Il mare e le costruzioni quasi si baciavano, in quella piccola città dall'architettura pressoché anonima, che si srotolava come un nastro variamente colorato lungo la costa adriatica; l'una di fronte all'altro, separati soltanto da una sottile striscia di asfalto e sabbia, la città allungava le sue dita di cemento verso il mare, nella vana speranza di possederlo, di sfiorarlo, di tuffarsi in esso come ci si tuffa tra le braccia di un amante. Ma la strada, fascio rettilineo, scura arteria ridondante di rumori e pregna di odore di fumi di scarico, impediva che questo abbraccio si compisse pienamente.
Come un padre geloso che impedisca alla figlia di incontrare il suo fidanzato, se non alla sua presenza, così la strada e la sabbia impedivano alla piccola città di appropriarsi totalmente della sinuosa linea di costa.
Non potevano toccarsi, il mare e la città, non senza che qualcuno tentasse di frapporsi tra loro; e allora, fissandosi negli occhi come prima di un duello, si amavano e si odiavano a distanza, concedendosi incontri fuggevoli: talora teneri, come la luce dell'alba che si rifletteva sulle sonnacchiose finestre che guardavano verso l'orizzonte; altre volte violenti, come il vento, che soffiando da est, sollevava nuvole di sabbia che scrostavano intonaci, riempivano le strade, coprivano i balconi abbandonati; talora la città, arrampicata fin sopra la prospiciente collina, si rispecchiava nel mare, quando i giochi del complice sole le permettevano di proiettare in esso la sua ombra incombente; altre volte, nei giorni di burrasca, era lui, il mare, ad accarezzarla con dita salmastre e umide come lacrime.
Si amavano e si odiavano, il mare e la città, si volevano e si respingevano, desideravano toccarsi ma non osavano farlo fino in fondo. Sapevano che, se l'avessero fatto, questo abbraccio sarebbe stato fatale, forse per entrambi. E allora si studiavano guardandosi teneramente o rispettandosi fieramente; talora tentavano di sfiorarsi, altre volte era la natura, ormai addomesticata dalla mano dell'uomo, a frapporsi tra loro: un piccolo parco con giostre cigolanti, un fiume dagli argini cementati, che la natura cercava disperatamente di colonizzare, un porticciolo dalle braccia arcuate la cui costruzione non era mai stata portata a termine. Tutto contribuiva al desiderio di contatto tra natura e artificio, al possente bisogno della piccola città di non sentirsi così insignificante di fronte alla magnificenza della natura, davanti all'infinito orizzonte che si stendeva sotto i suoi piccoli occhi di vetro.
In inverno, quando tutto è silenzio e il vento si insinua tra le case, gli abitanti della piccola città sembrano quasi sentirlo il richiamo di quel mare allontanato a forza, distanziato da mani avide di terra e di profitto, quel mare negato, nascosto dalle opache cortine delle ville di lusso e dall'edilizia approssimativa del periodo post bellico, che senza soluzione di continuità si snodano lungo quel grigio nastro stradale, occludendone la vista al passante distratto. Solo allora, al sicuro nei loro letti, gli abitanti della piccola città ricordano chi erano. Nelle notti in cui il mare e il vento ululano la propria rabbia e frustrazione, essi ricordano quando, nei giorni di bonaccia, erano soliti salpare sulle barche, allora ancorate alla foce del piccolo fiume, oggi trasformato in uno sporco rigagnolo, e navigare in quel mare, e in quel mare gettare le reti... in quelle acque che generosamente li avevano sfamati. In quelle notti, gli abitanti della piccola città ricordavano ciò che erano: abitanti di una città in cui il mare è costretto a urlare pur di mostrarsi, pur di far loro presente la sua costante, preziosa esistenza.
L'inverno lascerà spazio alla primavera e poi all'estate e la piccola città costiera cambierà faccia, smetterà gli abiti grigi e nebbiosi e si vestirà a festa. Le finestre si apriranno, riempiendo di luce stanze troppo a lungo chiuse, i balconi fioriranno di gerani e campanule; e si preparerà, la piccola città, si preparerà all'invasione. Le sue strade si riempiranno di truppe ciabattanti, di voci sguaiate, di musica ad alto volume e volti scuriti dal sole; la sottile, fragile spiaggia sarà invasa dai colori e dal suono incessante di un tormentone che verrà ricordato soltanto per una stagione; il giorno sarà lungo e caldo e la notte non abbastanza fresca e silenziosa da rigenerarla. E allora il mare perderà nuovamente la sua voce, sopraffatto da tanti, troppi suoni e gli abitanti dimenticheranno l'essenza vera della città che li ospita. Il mare diventerà oggetto, qualcosa da sfruttare, non una presenza costante, non un orizzonte che ti accoglie, non il luogo che puoi chiamare casa.
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