VII. Torna da me

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"Non mi piace affatto questo piano" commentò Percy, scuotendo la testa.
Annabeth sbuffò, mentre si legava i capelli in uno chignon alto.
"Dovremmo andare io e Julian" continuò imperterrito il figlio di Poseidone, seduto sul letto a baldacchino nella camera della figlia di Atena.
"Stai forse dicendo che due ragazzi saprebbero fare meglio di due ragazze, Testa d'Alghe?" lo punzecchiò, guardandolo con sfida dallo specchio posto accanto alla finestra.
Percy ebbe il garbo di arrossire.
"No, Sapientona, so che sai badare a te stessa" disse "ma mi sentirei più sicuro a venire con te"
Annabeth si infilò gli stivali marroni.
"Hai sentito cosa ha detto Will" disse "due donne sono considerate più innocue rispetto a due uomini. Al Mercato delle Ombre non ci faranno storie e ci diranno quello che vogliamo sapere, e poi Emma ha detto che sa come muoversi ed io mi fido di lei"
"Non si tratta di questo"
Pery si alzò e le mise le mani sui fianchi, posandole il mento sulla spalla e guardandola attraverso le specchio.
"E di cosa allora, Percy?" chiese lei.
Lui sospirò.
"Ricordi quando avevo paura di affogare, nonostante sapessi che fosse impossibile perchè figlio di Poseidone?" chiese "È più o meno la stessa cosa. So che sai proteggerti da sola e che andrà tutto bene, ma ho lo stesso paura"
Annabeth si voltò e gli mise una mano sulla guancia, carezzandogliela.
"Sei carino quando sei preoccupato" disse.
Percy soffocò una risata.
"Credo proprio tu me l'abbia già detto" disse.
La figlia di Atena si alzò sulle punte e posò un leggero bacio sulle labbra del figlio di Poseidone.
"Andrà tutto bene" sussurrò, guardandolo in quegli occhi verdi che amava "si tratterà solo di un paio di ore. Inoltre mi alleno da quando avevo sette anni, credo proprio di saper gestire qualche stregone e lupo mannaro"
Percy annuì, sovrappensiero.
Prese la mano della ragazza tra le sue e le abbottonò i polsini della camicia bianca.
Annabeth lo osservò attentamente, come per imprimersi nella mente i tratti familiari del viso.
Sapeva che non era una missione eccessivamente pericolosa, eppure era sempre difficile dire addio a Percy, anche se non era un addio definitivo.
Quando attraversi l'Inferno – la parte peggiore dell'Inferno – con una persona, non rimani inesorabilmente legata a lei?
Come puoi poi anche solo pensare di starle lontano?
"In questo caso ti sarebbe utile il tuo berretto degli Yankees" commentò lui, passando all'altra mano "potresti recarti invisibile fino al Mercato delle Ombre e scoprire quello che ci serve"
Lei ripensò al suo berretto blu, regalo per il suo dodicesimo compleanno dalla madre, appeso con un chiodo sopra il suo letto nella casa numero sei al Campo Mezzosangue.
"Funziona di nuovo?" domandò Percy, alzando gli occhi verdi.
Da quando Atena, l'anno prima, le aveva affidato la missione per recuperare l'Athena Parthenos, l'enorme statua alta dodici metri un tempo situata al centro del Partenone ad Atene, la magia del berretto era scomparsa – forse anche per colpa dello scontro tra la personalità greca e romana di sua madre.
Annabeth scosse la testa.
"Ho avuto così tanti pensieri per la testa dopo Gea che il berretto è stato l'ultimo dei miei problemi" rispose "non l'ho ancora provato"
Lui annuì.
Poi le lasciò la mano sinistra e portò la sua all'altezza del viso di lei scostandole un riccio biondo sfuggitto allo chignon.
"Fa' attenzione, Sapientona" mormorò "e vedi di tornare da me"
Le diede un baio sulla fronte, come una benedizione.
"Sarò di ritorno prima ancora che te ne accorga"
Annabeth gli sorrise e poi uscì dalla camera.
Il suo senso dell'orientamento per fortuna era impeccabile: si trovava all'Istituto solo da poche ore ma aveva memorizzato tutti i corridoi e le porte.
Scese una rampa di scale e si trovò di fronte al portone d'ingresso in legno di mogano.
Emma la stava aspettando, vestita come lei: camicia bianca sotto una giacca scura, pantaloni scuri e stivali marroni.
Il capello era già calato sui capelli biondi, per mascherare il viso.
"Will ti ha detto dove si trova il Mercato delle Ombre?" chiese la figlia di Atena, mentre si posava il cappello in testa.
L'altra annuì, spalancando il portone.
"Non è lontano" disse "ci vorrà una mezzoretta per arrivarci a piedi"
Uscirono dal portone e il fresco venticello serale di Londra carezzò il viso di Annabeth come la carezza di un amante, facendola rabbrividire.
Era strano, essendo abituata al caldo di New York alle serate intorno al falò al Campo Mezzosangue, che le sere estive fossero fresche.
Ma sapeva che a Londra il tempo era perennemente nuovoloso e freddo.
Si strinse nella giacca, mentre uscivano dal cancello in ferro battuto.
Era un sollievo sapere di non essere sola nel passato, sapere che Percy fosse con lei.
Eppure era ancora più sollevata nel sapere che anche sua madre era lì, nella stessa città, da qualche parte.
Certo, tecnicamente in quel momento Atena non sapeva della sua esistenza, però poteva essere possibile che Apollo sapesse qualcosa.
Era il dio della profezia dopotutto, magari nel diciannovesimo secolo aveva avuto una visione di due semidei che due secoli dopo sarebbero finiti nel passato.
Annabeth odiava sperare, perchè sperare non portava a nulla.
Lei voleva i fatti, lei credeva nei fatti, non nelle possibilità.
Si portò una mano al collo, come sempre quando era nervosa.
Fin da quando era piccola, se una miriade di pensieri le turbinavano in testa, cominciava a giocherellare con la sua collana.
Emma notò i suoi movimenti e accennò un sorriso.
"Perchè le perle sono tutte diverse?" domandò.
Stavano percorrendo una strada sterrata, i lampioni a gas erano l'unica cosa che permetteva alle due ragazze di vedere qualcosa oltre il velo di buio.
Annabeth vide sul collo della Nephilim, mentre quella si voltava a guardarla, che la runa della visione notturna brillava segno che era in funzione.
"Ad agosto, quando finisce il Campo" spiegò "ad ogni mezzosangue viene assegnata una perla come premio per essere sopravvissuti un altro anno. Su ogni perla viene disegnato qualcosa che ha rappresentato quell'estate"
Si portò le mani dietro al collo e si tolse la collana, portandola davanti agli occhi castani di Emma affinchè potesse vederla meglio.
"Cosa significano questi disegni?"
Indicò alcune perle.
"Una trireme greca in fiamme, un centauro in abito da sera... be' quella è stata un'estate davvero strana" cominciò a spiegare "oh e il labirinto di Dedalo"
La Nephilim alzò gli occhi di scatto.
"Aspetta" la fermò "intendi quello vero? Il labirinto del Minotauro?"
Annabeth annuì, cercando di non arrossire.
Ricordò il suo primo bacio con Percy, sul monte sant'Elena.
Credeva che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui l'avrebbe visto e si era detta che non poteva più negare i suoi sentimenti.
Così aveva racimolato tutto il suo coraggio e lo aveva baciato.
Si schiarì la voce, posandò lo sguardo sull'ultima perla.
Si sentì improvvisamente triste.
"Quello è l'Empire State Building?" chiese Emma, curiosa "E quelli che girano intorno sono... nomi?"
Incontrò gli occhi grigi della figlia di Atena e capì, mordendo il labbro.
"Scusa, domanda sbagliata"
Annabeth scosse la testa.
"Due anni fa c'è stata la seconda guerra dei Titani" rispose "Crono, il signore del Tempo, era risorto e voleva rovesciare gli dei, prendendo il potere. Moltissimi semidei sono morti nella Battaglia di Manhattan"
Emma annuì piano.
"Ogni guerra comporta sacrifici" disse.
La figlia di Atena si rimise al collo la collana, infilandola sotto il colletto della camicia.
"Siamo arrivati" disse poi guardando davanti a sè "questo è Hyde Park"

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