Capitolo 6. Dovere di figlia.

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Finalmente è sabato: pare io sia sopravvissuta alla prima settimana come segretaria di Alex.

Lavorativamente parlando non è andata così male, ma è stata mentalmente pesante.
Se all'inizio temevo potessero nascere tra noi scontri o discussioni, pian piano mi sono resa conto che il problema era esattamente l'opposto: non ci rivolgiamo mai la parola se non per brevi comunicazioni di carattere lavorativo, giusto quando non se ne può fare a meno.
Il silenzio che aleggia nel nostro ufficio è diventato sempre più assordante tanto che ieri era insopportabile, almeno per me.

Credo che da lunedì mi porterò una radiolina per poter mettere un po' di musica di sottofondo, sempre che Alex me lo permetta.

Nel frattempo mi godo il weekend.

Trascorro la mattinata facendo un po' di pulizie insieme a Penny - abbiamo ancora in giro qualche addobbo di Natale -  e cercando di ridare alla mia stanza una parvenza di ordine, che se non lo facessi settimanalmente rimarrei sotterrata viva sotto tutte le cose che lascio in giro.
Quando Penny esce per andare ad un appuntamento con una vecchia compagna del liceo - che lei una vita sociale l'ha sempre avuta, mica come me che ho iniziato a vivere solo dopo la maggiore età - mi preparo un pranzetto semplice ma gustoso, di quelli che piacciono a me.
Poi con lo stomaco pieno riassetto un poco la cucina e mi metto in macchina per andare a trovare mia madre, come faccio tutti i sabato pomeriggio da ormai un paio d'anni.

Mentre oltrepasso il grande cancello di ferro battuto mi chiedo, come ogni volta, perchè sono qui? Perchè mi autoinfliggo questa sofferenza?
Spesso negli ultimi mesi mi sono detta che non ci sarei più tornata e invece ogni sette giorni mi ritrovo qua, percorro il vialetto ed entro in questa grande "casa" che puzza di disinfettante.

Supero l'ingresso salutando il portinaio con un cenno della mano e vengo fermata da una voce.

"Ciao Rebecca! Hai trascorso bene le feste natalizie? Non ti ho più vista." Una delle infermiere mi saluta allegra.

"Tranquille." Le dico. La sua era una domanda di circostanza, sono certa non avrebbe voluto sentirsi dire che ho passato il giorno di Natale da sola. Penny ha raggiunto la sua famiglia a Boston per la vigilia ed è rientrata solo dopo capodanno mentre Mike mi aveva invitata a passare il giorno di Natale con lui ed i suoi parenti ma ho gentilmente rifiutato, non mi sarei sentita a mio agio con tutti i suoi famigliari.

In realtà non è stato così male il giorno di Natale in solitudine. Sicuramente meglio di quando lo passavo con mia madre: mi sentivo più sola allora, nonostante sedute al tavolo fossimo in due.
Quest'anno quantomeno sono stata libera di guardarmi tre film natalizi spaparanzata sul divano mangiando un sacco di schifezze.

L'ultimo dell'anno invece sono stata ad una festa con Mike. È stata piacevole, a tratti davvero divertente ed è riuscito a coinvolgermi e farmi sentire parte del gruppo nonostante non conoscessi nessuno a parte lui.

"Tua madre è in salotto, credo stia guardando quel vecchio telefilm alla tv." Mi dice l'infermiera congedandomi.

Quando raggiungo la sala comune vedo in effetti la donna che mi ha dato la vita seduta su una poltrona vicino alla grande vetrata che affaccia sul parcheggio. Ha lo sguardo fisso verso la televisione.
Mi avvicino lentamente, aspettando che noti la mia presenza.

"Buongiorno!" Mi accoglie con un sorriso. È contenta di vedermi, molto contenta... troppo contenta. Ed io capisco che anche oggi non si ricorda di me.
Anche oggi sono solo una ragazza che per chissà quale motivo è venuta a trovarla.

