racconto breve che partecipa al Concorso San Valentino: Amori&Cuori Infranti di #AmbassadorsITA
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Osservare in controluce lo splendore dell'acciaio mi provocava sempre un brivido di piacere: adoravo sfiorare quella superficie lucida, liscia, algida. Mi somigliava, era proprio come me; almeno così mi avevano descritto le mie amanti occasionali. Ero acciaio: inscalfibile, duro, freddo come il ghiaccio.
I polpastrelli accarezzavano quel ripiano conosciuto, quella landa di certezza in un infinito mare di dubbi, come si sfiora il volto di un vecchio amico, con confidenza, con rispetto; con un affetto che avrei dovuto riservare a compagni meno inanimati. Quanto avrei voluto che quella carezza fosse ricambiata, quanto avrei desiderato che tutte le donne con cui ero stato, riuscissero anche solo per un istante, a percepire oltre l'armatura che mi bardava, il battito frenetico del mio cuore. Nessuna di loro, però, si fermava a guardare oltre: oltre l'aspetto; oltre la professione; oltre la fama, oltre il denaro che mostravo, non senza un certo compiacimento, di avere. Nessuno di loro era come lei. Lei era riuscita a superare tutti gli ostacoli che le ponevo davanti, e superando con un sorriso, la barriera di inflessibilità che mi proteggeva, mi aveva strappato il cuore dal petto, spezzandolo in mille frammenti sanguinanti.
Respirai lentamente, mentre un brivido mi corse lungo la spina dorsale. Pensare a lei aveva sempre un effetto devastante sulla mia psiche, pensare a lei faceva male, lacerava l'anima, squarciava il cuore nel petto. Per lei avevo rinunciato a tutto, l'avevo fatto per amore; un amore che credevo ricambiato, ma forse lo credevo io soltanto.
Come avevo fatto a essere così stupido? Come avevo potuto lasciarmi ingannare così, come un ragazzo alle prime armi?
Misi una mano tra i capelli e sorrisi amaramente; a volte le domande sono complicate e le risposte sono semplici, e la risposta era semplicemente una: mi ero innamorato, e l'amore rende ciechi.
E così avevo lasciato le luci della città, lo splendore delle sue notti piene di divertimenti e sesso facile; avevo lasciato il mio lavoro, e un cospicuo stipendio, e mi ero trasferito in questa piccola città. L'avevo fatto senza pensarci, seguendo la scia di un sentimento che mi aveva travolto con la forza di un uragano. Ora ero qui, solo, in una città che non mi conosceva e che mi era estranea, a fare un lavoro che non avevo mai pensato di fare, ma che stranamente mi aveva aiutato a superare (forse) il dolore del distacco.
Come se fossi stato chiamato a svolgere un compito che mi era sconosciuto, mi avvicinai alla finestra, passandomi una mano tra i capelli. La luce, all'esterno, era così intensa; l'atmosfera così limpida; così vera; così diversa dai colori, vividi e falsi, del luogo dal quale provenivo.
Ripensai a me e alla strada che avevo scelto di intraprendere dopo che lei era scomparsa dalla mia vita. Insegnare non era mai stata la mia massima aspirazione, ma oggi, in questo particolare luogo, in questa stanza, di questa strana piccola scuola, tutto mi sembrava diverso, quasi magico.
Oggi, forse, ero felice.
Poi improvvisa, una voce inattesa e nota, mi sorprese alle spalle: chiamava il mio nome. Non mi voltai.
Sapevo chi fosse e ne avevo terrore. Non volevo incontrare i suoi occhi, guardare il suo volto, perdermi tra i mille riflessi dei suoi capelli... non più. Ero scappato da una vita che mi stava stretta; avevo inseguito l'istinto e l'amore; ero stato travolto da un sentimento troppo forte perché riuscissi a contenerlo, talmente totalizzante, distruttivo, catalizzante e assoluto da riuscire ad annientarmi il cuore e l'anima.
