47. "L'ho promesso a mamma."

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Autumn

Non disse niente. Si voltò e camminò via. Volevo urlargli di non lasciarmi lì da sola, perchè l'aria mi stava soffocando e le voci erano troppo rumorose, e riuscivo a percepire mi stessi perdendo, a poco a poco. Volevo gettarmi tra le sue braccia e farmi proteggere dal mondo, che continuava solamente a rovinarmi. Volevo dirgli che non potevo farci nulla per quello che ero diventata, che lo volevo lì, perchè era l'unico modo per me di non ricascarci. Non potei fare nulla di tutto questo, perchè non avevo voce. Quindi lo guardai svoltare lentamente l'angolo di quella casa angustia, lasciandomi sola.

Mi cedettero le gambe, facendomi inginocchiare a terra, le mani quasi mi caddero sulla pozza di sangue secco che apparteneva a mia madre. Quasi vomitai, ma deglutii la bile che avevo in gola, inspirando ed espirando, desiderosa che non scomparisse la mia compostezza. Dovevo rimanere composta. Dovevo essere forte. Dovevo portare Harry fuori di qui, per far sì che salvasse sua madre e non divnetasse quello che ero diventata io quando avevo perso la mia.

Riuscivo a sentire la porta cedere, mia madre che mi urlava di nascondermi. Urla, grida, risate sinistre. Uomini con sguardi diabolici, guidati da mio padre. Braccia che tiravano la sua figura fragile. Mani che le stringevano il viso, le colpivano la testa, molteplici volte. Dita che premevano il grilletto, lasciandosi dietro quella chiazza di sangue. Le sue gambe, trascinate lungo il pavimento mentre la portavano via.

Era tutto così rumoroso. Così insopportabile che dovetti chiudere gli occhi, desiderando che le immagini scomparissero. La scena non avrebbe smesso di ripetersi. Le voci non avrebbero smesso di urlare. Il mio cuore non avrebbe smesso di martellare mentre guardavo mia madre essere torturata a morte. Non riuscivo a sentire il mio corpo. Non riuscivo a sentire nulla,ma allo stesso tempo riuscivo a provare che era troppo per la mia anima da affrontare. Volevo gridare aiuto, che qualcuno li fermasse dal protare via mia madre.

Poi sentii il mio corpo essere scosso, una voce che gridava. Pensai fossero ritornati. Pensai che erano qui per uccidere anche me, o quel che rimaneva di me. Ma quando aprii gli occhi, incrociai degli affranti occhi verdi e una capigliatura che incorniciava un volto che conoscevo bene, e amavo a morte. Un singhiozzo mi scappo dalle labbra mentre mi guardavo intorno, notando che ero sotto lo stesso tavolo in cui mi aveva fatta nascondere mia madre. Non sapevo come fossi arrivata lì. Non sapevo come avesse fatto il mio corpo a trascinarsi fin là sotto, quando mi ero sentita prosciugata da tutto. Non sapevo niente mentre Harry mi rimetteva in piedi, ma le gambe cedettero di nuovo. Questa volta mi afferrò, stringendomi nel suo abbraccio, così tanto vicino a sè che mi dimenticai quanto snervante fosse per lui la mia semplice presenza.

Sentii i muscoli perdere la loro resistenza, le ossa farsi più deboli, mentre mi appoggiavo a lui. Lui sospirò, non facendo nulla per allontanarmi o stringermi. Rimase semplicemente lì in piedi, a dare supporto al mio corpo, senza dire niente. Avrei voluto poterlo stringere con forza, per poterlo sentire bene e per essere sentita da lui. Avrei voluto che il mio tocco non creasse vuoti nella sua anima, mentre la sua sembrava stra guarendo la mia. Avrei voluto non avergli fatto quello che avevo fatto. Avrei voluto non essermi impuntata di distruggerlo. Avrei voluto poter aggiustare lui, o me stessa, o il mondo.

"Dobbiamo andare. Ho visto tre uomini camminare verso qui." disse, allontanandosi, ma le sue mani mi strinsero le spalle, tenendomi in piedi.

