Tragico Tragitto

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Certi giorni hanno un sapore diverso, rifletto pulendo gli occhiali con attenzione.

E questo sabato ha una fragranza speziata, mi dico indossandoli con calma, spingendoli su con l'indice.
Più che pepato direi piccante, quest'inizio giornata. Mi stiracchio, sciolgo bene le spalle con uno scossone e inizio a far partire l'auto.

Il tragitto verso l'ufficio è un viaggio con uno schema che si ripete stancamente tutte le volte. In vent'anni l'ambientazione si è evoluta, al posto dei semafori rotonde, in qualche tratto sono state piantate alcune siepi, qualche palazzo ha cambiato aspetto, ma in fondo è sempre uguale.
Lo conosco a memoria, l'ho registrato con dovizia di particolari e senza tralasciare nulla.

Piccante, mi dico, e il bruciore che immagino sulla lingua mi dà uno strano piacere doloroso. Ecco, la prima tappa è la coda per uscire dal quartiere: sempre la stessa, a qualsiasi orario, quasi ci fossero comparse che attendono la mia uscita. Io, rinvigorito dalle spezie immaginarie, contro ogni norma e buon senso, le saluto e vado con impeto sul marciapiede a lato.

Ah, che soddisfazione! Sento il palato in fuoco mentre schivo i passanti imbestialiti e faccio saltare i cestini della spazzatura. La coda noiosa che chiede i suoi dieci minuti ogni mattina diventa una fantastica rapida cavalcata verso la rotonda, di solito troppo lontana.

Quando qualcosa è troppo piccante dopo un po' pensi di aver bisogno di bere. Non è fuoco vero, non si spegne. Anche se immaginario, il bruciore mi dà energia. Dopo la rotonda c'è una scuola elementare, di cui dopo vent'anni non so ancora il nome, però conosco esattamente quante mamme col SUV vi parcheggiano male. Di solito bisogna aver pazienza, andare piano e invadere l'altra corsia con attenzione.

Questo sabato speziato tiro dritto come una ruspa, spingo sul marciapiede i macchinoni lasciati in mezzo e non rallento neanche davanti alle portiere aperte, mandandole all'aria sotto gli occhi inespressivi delle signore.

Ridacchio, stringendo il volante. Ma lo faccio respirando forte a bocca aperta perché sento le fiamme in gola e il potere della suggestione mi sta incendiando le fauci.

Altro punto sensibile è il crocicchio di vie che salta la strada principale super trafficata. E come previsto, intravedo al centro della via la più grande e lenta creatura che vaga sulle nostre strade, il camion della spazzatura. Il fuoco mi sta invadendo, le mani pizzicano sul volante, schiaccio il pedale violentemente e mi ci lancio contro, come un novello don Chisciotte.

Ma invece di schiantarmi prendo la pedana da cui hanno già scaricato i secchi e che sta risalendo: con la rincorsa salto addosso al pachiderma e, sempre accelerando, schizzo sul suo tetto e su quello delle auto davanti, riguadagnando la via libera.

Quest'ultimo salto mi ha scosso, ma l'immaginazione continua a far spandere le fiamme del piccante giù per l'esofago e innaturalmente invade i polmoni oltre che la pancia. Brucio, sudo, rido e canto.

Un ultimo ostacolo mi aspetta, l'enorme parcheggio davanti al mio ufficio, dove frotte dei miei colleghi invadono le corsie dopo aver lasciato l'auto, costringendomi a lunghe attese anche quando sono ormai arrivato a destinazione. E i flussi di gente passano attorno a un'edicola di un verde così sbiadito che tende al color nebbia, dove c'è un'odiosa vecchina che dimentica sempre di darti il resto, fingendosi tutte le volte sorpresa.

Respiro a fondo, sento di nuovo il fuoco ovunque nel corpo, dalla pianta dei piedi alla cima dei capelli, l'adrenalina a mille, la rabbia repressa in ebollizione, lo sciogliersi di chilometri di code e di improperi, l'amaro sapore della vendetta contro il mondo avverso.

Li prendo tutti, uno dopo l'altro: il capoufficio grasso e calvo, la segretaria che una volta era attraente, il commesso dallo sguardo torvo, la bellona del quinto piano sempre in mini e tacchi, i ragionieri occhialuti e i magazzinieri ridanciani e volgari. Tutti in sequenza come birilli, scagliati in aria, dinoccolati, come pupazzi ormai vecchi, burattini senza fili. E per finire vado addosso con la maggior violenza possibile contro la vecchia edicola e l'edicolante vecchia, mandando in pezzi casetta e megera, nel finale più pirotecnico e roboante possibile.

Finalmente mi lascio andare appoggiandomi al sedile. Mi sono tolto tutte le soddisfazioni, il piccante s'è dissolto e mi godo il buon retrogusto.

Ripensando alla sequenza degli eventi, mi rendo conto che ho dimenticato di inserire anche il personaggio dello stagista arrivato da pochi giorni: segnandomi mentalmente che dovrei caricare anche lui nella simulazione, mi tolgo gli occhiali della realtà virtuale e metto via il computer. Poi vado a cercare l'abbonamento della metro, sperando non sia scaduto di nuovo.

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