Rimasi a fissare il paesaggio, che filtrato dalla finestra, si distendeva davanti ai miei occhi. La primavera era sul finire e la tiepida aria d'inizio estate già scaldava timidamente la mia pelle. Rimasi immobile, incapace di reagire, incapace di arginare il fiume di emozioni che rischiava di travolgermi.
La sua presenza era ancora lì, aleggiava attorno alla mia anima, mi stringeva con braccia invisibili, m'induceva a voltarmi. Non lo feci. Sapevo, che se non mi fossi voltato, quella voce, la sua voce, quella che ogni notte popolava i miei sogni, sarebbe scomparsa, lasciandomi come sempre solo, disperato, distrutto.
Una lacrima scivolò lenta sulla mia guancia. Respirai profondamente, cercando di scacciare l'ansia crescente che mi tormentava a ogni ricordo; quella sofferenza intensa, che anche a distanza di alcuni anni, ancora mi lacerava il cuore.
Il mio sguardo si perse, tra il verde brillante e profondo del bosco che circondava il luogo in cui lavoravo, tra le piccole ordinate villette col tetto a falda, tra le strade mai troppo affollate, tra i luoghi di questa piccola città che ora mi erano un po' meno sconosciuti.
Ero capitato lì per caso, inseguendo quella che pensavo come amore, e quella piccola città, circondata da fitta vegetazione e dolci colline; con i suoi colori, i profumi e i sapori che la permeavano, mi aveva attratto a sé, conquistandomi con la sua pigra lentezza.
Ancora una volta il mio nome, pronunciato con dolcezza e struggimento, risuonò alle mie orecchie. Quella voce che non mi abbandonava mai, era ora alle mie spalle, più reale del vero, più concreta di un sogno.
Non dovevo voltarmi, me ne sarei pentito. Avrei sofferto, avrei pianto amare lacrime di delusione.
"Luca!" mi chiamò, e una nota d'intenso dolore risuonò nell'aria ormai densa e impregnata di lei.
Io stavo già piangendo.
Allora cedetti, voltando il viso verso la stanza illuminata solo dalla fioca luce di un sole calante.
Ero solo, ancora una volta, assolutamente, incontrovertibilmente solo.
Era stata una giornata come tante, di una settimana come tante, eppure oggi una strana magia impregnava l'aria: la sentivo sulla pelle; la percepivo con tutti i sensi. La sua voce, solo la fantasia di un'anima lacerata, che cercava un modo per rimettersi insieme. Allora chiusi gli occhi e voltai le spalle alla stanza vuota. Fuori dalla finestra, il cielo stava tingendosi di tonalità aranciate, il tramonto stava lasciando spazio alla notte, un'altra notte solitaria.
Stavo male, dovevo prenderne atto, e questo dolore stava influendo sulla mia vita come un acido, che lento e corrosivo, strappava via, pezzo a pezzo, brandelli del mio cuore.
Come avrei fatto convivere con i miei fantasmi, senza che nulla riuscisse a distrarmi?
Mi guardai attorno, cercando di trovare una spiegazione logica all'insolita tensione di quella giornata, ma non la trovai. Niente di diverso attorno a me, tutto era al posto giusto, come ogni giorno, come sempre.
Carezzai ancora la lastra d'acciaio e un leggero sorriso fiorì sulle mie labbra.
Era il luogo in cui preferivo stare e questa era la mia ora preferita: quella della quiete prima della tempesta.
Fra poco la stanza sarebbe stata ricolma di voci, di suoni, di odori. Fra poco, come animato da una magia nota, tutto avrebbe ripreso vita.
"Il mondo intero è un palcoscenico, e gli uomini e le donne, tutti, non sono che attori" diceva Shakespeare, e allora... che lo spettacolo abbia inizio.
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Short StoryRaccolta di one Shot di vario genere. A piacere :) Contiene testi partecipanti a vari concorsi, tra i quali: Ambassador italia la libreria del cappellaio matto, festivalbook, il contest-non contest attenzione! attraversamento lumache di @PMIllerE...