Capitolo 9. Il mio Alex.

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Sono le 5.30 del mattino e sono già sotto casa, al freddo, con una valigia al mio fianco in attesa che Alex mi passi a prendere. Non so da dove arrivi tutta questa puntualità, forse dall'agitazione che mi ha fatta svegliare prima ancora che suonasse la sveglia.

Quando Alex ha saputo che sarei andata con lui al convegno ha avuto un'accesa discussione con suo padre, li hanno sentiti tutti i dipendenti del quinto piano. Non si capiva bene cosa si stessero dicendo ma è tornato alla sua scrivania furente di rabbia.

"Abiti sempre allo stesso appartamento? Ti passo a prendere domattina a 5.30. Puntuale." Mi ha ringhiato addosso.

Non ho potuto non notare come abbia improvvisamente accantonato le formalità: non mi ha dato del "lei". Ma so che l'ha fatto solo perchè, incazzato nero, non è riuscito a mantenere la sua maschera di freddezza ed indifferenza.
In realtà ha poco da arrabbiarsi con me, tutto questo non è di certo colpa mia! Se non è riuscito lui a dissuadere il grande capo dal farmi partecipare al convegno, non avrei certamente potuto farlo io.

Una macchina si ferma davanti a me, nera, sportiva, bella, probabilmente costosissima. L'ha cambiata dallo scorso anno.
Il baule si apre da solo ed io, non senza qualche difficoltà, infilo la valigia accanto a quella del mio compagno di viaggio continuando a pensare a quanto la situazione sia particolare.
Quando apro la portiera del passeggero per salire nell'abitacolo il mio cuore perde un battito: è illegale, talmente è bello.
Mi ero abituata a vederlo vestito elegante, pantaloni scuri e camicia, ed era un gran bello spettacolo ma ora, con i jeans strappati, un giubbino sportivo e il cappellino in testa mi ricorda troppo "il mio Alex", il ragazzaccio che avevo conosciuto tanto tempo fa e che mi aveva rubato il cuore.
Cerco di contenere le emozioni e salgo in auto, venendo investita dal suo profumo inebriante. E che cazzo! Io mi sforzo, cerco di far la brava, di non pensare al passato... ma tutto sembra remare contro di me!

"Allaccia la cintura." Mi dice brusco, partendo.
Buongioro anche a te, penso.

Fuori è buio, il sole non è ancora sorto, i fari dell'auto illuminano la strada davanti a noi. Non è trafficata come di giorno ma comunque un po' di macchine si vedono, del resto siamo a New York, la città che non dorme mai.

Nonostante la situazione potenzialmente imbarazzante mi sento abbastanza serena e disinvolta.
Mi appoggio con la testa al finestrino ma mi discosto subito, è troppo freddo. Ricordo improvvisamente di avere anche le mani gelate, così le avvicino alle bocchette del riscaldamento che fortunatamente è acceso al massimo. Quando mi sento meglio mi metto comoda sul sedile e, consapevole che Alex non ha la minima intenzione di fare conversazione, chiudo gli occhi.

Il rumore della portiera che sbatte mi risveglia. Mi guardo attorno notando che siamo fermi ad un distributore di benzina e Alex, di fianco all'auto, sta trafficando con la pompa per fare il rifornimento.
L'orologio segna le 8.30, ho dormito tre ore in una posizione scomodissima e mi sento a pezzetti, così decido di sfidare il freddo e scendo anche io per sgranchirmi un po'.

"Vado in bagno e a comprare la colazione. Prendo qualcosa anche per te." Dico ad Alex dirigendomi verso il piccolo barettino senza aspettare una sua risposta.

In bagno per fortuna non c'è troppa coda, faccio pipì e corro davanti alla vetrinetta del bar. Ci penso bene e alla fine scelgo di prendere una brioche ai frutti di bosco per me, una al cioccolato per Alex e due caffè da asporto. Prendo anche una confezione di dolcetti al cacao ed una bottiglietta di acqua, nel caso ci venisse di nuovo fame prima di arrivare a destinazione.

Tornata in macchina porgo ad Alex le cose che ho preso per lui. Mi fingo sicura di me ma in realtà ho il timore che le possa rifiutare, orgoglioso com'è. Invece le accetta mugugnando qualcosa che assomiglia ad un "grazie".

