III. Ciò che è proibito

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Percy non aveva senso dell'orientamento.
O meglio, in mare riusciva a capire esattamemte a che coordinate si trovasse, grazie a suo padre, ma sulla terra ferma era davvero negato.
E se l'edificio in cui si trovava era gigante ancora peggio.
L'Istituto di Los Angeles era enorme, estendendosi su più piani.
Percy stava vagando sperduto tra i suoi corridoi, cercando il bagno.
Si mise una mano in tasca e sospirò di sollievo: per fortuna le dracme erano ancora lì.
Avrebbe dovuto mandare un messaggio-Iride a Chirone, per spiegargli la situazione e chiedere se lui fosse a conoscenza del mondo degli Shadohunters.
Come l'aveva chiamato Julian?
Il mondo delle ombre.
Salì una rampa di scale e si affacciò alla ringhiera.
Notò una cosa che non aveva notato prima.
Sul pavimento davanti all'enorme porta d'ingresso dell'Istituto, vi era un disegno.
Un angelo, magnifico e brillante di aura divina tanto da parere un dio nella sua forma di maggiore splendore, che sorgeva da un lago dall'acqua cristallina che pareva uno specchio.
Egli aveva una spada folgorante dalla lama color argento scuro nella mano destra e una coppa dorata con il contorno superiore tempestato di rubini in quella sinistra.
"Quello è l'angelo Raziel" gli spiegò una voce femminile.
Percy si voltò e vide Cristina che lo affiancava.
"E' colui che ha dato inizio alla stirpe degli Shadowhunters, donando gli strumenti mortali – la coppa e la spada – a Jonathan Shadowhunter, il primo Nephilim"
"Wow" commentò lui "ha una faccia così..."
"Austera?"
Il figlio di Poseidone annuì.
"Mi ricorda Zeus" commentò, poi abbassò la voce "e non è un complimento"
Un tuono scosse il cielo sereno sopra Los Angeles.
Percy alzò gli occhi al cielo.
"Devi sempre fare così?" domandò, a nessuno in particolare.
Cristina lo guardò confusa e ammirata per un istante.
"Quindi Zeus è tuo zio?" chiese.
"Cristina, non ti conviene fare domande sulla famiglia da parte di mio padre" le disse "fidati, scopriresti che sono imparentato con quasi tutto l'Olimpo e con una serie di creature mitologiche. Ti dico solo che mio fratello è un ciclope"
"Un ciclope?" la giovane Rosales era sbalordita.
"Tyson, è un mito" continuò lui "E il vello d'oro del mito sugli Argonauti! Non so come ma Poseidone era suo padre. Oppure hai presente Pegaso, il signore dei cavalli alati? Fratellastro anche lui. Si be', si potrebbe dire che gli ho ucciso la madre, ma spero non ce l'abbia ancora con me"
"Sua madre... aspetta, tu hai ucciso Medusa? Come il vero Perseo?"
"Ai tempi si faceva chiamare zia Em"
"Ehi potresti farmi un favore?" aggiunse poi.
Cristina annuì.
"Avrei bisogno del bagno, non è che puoi dirmi dove si trovi?"
Le guance di lei divvennero color peperone.
"No no, mi sono spiegato male!" si affrettò ad aggiungere Percy "Devo creare un arcobaleno con l'acqua"
La ragazza gli fece cenno di seguirla mentre imboccavano un corridoio laterale.
"Un arcobaleno con l'acqua?" chiese, divertita.
"Questa è stata la reazione che ho avuto quando Annabeth me lo ha mostrato per la prima volta" commentò "Iride, la dea dell'arcobaleno, è anche la messaggera degli dei e se crei un arcobaleno con un po' d'acqua e ci getti dentro una dracma – la valuta ateniese – puoi parlare tramite un messaggio-Iride"
"Anche noi abbiamo una cosa simile, solo che li chiamiamo messaggi di fuoco"
Fecero il resto del tragitto in silenzio e arrivarono davanti ad una porta.
"Eccoci"
Cristina gli sorrise e si allontanò.
Percy entrò e si chiuse la porta alle spalle.
Creò un arcobaleno con l'acqua ed estrasse una dracma dalla tasca dei pantaloni.
La gettò davanti a sè.
"Oh Iride accetta questa mia offerta" declamò "mostrami Chirone al Campo Mezzosangue"
Davanti a sè comparve l'immagine di un uomo con i ricci castani, armato di faretra sulla schiena.
