Non sono un assassino

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Lavai la ciotola con cura, passandola più volte nell'acqua. Facevo sempre molta attenzione ai miei gesti, usavo i miei rituali precisi per controbattere il fastidio che mi dava sapere che la gente aveva paura di me. Neanche fossi cattivo o mi divertissi a fare quel che facevo.

Stamattina lo avevo ascoltato parlare con i suoi amici, senza farmi notare, nascosto in una stanza che dava sul cortile. Ero alla ricerca di conferme: è vero che la mia mano è giustificata da un potere più grande di me, ma mi piace essere sicuro che quel che faccio abbia una buona motivazione.

E invece niente, nessuna parola fuori dalle righe, tutti discorsi che sembravano di buon senso. Aveva di certo un modo originale di tirare fuori le cose: prima chiedeva opinioni, poi usava le risposte per concludere con delle affermazioni che però sembrava avesse già in testa. E a volta rispondeva con delle altre domande, per un nuovo ragionamento.

Mi lavai le mani, accuratamente come avevo pulito la ciotola. Mi tremavano leggermente mentre le asciugavo con un panno, sempre lo stesso dedicato a quelle occasioni. Ero arrabbiato, come se avessi sbagliato. Lo avevo ascoltato appunto per trovare una giustificazione, eppure non riuscivo a non essere d'accordo con quel che diceva: non era un sofista, non usava argomenti astrusi o ingarbugliati e forse era lì, nel suo sembrare aver sempre ragione, che avrebbe potuto turbare le menti più deboli.

Un paio dei suoi scagnozzi si erano effettivamente fatti notare per azioni ciniche e senza rispetto per la patria e la democrazia, ma ad ascoltarlo non era di quelle cose che lui parlava. Io lo avevo visto spesso in giro, brutto e un po' sgraziato, attorniato sempre dai suoi amici: i pettegolezzi raccontavano che a volte con loro beveva come una spugna, ma riusciva a continuare a parlare fino a rimanere l'ultimo in piedi.

La parte più faticosa della mia giornata era ancora da venire. Scacciavo i dubbi che s'affollavano accompagnati da un senso di rimorso, c'era da portare via il corpo e rimettere tutto a posto. Ma se l'era cercata, davvero. Non lo dico per acquietare la mia coscienza, ma lui, quando è stato chiamato, ha rifiutato di farsi aiutare. E poi quando aveva avuto l'occasione di scappare, quel testardo mi ha raccontato tutta una serie di motivazioni sulla libertà di pensiero che alla fine non potevo che dargli ragione.

E pensare che nonostante quello di cui lo accusavano, quando gli avevo dato la ciotola, quel folle voleva libare agli dei, tanto che l'ho fermato e gli ho dovuto dire che ce n'era solo la quantità giusta per lui.

Scossi la testa, non ce la facevo più a sentirmi addosso i loro sguardi spersi, come di bambini abbandonati. Per ricambio buttai loro delle occhiatacce, preparai i sudari, li portai nella stanzetta e dissi a quello che mi sembrava più assennato: "Platone, ci pensi tu a Santippe? Non sopporto più di vederla lamentarsi, tu e i tuoi amici portatevi via lei e il suo corpo"

Pubblicato sul blog dei Parolanti https://iparolanti.wordpress.com/2019/11/20/non-sono-un-assassino-di-ergo-scripsit


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