IX. Come Ulisse

249 14 0
                                    


"Emma!"
La voce di Julian era dietro di lei.
Emma si voltò, mentre lui le veniva incontro.
Quando furono a meno di un metro di distanza, si fermò e aprì la bocca, poi la richiuse.
"Julian" la voce di lei era bassa.
Si guardarono per un lungo istante.
Gli occhi di Julian parevano scuri, poichè il loro abituale colore verde-azzurro era messo in ombra dall'oscurità del corridoio.
Emma notò che teneva le mani strette a pugno lungo la sua figura, come se fosse un soldato sull'attenti.
"Posso abbracciarti?" mormorò, quasi senza guardarla.
Lei non rispose nemmeno.
Un secondo dopo era già tra le sue braccia, stringendolo a sè e trattenendo il fiato.
Questo – l'abbracciarsi – era praticamente l'unica cosa che potevano permettersi, almeno per ora.
Chiuse gli occhi, disattivando il cervello.
Per un istante – un meraviglioso ed eterno istante – furono solo loro due, come quando erano piccoli, prima di diventare parabatai, prima che tutto ciò che li univa fosse l'unica cosa che ora li separava.
"Ero in pensiero per te" le bisbigliò all'orecchio.
Julian inspirò il dolce profumo di Emma, affondando il viso nella cascata dorata che erano i capelli di lei.
"Sono qui, ora, è andato tutto bene"
Lentamente, si scostò da lui.
"Cosa..." Julian esitò mentre il suo sguardo cadeva sulle labbra di lei, schiarendosi la voce e facendo un passo indietro, rialzando subito gli occhi "cosa avete scoperto?"
Emma fece un sospiro.
"Sappiamo dove sia l'Olimpo" disse "e come arrivarci. Ma credo che stia iniziando qualcosa di molto più grande di noi, qualcosa con cui non abbiamo mai avuto a che fare"
Julian inarcò un sorpacciglio.
"Come fai a dirlo?"
Lei scrollò le spalle, appoggiandosoi alla parte del corridoio dell'Istituto.
"Non lo so" ammise "è successo qualcosa al mercato... Annabeth improvvisamente ha cominciato a correre per tornare qui, come se avesse visto un fantasma"
"Dov'è ora?"
"Con Percy, avevo mandato Sophie a chiamarlo. Dobbiamo aspettare domani, in modo che abbia il tempo di riprendersi, poi potremo farle domande"
Emma si staccò dalla parete e cominciò a camminare.
"Ehi dove vai?" Julian la seguì con lo sguardo "È mezzanotte passata"
Lei si voltò, facendo un debole sorriso.
"Ho bisogno di parlare con Jem, Jules" disse "vado nell'unico posto in cui sono sicura di trovarlo"
Si incamminò, mentre la sua pelle abbronzata veniva illuminata dalla debole luce rosata delle stregaluci.
Tirò fuori lo Stilo dalla tasca dei pantaloni – non aveva ancora avuto occasione di rimettersi l'abito che le aveva dato Magnus, ma dopotutto si sentiva molto più a suo agio con dei pantaloni seppur maschili – e si disegnò velocemente una runa del cammino sicuro sul polso destro.
Sperò che in quel modo sarebbe riuscita a trovare la strada per la sala della musica senza troppe difficoltà.
Era molto tardi, in realtà, ma sapeva che Jem non era ancora andato a dormire.
Lo conosceva abbastanza da sapere che il suo posto preferito era senza ombra di dubbio la sala della musica, ed era lì che sarebbe stato in quel momento, in attesa del ritorno delle due ragazze dal Mercato delle Ombre.
Capì di essere arrivata nel punto che desiderava quando qualcosa le passò accanto alla gamba, sfiorandogliela.
Emma abbassò lo sguardo, stupita e si ritrovò a sorridere.
"Church!" esclamò.
Perchè il gatto persiano blu che a volte si degnava di far visita ai Blackthorn a Los Angeles si trovava proprio ai suoi piedi e la guardava imbronciato come suo solito.
La ragazza si chinò e lo prese in braccio, mentre Church produceva lievi mugolii risentiti.
"Oh quanto mi sei mancato" mormorò, stringendolo "si lo so che non ti piacciono le coccole, ma oltre a Julian sei l'unica persona – be' gatto – che conosco davvero in questo posto"
Church miagolò con disappunto.
Emma sapeva che un tempo quel gatto apparteneva a Jem, che l'aveva trovato in una casa un tempo abitata da due streghe e lo aveva salvato da un rito di negromanzia.
Quel gatto le aveva davvero passate di tutti i colori.
Si chinò nuovamente a terra, lasciandolo andare.
Il felino si limitò a guardarla con disprezzo per un istante, come se nell'abbraccio gli avesse messo in disordine il suo manto color della notte, e poi se ne andò con passo altero.