Sarebbe potuto sembrare un uomo qualunque, se non avesse avuto il corpo di uno stallone bianco dal busto in giù.
"Percy!" esclamò lui, alzando lo sguardo "Ero preoccupato, vi aspettavamo oggi"
"Diciamo che c'è stato un problemino" disse lui "siamo ancora a Los Angeles"
"Che tipo di problema?"
Percy spiegò dell'attacco della larva gigante – non ricordava che nome Julian e Emma le avessero dato – e dell'incontro con i due Shadowhunters.
"Chirone, lei sapeva della loro esistenza?"
Il centauro scosse la testa, pensieroso.
"Avevo sentito voci di creature... della progenie degli angeli" disse "ma non credevo esistessero davvero. Insomma, ho vissuto tanto a lungo e non ne ho mai visto uno. E poi derivano dai racconti della Bibbia e noi non crediamo nel loro dio"
"In pratica è come essere blasfemi verso gli dei dell'Olimpo" commentò il figlio di Poseidone.
Chirone annuì, cominciando a muovere la lunga coda bianca.
"Io e Annabeth torneremo a Long Island entro oggi, gli Shadowhunters si sono offerti di darci un passaggio tramite un portale"
"Portale?"
"Ne so quanto lei – che dovrebbe saperne più di me – ma credo sia la soluzione migliore. Sempre meglio che viaggiare attraverso il Labirinto"
Chirone lo guardò con comprensione.
Sapeva quanto Percy odiasse il Labrinito di Dedalo.
"Fate attenzione" concluse il centauro, mentre la visione cominciava a tremolare "e tenete gli occhi aperti, Rachel aveva detto qualcosa..."
Il messaggio-Iride si interruppe, mentre il figlio di Poseidone corrugava la fronte.
Perchè Chirone aveva accennato a Rachel Elizbeth Dare, l'oracolo di Delfi?
Uscì dal bagno e si guardò intorno.
Da dove erano arrivati lui e Cristina?
Vide che c'era una scaletta, nascosta nella semi-oscurità.
Corrugò la fronte, mentre la curiosità si impossessava di lui.
Iniciò a salire e si ritrovò faccia a faccia con una botola.
Si ricordò della sua prima profezia, quando al Campo Mezzosangue era dovuto salire nella soffitta per consultare l'oracolo che un tempo era una mummia verdognola davvero raccapricciante e non la sua amica Rachel.
Pensò che probabilmente anche quella botola comunivava con la soffitta.
Non avrebbe dovuto entrarvi, lo sapeva, non era a casa sua e non era educato gironzolare in giro.
Eppure...
Lui era Percy Jackson e quando mai Percy Jackson pensava prima di agire?
Scostò la botola e vi si infilò dentro.
La soffitta era angusta e ricca di scartoffie.
I libri erano sparsi ovunque e la luce del sole filtrava soffusa da una piccola finestrella posta sul tetto.
Con un sussulto si rese conto che non era solo.
Un uomo sulla quarantina si trovava dietro una scrivania, con gli occhialetti che gli pendevano dal naso adunco.
I suoi occhi però erano dello stesso colore di quello degli altri Blackthorn.
L'uomo si accorse di Percy e lo studiò per un istante.
"Divino Poseidone" gli disse, biascicando le parole "da quanto tempo che non si fa vivo in mia presenza"
"Ehm..." il ragazzo fece un passo indietro.
Come faceva quell'uomo a sapere chi fosse suo padre?
No, si corresse, lui crede che io sia Poseidone.
"Allora ha capito che avevo ragione?" continuò l'uomo "Che la rivalità deve terminare? Che..."
"Ascolti, signore, io non sono Poseidone" lo interruppe Percy "sono suo figlio"
"Zio Arthur va tutto bene? Ti ho portato il pranzo..."
Julian si bloccò, con in mano un vassoio con un piatto di minestra e un pezzo di pane.
Guardò prima Percy e poi Arthur Blackthorn.
"Andrew" gli disse l'uomo "ti aspettavo"
Il Nephilim gli porse il vassoio e poi tornò al fianco del semidio.
"Scusa, amico, mi sono perso e sono finto qui" gli disse Percy "me ne vado subito"
Julian lo bloccò.
"Vengo con te" gli disse "ti stavo comunque cercando: Magnus Bane è arrivato"

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