"Cosa? Venire qui?" aggrottai la fronte confusa, ricevendo un cenno afermativo mente mi lasciava totalmente. Lo superai, sentendomi un bambino in procinto di imparare a camminare da solo. Le mie gambe erano come gelatina, tutto il mio corpo tremava accanto la finestra sudicia e strizzai gli occhi per vedere nel buio.

"Loro- sono almeno cinque uomini. Non capisco. Nessuno viene qui da anni."

"Deve essere stato quell'uomo che ti sei rifiutata di uccidere. Probabilmente si sarà svegliato e avrà comunicato di noi. Te l'avevo detto che avremmo dovuto ucciderlo." grugnì, caricando la sua pistola mentre correva in giro in cerca di qualsiasi oggetto utilizzabile come ulteriore arma.

"Okay. Okay, okay, okay. Posso porre rimedio a tutto questo. Vai in cucina, c'è una porta sul retro. Posso trattenerli finchè non sei fuori di qui. Vai, ora." lui sbattè le palpebre. Una volta. Due volte.

"Cosa?"

"Harry, devi uscire da qui. Devi tornare a casa per aiutare Anne. Non abbiamo molto tempo. Devi andare, ora." misi le mani sulle sue spalle, girandolo e allontanandolo da me. I suoi piedi si mossero d'istinto, ma poi si fermò, prendendomi per il braccio e tirandomi davanti a lui.

"Cosa stai facendo, Autumn?"

"Sto riparando quello che posso. Loro sono qui per me, non per te. È impossibile riuscire entrambi ad uscire in tempo e tu- tu hai una ragione per cui tornare a casa. Io no. Non davvero. Quindi, vai. Aiuta tua madre. Stalle vicino. E quando starà meglio, assicurati che non si ammali di nuovo. E- e Liam. Lascia- lascia che ti aiuti. Può aiutare molto se gli venisse data l'opportunità." i suoi occhi vagarono nei miei, in cerca di qualcosa che non c'era. I suoi lineamenti erano duri, illegibili mentre mi fissava, con tale intensità che potei sentire la mia determinazione oscillare.

"Ho promesso a mamma che non li avrei lasciati portarti via di nuovo." sussurrò, come se fossero state le ultime parole rimastagli.

"Non l'hai fatto. Non riguarda te. Niente di tutto questo."

Un cipiglio si formò sulla sua fronte, mentre guarda prima me, poi la finestra all'ingresso, che rivelava le ombre in avvicinamento. Potei sentire degli schiamazzi e dei ruggiti e sapevo cosa significavano. Sapevo cosa sarebbe successo. E non avrebbe coinvolto Harry.

Lui mi guardò, lanciandomi un'ultima occhiata, prima di annuire. Poi si voltò e uscì dalla porta sul retro. Un sospirò uscì dalle mie labbra, come se solo adesso mi fossi ricordata come si respirasse. Volevo piangere, per la facilità con cui mi aveva lasciata. Per quella che probabilmente sarebbe stata l'ultima volta che l'avrei visto e non sapeva neppure che lo amassi. E non avrebbe mai più potuto amarmi. Volevo piangere, ma non lo feci. Inspirai, tirando fuori la pistola e caricandola, mentre rimanevo nel salone, proprio dove stava mia madre, quando erano venuti a prenderla.

Presi esattamente due profonti respiri, prima che la porta venisse buttata a tera e un'ondata di uomini si scatenasse nel luogo che una volta chiamavo casa. Iniziai a colpire e a calciare. Lottai fino all'ultima goccia di forza rimasta dentro di me. Ma erano troppo numerosi e le mie ferite precedenti stavano lentamente assorbendo la mia resistenza, lasciandomi senza aria, gettando alla cieca pugni attraverso la vista sfocata, assaporando il sangue, la polvere e l'amarezza in bocca. Finchè non sentii la testa essere afferrata, spingendola contro le scale. Caddi a terra, il mio sangue che ora si univa a quello di mia madre, così nessuno avrebbe saputo di chi era. La mia testa fu presa di nuovo tra due mani, colpì di nuovo il pavimento, prima di sentire il suono del mio stesso cranio scricchiolare, e tutto divenne nero.

Rupture [h.s. - italian translation]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora