XIX. Amor c'ha nullo amato

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Nel sogno, Percy si trovava in un ufficio al centro di Londra, nella parte borghese.
Non era lì fisicamente, era più come se stesse osservando la scena dall'alto, come un ente esterno.
L'uomo che era seduto dietro la scrivania aveva il capo chino ricorperto di capelli corti e brizzolati, tanto che il volto sarebbe stato praticamente del tutto nascosto, se non fosse stato per le basette ingrigite che s'intravedevano.
Percy non aveva mai visto quell'uomo prima di allora, ma temeva di sapere chi fosse.
Chino sulla scrivania, pareva esaminare dei documenti.
Era vestito come un uomo d'affari, con giacca nera e camicia bianca.
Accanto al calamaio e all'inchiostro, posto a lato del tavolo, vi era un piccolo mappamondo dorato.
Il figlio di Poseidone vide che una zona era colorata completamente di rosso, in modo che risaltasse.
Era tra la Francia, la Svizzera e l'Austria, un piccolo territorio bordato d'oro.
L'uomo sbuffò, chiudendo il grosso libro mastro che stava leggendo.
Si passò una mano sul volto stanco, spostando il tomo lontano da sè come se non sopportasse più la sua vista.
Fu in quel momento che Percy riuscì a leggere il nome che esso riportava: Mortmain & co.
Improvvsiamnete si rese conto di chi fosse la persona che gli stava davanti.
Il Magister in persona, colui che minacciava gli Shadowhunters dell'Istituto di Londra.
Un senso di protezione si allargò nel petto di Percy, un'incredibile voglia di toglierlo di mezzo.
Perché ce l'aveva con delle persone così buone come Charlotte ed Henry?
Axel Mortmain ad un tratto aprì gli occhi grigi.
"Avanti" disse.
Il figlio di Poseidone non si era nemmeno accorto che qualcuno avesse bussato alla porta dell'ufficio.
"Axel"
Il Magister si alzò in piedi, rivelandosi un uomo di bassa statura.
Tese la mano e strinse quella di Luke Castellan, vestito di tutto punto come un uomo dell'alta società.
Come tutto quello che sarebbe potuto essere se solo non avesse ceduto all'oscurità.
"Luke" Mortmain fece un sorriso tirato.
Si risedette sulla sua sedia, mentre anche il figlio di Ermes lo imitava sedendosi davanti a lui.
"Quindi hai deciso?" volle sapere l'uomo.
Luke annuì.
"È arrivato il momento di attaccare" disse "non possiamo più aspettare. La strategia migliore è agire ora, altrimenti scopriranno i nostri piani"
"E la semidea? Sei risucita a portarla dalla nostra parte?"
Il volto del semidio si scurì.
"No" ammise, a denti stretti "ma niente è ancora deciso. Dopo la battaglia di questa sera al tramonto, capirà che l'unica via possibile è stare dalla mia parte"
Mortmain fece un sorrisetto.
"E lo stesso varrà per Theresa Gray. L'attacco di stasera all'Istituto di Londra sarà un avvertimento. E se i miei automi uccideranno qualche Nephilim nella baraonda... tanto meglio. In tanto loro due avranno l'ultima possibilità di unirsi a noi, altrimenti uccideremo tutto ciò a cui tengono di più"
"E finalmente, insieme, potremo rovesciare l'Olimpo"
Il Magister lo guardò intesamente.
"E una volta tolti gli dei dalla circolazione, potrò prendere il potere e governare l'Impero Britannico" disse, il tono compiaciuto "sarai tu a guidare i miei automi, al tramonto"
"Una volta qualcuno mi ha detto che sono sempre stato ambizioso, che ho sempre preteso troppo da me stesso..." Luke fece un sorriso amaro "ma nessuno ha mai conosciuto te"
Mortmain ricambiò il sorriso, pensando che il semidio lo stesse rivolgendo a lui.
"Faremo grandi cose, insieme, Luke Castellan"
Il sogno sfumò.
Percy aprì di scatto gli occhi, mentre il cuore gli batteva all'impazzata.
Come aveva potuto farlo?
Come si permetteva Luke di nominare anche solo Annabeth?
Ricordare ciò che lei gli aveva detto quando stava morendo?
Luke sarebbe finito nei Campi della Pena, se non nel Tartaro stesso come il suo antico padrone Crono, non certo nei Campi Elisi.
Doveva avvisare gli altri, dire che quella sera al tramonto avrebbero subito un assalto e probabilmente Annabeth e Tessa sarebbero state rapite, mentre tutti loro sarebbero morti.
Era l'alba, come si poteva intravedere dai tenui raggi di un timido sole che stava spuntando all'orizzonte.
La camera da letto si stava piano piano illuminando.
Per fortuna, c'era ancora tempo.
Improvvisamente, Percy si rese conto di non essere nella sua camera e di non essere solo.
Si voltò di lato e vide che Annabeth era sdraiata accanto a lui, gli occhi chiusi e il respiro regolare.
Ricordò la sera prima, quando si erano addormentati l'uno tra le braccia dell'altra.
Si ritrovò ad osservare la semidea e si sorprese a scostarle una ciocca di capelli biondi che le era ricaduta sulla guancia.
Era bellissima, non c'erano dubbi.
Aveva sempre adorato osservare Annabeth quano dormiva: durante tutte le loro imprese, quando era il suo turno di fare la guardia, si perdeva a guardarla.
Quando dormiva, a volte la figlia di Atena tratteneva il fiato, come se i sogni avessero il potere di sorprenderla, cosa davvero rara.
Percy si rese conto che la mano che lei non teneva posata sotto il viso, era tesa verso la sua parte di letto, come se durante la notte lo avesse cercato inconsciamente.
Fu l'istinto a guidarlo, mentre intrecciava le sue dita con quelle di lei.
Avrebbe voluto continuare a guardarla, lasciandola dormire, ma non poteva.
Il tempo, proprio come lo era stato due anni prima, era loro nemico in quel momento.
"Annabeth" sussurrò, strigendole la mano "Annabeth"
Annabeth mugugnò qualcosa, aggrottando la fronte.
"Ehi Sapientona, è ora di svegliarsi"
La semidea obbedì.
Aprì i suoi magnifici occhi grigi e, appena riconobbe Percy, gli sorrise in modo dolce.
"Percy" sussurrò.
La bocca di Percy divenne asciutta, mentre le parole gli morivano in gola.
Fu in quel momeno che si rese conto di essersi perdutamente innamorato della sua migliore amica.

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