Ben presto siamo di nuovo in viaggio. Non ho più sonno e dopo un po' che guardo fuori dal finestrino inizio ad annoiarmi. È decisamente più semplice rispettare il nostro tacito voto di silenzio quando siamo in ufficio impegnati nel lavoro. Ora, in queste condizioni, mi risulta molto più complicato.

"Facciamo un gioco?" Propongo. "Dobbiamo indovinare le canzoni che passa la radio. Se le indoviniamo dalle prime note 3 punti, se le indoviniamo durante la strofa 2 punti e se le indoviniamo solo col ritornello 1 punto."
Alex mi guarda storto.

Indovino le prime due canzoni già dalle prime note e la terza alla strofa. Alex non fiata, evidentemente non vuole giocare, ma sono sicura che nella sua mente lo stia facendo eccome.

"Di sicuro non è difficile ricordare il punteggio. Tu sei sempre a zero." Dico per punzecchiarlo.

Qualche canzone più tardi mi vien voglia di assaggiare i biscotti che avevo acquistato al bar. Ne prendo uno ed allungo il saccherto ad Alex che ignora bellamente il mio braccio proteso verso di lui.
In compenso afferra senza chiedere il permesso la bottiglietta d'acqua che avevo appoggiato nell'apposito spazio tra i due sedili, vicino al cambio, ne beve un paio di sorsi direttamente dalla bottiglia e poi la ripone. Quando la prendo anche io per bere un goccio d'acqua non posso far altro che pensare che, un attimo fa, le sue labbra erano appoggiate dove adesso ci sono le mie. È un pensiero stupido ed infantile, ma non riesco a liberarmene, è più forte di me.

Da quando le nostre strade si sono incrociate di nuovo sto cercando in tutti i modi di convincermi che non mi interessa più niente di questo ragazzo. Non devo più pensare a lui, perlomeno non in certi termini, ma l'impresa è davvero ardua.
Come faccio se tutto ciò che Alex fa o dice sembra avere un collegamento diretto con i miei sensi, le mie emozioni, i miei sentimenti? Ogni suo comportamento colpisce in pieno il mio cuore, baypassando completamente la mente, e lo fa vibrare di gioia, tristezza, rabbia a seconda della situazione. Per motivi diversi, ma lo fa vibrare forte.
E questo mi fa sentire in colpa perchè un nuovo ragazzo meraviglioso come Mike proprio non lo merito.

Come se l'avessi invocato il mio cellulare suona annunciando una sua chiamata.

"Reb, tutto ok? Siete arrivati?" Sento che si sforza per mantenere un tono tranquillo, spensierato.

"Quasi. Mancano... una trentina di chilometri." Dico guardando i cartelli stradali a lato della strada.

"Tutto bene?"

"Certo, un po' stanca ma è tutto ok, stai tranquillo."

"Ci sentiamo stasera, allora."

"Va bene, buon lavoro. Un bacio."

Poso il cellulare nella borsa e mi impongo di smettere di far frullare il cervello almeno per gli ultimi chilometri che restano da parcorrere.

Quando la macchina inizia a rallentare mi ridesto dalla stato di trans in cui ero finita, guardo fuori dal finestrino e vedo l'hotel che ci ospiterà per questi tre giorni. La ricerca su Trip Advisor che ho fatto ieri diceva che è uno degli alberghi più belli di Richmond. Già dall'esterno, in effetti, trasmette lusso all'ennesima potenza.
Svoltiamo a destra nel grande parcheggio riservato agli ospiti della struttura e parcheggiamo in uno spazio libero.

Alex scarica entrambe le valigie dal baule. Una gentilezza, miracolo! Insieme ci dirigiamo alla reception dell'hotel, talmente sfarzosa da lasciarmi a bocca aperta. Qui una bellissima ragazza, senza mai smettere di mangiarsi Alex con gli occhi, ci consegna le chiavi delle nostre stanze.
Saliamo con l'ascensore fino al terzo piano: le nostre camere sono l'una a fianco dell'altra.

"Ci vediamo alle 13.30 nella hall per l'inizio del convegno. Per il pranzo mi farò portare qualcosa in camera, così mi posso riposare un po'. Fallo anche tu. Pagherà tutto l'azienda." Senza indugi entra nella sua stanza e si chiude la porta alle spalle.









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