ascolto”.
“Tu non sei un cazzo di nessuno. Nessuno qua dentro meriterebbe nemmeno di vivere, sono fortunati che noi li lasciamo vivere”.
“Già, un grande onore vivere nel terrore di essere ammazzati da dieci ubriaconi che giocano a fare i governanti”.
Il cappuccio gli fu tolto con uno strattone, rivelando il volto dell’uomo. Sarebbe potuta anche essere una donna, i lunghi capelli argentati che gli scendevano sotto il mantello e gli occhi azzurro chiaro che stavano fissando il vuoto.
“Abbiamo qui una signorinella quindi”.
“Voce non mente. Sono un uomo”.
“Una donna con la voce di un uomo. Deplorevole, ma non ti serve la voce per inginocchiarti e leccarmi gli stivali. Ora in ginocchio, bastarda”.
Lo straniero chiuse gli occhi con un lieve sorriso. “Non credo mi muoverò da qui, invece. E voi non uscirete di qui vivi”.
Quando gli occhi si riaprirono, erano lilla. Fissò l’uomo davanti a sé, che aveva la pistola puntata contro di lui.
Il colpo partì, ma al posto che uccidere lo straniero finì nel petto dell’uomo in piedi dietro di lui.
“Cazzo fai, Manuel?!”, urlò qualcuno.
Secondo colpo e quello che aveva parlato finì a terra.
“Non sono io a sparare, ragazzi, non ho controllo del mio corpo!”, urlò mentre sparava un terzo colpo.
La pistola aveva solo sei colpi e l’uomo ne sparò cinque, prima di essere freddato da uno dei quattro rimasti. Allo straniero parve l’unico non impaurito.
“Un fottuto stregone come te non ha niente da fare qui”, sbraitò sparandogli.
Il proiettile si fermò a mezz’aria e cadde a terra. Gli sguardi di tutti erano sull’uomo dai capelli d’argento, alcuni di paura, altri di speranza.
“Sono in pellegrinaggio, è vero; questo non significa che non posso impedire a degli idioti di fare i loro comodi. Oh, inoltre starei attento alle vostre bevande, fossi in voi… bere troppo fa male”.
“Figlio di puttana, ci hai avvelenato?!”, sbraitò l’uomo rovesciando il bicchiere e il suo contenuto per terra. Si lanciò addosso allo stregone, che lo respinse con un calcio secco.
Scivolò malamente sull’alcol e picchiò la testa nello spigolo di un tavolo; morte istantanea.
Gli altri tre lo fissarono increduli. L’uomo alzò una mano pallida, che spinse i tre ad alzare le pistole e a puntarsele alle tempie.
“Avrei dovuto farvi soffrire di più, ma almeno così non farete più male a nessuno”.
Tre colpi insieme fecero calare il silenzio, che durò non più di dieci secondi, poi tutti esultarono.
Lo straniero sorrise.
Per essere uno che stava per diventare necromante, quello era insolito, ma lo lasciò piacevolmente soddisfatto.
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Lunghetto, si vede che l'ho scritto al tablet
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NaNo Writober 2019
Cerita PendekÈ la prima challenge mensile a cui prendo parte. Lo sto svolgendo su instagram ma lo condivido anche qua... Buona lettura