Capitolo 3. Chiodo fisso.

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Da venti minuti buoni sono rinchiusa qui in ufficio ad aspettare che Alex si faccia vivo. Ogni minuto che passa la mia ansia aumenta in maniera esponenziale.
Credo di aver macinato almeno un paio di chilometri a furia di camminare su e giù per questa stanza rimuginando sulla situazione del cazzo in cui sono finita.

Non avrei mai immaginato che il signor Blunt potesse essere il padre di Alex.
Nei mesi in cui ci siamo frequentati non lavorava ancora e non mi ha mai detto che suo padre fosse il proprietario della Blunt's Company, una delle più grandi aziende di New York che si occupa di architettura, edilizia e arredamento.
In realtà non mi ha mai parlato della sua famiglia come io non gli ho mai rivelato nulla della mia.
Certo, sapevo che Alex Blunt non era uno squattrinato come me, tutt'altro, e proponendomi come segretaria per questa azienda avevo inevitabilmente pensato a lui, ma quante probabilità c'erano che fossero effettivamente parenti? Pochissime. Padre e figlio, poi? Quasi nessuna!

Mentre guardo fuori dalla finestra, verso il meraviglioso parco su cui affaccia quest'edificio, ripenso a cose, situazioni, emozioni che nell'ultimo anno ho cercato in tutti i modi di cancellare dalla memoria o, quantomeno, di relegare in un cassetto chiuso a tripla mandata. E credevo anche di esserci riuscita, povera illusa!
Invece è bastato rivedere Alex e quei ricordi da cui avevo imparato a sfuggire sono tornati a tormentarmi, vividi come non credevo possibile.

Sobbalzo quando la porta si apre di scatto lasciando entrare colui che dovrebbe essere il mio nuovo capo.
Si avvicina alla sua scrivania che si trova a pochi metri dalla mia, sempre se lo sarà ancora, e ignorandomi completamente come se fossi parte dell'arredo si butta sulla poltrona imbottita. Ad occhi chiusi, inizia a borbottare sottovoce.

"Alex..." Provo timidamente a richiamare la sua attenzione.
Lui alza improvvisamente lo sguardo verso di me, congelandomi con i suoi occhi blu. Giusto un paio di secondi in cui il mio cuore perde un battito, poi inizia a trafficare con i fogli che ha sulla scrivania.

"Ho tentato in tutti i modi di assegnarla ad un altro ufficio, signorina White, ma mio padre si è impuntato, sfortunatamente."

Oibò, mi dà addirittura del lei?
Non mi aspettavo di certo di intavolare una chiacchierata amichevole ma non riesco a capire tutto questo suo risentimento nei miei confronti.
Infondo è lui ad essersi comportato di merda.
Lui si è preso gioco di me per mesi.
Lui è sparito senza nemmeno la decenza di inventarsi una scusa.
Lui mi ha vomitato addosso la sua schifosa verità quando l'ho cercato e si è reso conto che non mi sarei arresa senza delle spiegazioni.
Non ha alcun diritto di essere così antipatico e scontroso.

"Dovremo cercare in qualche modo di convivere, evidentemente. Almeno finchè non troverò una soluzione al problema."

Certo, sono un problema da risolvere. Quantomeno non è ancora riuscito a farmi licenziare. Ben gli stà!

"Questi..." mi mette sulla scrivania una pila di cartellette "...sono i documenti di cui si deve occupare oggi. Credo che mio padre le abbia spiegato le sue mansioni quindi cerchi di fare il suo lavoro e di disturbarmi il meno possibile."
Si allontana velocemente, come se stando a meno di due metri di distanza rischiasse di prendere la peste.

"Signor Blunt." Anche io passo alla formalità, se è quello che vuole. "Lasci che le dica solo una cosa: mi spiace che sia costretto a lavorare con la sottoscritta e che questo la turbi così tanto, ma le assicuro che anche per me non sarà assolutamente un piacere. Non me ne vado solo perchè ho terribilmente bisogno di uno stipendio ma le assicuro che non le darò fastidio, sarà come se io non esistessi, proprio come lei desidera. Potrà concentrarsi sulle cose importanti di cui deve occuparsi senza alcuna interferenza da parte mia."
Questa allusione a ciò che mi disse lo scorso anno avrei dovuto evitarla. Volevo fargli un discorso cazzuto e invece sul finale mi sono rammollita andando a rivangare cose vecchie, come se per me fossero questioni non chiuse, ferite che bruciano ancora.

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