Mia madre soffre di Alzhaimer.
Ho iniziato a sospettare che qualcosa non andasse quando ha cominciato ad avere piccoli vuoti di memoria, arrivava a sera e non sapeva ripercorrere ciò che aveva fatto nell'arco della giornata.
Ben presto è stata costretta a rinunciare al lavoro ed io, appena maggiorenne e con l'ultimo anno di scuola ancora da terminare, ho cercato un lavoretto serale che ci permettesse di andare avanti senza prosciugare in un attimo tutti i nostri risparmi. Pensare che avrei voluto andarmene di casa una volta diplomata, invece mi sono trovata costretta a rimanere per prendermi cura di una madre che fondamentalmente non mi aveva mai voluto bene, non sul serio.
Col passare del tempo la situazione si è aggravata sempre più ed un paio d'anni fa ho preso la decisione di portarla in un istituto che si occupa di persone con la sua stessa patologia. Avevo ormai paura a lasciarla in casa da sola: parlava con difficoltà, non riusciva più a svolgere molte attività fisiche e aveva sbalzi d'umore spaventosi. Non sapeva più badare a sè stessa.
Inoltre iniziava a non riconoscermi e la cosa era parecchio destabilizzante per me.

Da quando è qui è leggermente migliorata sul piano linguistico ma la memoria non è tornata. Una volta a settimana la vengo a trovare, mi sento in dovere di venirci anche se mi costa un certo sforzo: mi irrita, quasi, il constatare che è più gentile con me ora che non mi riconosce piuttosto che prima, quando ero ancora sua figlia non solo per gli altri ma anche per lei.
In un certo senso però è meglio così dato che l'ultima volta in cui ha capito chi fossi mi ha aggredita - per quanto glielo permettesse la sua condizione - per averla rinchiusa in una gabbia di matti.
"Io non ti ho mai data via, non ti ho mai abbandonata, anche se non ti volevo!" Mi disse in quell'occasione. Che carina, eh?

Passo un'oretta raccontandole le ultime novità della mia vita, come se potesse capire, come se non dimenticasse tutto l'istante dopo averlo sentito, come se le importasse qualcosa di me.
Poi la saluto con un bacio sulla guancia ed esco da quel posto con la sensazione di aver fatto ancora una volta il mio dovere di figlia.

Tornando a casa in auto metto la musica al massimo volume e canto a squarciagola. Chi mi vede penserà che sono pazza o ubriaca ma è il mio modo per recuperare il buon umore che la visita a mia madre intacca sempre un po'. Faccio un giro particolarmente lungo, prendendo la via di casa solo quando mi sento meglio.
Entro in soggiorno ancora canticchiando e trovo Penny che gira per casa in mutande e reggiseno.

"Copriti che fa un cavolo di freddo! Ti beccherai un raffreddore." La rimprovero.

"Sto andando a fare una doccia... anche tu dovresti sistemarti, tra un paio d'ore dobbiamo andare a cena con Dave e Mike."

Mike.
L'ho visto solo un paio di sere questa settimana ma ci siamo sentiti ogni giorno per telefono. Sto cercando di non farmi condizionare, nel mio rapporto con lui, dal ritorno di Alex nella mia vita, ma non posso negare che il mio nuovo capo ha scombussolato gran parte dei miei già precari equilibri.
Troppo spesso mi ritrovo a fare confronti tra i due, a pensare al passato chiedendomi se le emozioni che vivo con Mike siano meglio o almeno eguagliabili a quelle che mi ha regalato Alex prima di distruggere il mio cuore e la risposta che mi dò non mi piace per niente: con Alex ho toccato il cielo con un dito sin dal primo giorno, mi sembrava di camminare sulle nuvole ogni istante che passavamo insieme, era tutta un'altra cosa rispetto ad adesso con Mike.
Ma non posso rimanere per sempre da sola perchè la persona di cui mi sono innamorata, e che evidentemente non ho ancora dimenticato, è uno stronzo patentato a cui non interesso per niente.
Devo concentrarmi su Mike.

Il mio telefono suona ed è proprio un messaggio del mio ragazzo, quasi a volermi confermare che devo davvero pensare solo a lui.

Da Mike:
Ci vediamo per le sette da voi. Mi manchi. Non vedo l'ora. 😍

A Mike:
Mi manchi anche tu. A dopo. 😘






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