Emma nascose un sorriso, pensando che nemmeno con gli anni – i secoli a dir la verità. Quanto diavolo vivevano i gatti? – Church sarebbe cambiato.
Si girò e si chiese se fosse opportuno bussare.
Tecnicamente quella era un stanza pubblica dell'Istituto, eppure pensava che fosse un po' come il rifugio di Jem.
Fece un repsiro profondo, assecondando il suo istinto.
Si avvicinò alla porta, la mano sinistra già tesa verso il pomello in ottone quando si rese conto che la sala della musica non era silenziosa.
Una lieve melodia – chiaramente di violino – si levava dal suo interno, come una ninna nanna.
Emma fece forza sulla porta, che si aprì permettendole di vedere cosa ci fosse oltre di essa.
Jem era vicino alla finestra, con il violino sotto il mento e l'archetto in mano mentre pizzicava sulle corde.
Aveva gli occhi chiusi e sembrava più concentrato che mai, le clavicole lasciate scoperte da una semplice camicia bianca che erano lucide di sudore.
La melodia colpì Emma fino al cuore e glielo strinse.
Era così malinconica, la stessa che avrebbe potuto comporre un uomo destinato alla forca, qualche ora prima della sua ultima ora, in cui desiderava solo poter avere almeno un giorno in più.
Si rese conto che era proprio il caso del suo lontano antenato.
I capelli argentei di Jem – così chiari rispetto al castano a cui era abituata Emma – non erano certo naturali, purtroppo.
Erano gli effetti collaterali dello Yin Fen, la droga che lo teneva in vita ma che lo avrebbe inevitabilmente ucciso prima o poi.
Lei, con un certo orrore, apprese quanto il prima fosse più vicino.
La musica di Jem esprimeva ciò che lui tentava di nascondere agli altri, quanto in realtà soffrisse.
Lo stava ancora osservando, assorta, persa nei suoi vorticanti pensieri quando si rese conto che la melodia si era fermata.
"Emma?"
Emma si riscosse e arrossì, mettendosi dritta sulle spalle.
"Ciao" disse, entrando completamente nella stanza "ti ho sentito suonare"
Jem deglutì, ma rimediò subito con un sorriso gentile.
"Stavo strimpellando qualcosa di mio pugno" si limitò a dire "niente di che. Scusa se ti ho dato fastidio"
Lei sgranò gli occhi.
"Non puoi parlare sul serio! Sei bravissimo!" esclamò "Forse io non me ne intenderò molto di musica però so riconoscere del talento, e tu lo hai"
Lui scrollò le spalle, con fare modesto.
Si fermò ad osservarla, socchiudendo gli occhi argentati.
"Sicura che non ci siamo mai visti? Magari in giro per Londra?" chiese.
Emma si pietrificò.
"Non che io ricordi" balbettò "no... ehm penso proprio di no"
"Mi sembri familiare" continuò "come se ti conoscessi da una vita"
Il cuore della Nephilim perse un battito.
Era possibile che Jem sapesse della sua esistenza anche se tecnicamente lei non era ancora nata?
Era impossibile, eppure...
Se la magia esisteva, se gli dei dell'Olimpo esistevano, non c'era anche una piccola e remota possibilità che una cosa del genere potesse succedere?
"Emma" Jem la riportò alla realtà, per la seconda volta.
Il modo in cui pornunciava il suo nome era identico a quello che Emma ricordava, di qualche settimana prima.
E infine, si trasformarono in mostri.
Emma sobbalzò.
Forse avrebbe potuto chiedere al ragazzo che aveva di fronte, che ancora non era Fratello Zaccaria, che ancora non sapeva che lei e Julian erano parabatai, come spezzare la maledizione.
"Hai dei fratelli?" le chiese.
Lei lo guardò, rendendosi conto che non avrebbe potuto chiedergli nulla di quello che voleva, perchè si sarebbe creato un terribile paradosso temporale.
"No" scosse la testa "anche se i fratelli di Julian – e sono davvero tanti – sono come dei fratelli per me, parte della famiglia"
Jem annuì, sapendo bene cosa significava voler così bene a qualcuno tanto da reputarlo parte della tua famiglia pur non essendolo realmente.
"Ho sempre voluto una sorella" fece un piccolo sorriso "poterla chiamare mèi mèi. Negli ultimi anni non ci avevo più pensato, però ormai è qualche settimana che Cecily è qui e vederla con Will mi ha fatto venire nostalgia"
Aprì la bocca, come se volesse dire qualcosa ma esitò.
Emma si sporse in avanti, il cuore che le batteva a mille.
"Cosa volevi dire?" sussurrò.
Jem la fissò intensamnete negli occhi.
"Poi sei arrivata tu" disse "ed è come se la nostalgia avesse avuto fine"

Lost Love Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora