𝘗𝘢𝘳𝘵𝘦 19

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Un odore acre avvolgeva con insistenza le mura della ampia casa,
gli scarti di quella gioiosa serata giacevano, alcuni finiti per metà ed altri finiti intoccati, su dei piattini in ceramica.
Gli scovolini della scopa scivolavano lenti sul pavimento,
Il timbro, basso e calmo, ricordava tanto il fruscio delle foglie secche d'autunno agitate del vento freddo di stagione.

Nell'altra stanza, invece, il mocio danzava a terra eliminando macchie e segni impuri che segnavano e stonavano con il parquet ben tenuto del soggiorno.
Goccioline d'acqua ricadevano, ad ogni strizzata, all'interno del secchiello come la pioggia precipitava abitualmente nella Londra autunnale.
La differenza, però, era che, in quel giorno, la tipica serata temporalesca della città era stata sostituita da una candida e placida nevicata.
Fiocchi gonfi e freddi volteggiavano nell'aria fino a depositarsi, con molta destrezza, in superficie.
A Londra la neve, portatrice di gioia e serenità, veniva vista come un miraggio: Lì non nevicava quasi mai per il clima estremamente umido.

Un largo sorriso, che arrivava probabilmente fino alle orecchie, si fece prepotentemente spazio nel mio viso.
Per un momento, mi ero permessa di ignorare le pulizie per osservare quel fenomeno che era straordinariamente in grado di scaldarmi l'animo.
Arrivai quasi a posare il naso, piccolo e stretto, sul vetro splendente della finestra, così come avrebbe fatto una piccola bambina innocente alla vista di un qualcosa di così bello.

I fiocchi erano lenti, ma copiosi e ricolmi di bianco niveo. Scendevano in continuazione, senza sosta.
Quella era un'immagine così remota ai miei occhi che quasi mi veniva un capogiro.
Tuttavia, non riuscivo a separarmi da quella vista così bella e aggraziata.
Per poco non mi cimentai addirittura nel fare una gara tra quale fiocco cadesse a terra per primo, così come ero solita a fare, tanto tempo fa, con le goccioline d'acqua piovana sul finestrino della macchina durante i lunghi viaggi.

Purtroppo però, quegli attimi di ritorno all'infanzia svanirono in poco, pochissimo tempo.

<Petra, non hai ancora finito di pulire, cosa stai facendo?>
Mi richiamò Levi, mostrandosi con il la fascia bianca che si avvolgeva sempre nei capelli, lisci e corvini, durante le pulizie.

Lo guardai per un attimo.
<Eccomi...>
Mi allontanai tristemente da quella finestra che mi aveva permesso una visione tanto bella quanto aggraziata.

Levi, invece, non smise di osservare, prima me poi la vetrata, nel mentre che stavo riprendendo la scopa tra le mani, con un'espressione forse un pochino confusa, anche se sempre atona e incolore.

<Cosa guardavi?>

Sorrisi timidamente, guardando in basso.
<... niente, avevo solo sentito un rumore>
Fortunatamente l'uomo sembrò non notare la malinconia che avevo involontariamente celata negli occhi.

La serata che io e Auruo avevamo organizzato era ormai giunta al termine.
Levi aveva finalmente incontrato, dopo tanti anni, i suoi amici di vecchia data, che lo avevano sorpreso con un calore e una sincerità che non avevo mai visto.
Era tardi ormai, ma io ero rimasta per dare una mano a pulire. La casa, questa volta, era davvero piena di sporcizia, ma per altro cosa ci si poteva aspettare?
Auruo aveva insistito tanto per restare a pulire, ma Erd e Gunther, per grazia divina, erano riusciti a portarlo via.

Quella sera sarei rimasta a dormire lì, in casa Ackerman, per la seconda volta.
Questa volta non biasimavo Levi, però.
Non che ci tenessi a restare, ma erano ormai le due di notte, fuori nevicava davvero tanto e, per altro, se fossi tornata a casa avrei svegliato Hanji che non si sarebbe fatta scrupoli ad uccidermi.

Ero rimasta vaga quando, un'ora prima, Hanji me lo aveva proposto. Sicuramente (per fortuna) non aveva organizzato il tutto senza il consenso di Levi. Egli si era mostrato piuttosto neutro sulla questione.
Ma la verità era un'altra: Avevo la costante ed enorme paura di essere di troppo.
Levi non era la persona più sociale del mondo, conoscendolo avevo capito che era piuttosto solitario ed amante della tranquillità.
Lo avevo spesso osservato, durante i miei turni, con il suo amatissimo tè nero a leggere un giornale senza fare il minimo fiato.
Ogni tanto parlavamo.
Si, era successo qualche volta, magari prima che andassi via oppure quando avanzava del tè che mi permettevo di bere assieme a lui.
La maggior parte del tempo, però, parlavo sempre io.
Lui stava zitto e se doveva parlare tagliava corto, restando sempre breve e sintetico.
Tuttavia, ero spesso felice nel constatare che lui non sembrava mai annoiato nel sentirmi. Ascoltava sempre e interrompeva pochissime volte, se non per fare domande.
Io, invece, gesticolavo sempre, era un vizio che mi portavo dietro da anni. Quando lo facevo lui seguiva attentamente i miei gesti, come se potessero effettivamente portare a qualcosa.
Gli avevo raccontato aneddoti ed episodi della mia vita, alcuni divertenti, altri un po' più seri, anche se non mi ero mai sentita di andare in fondo.

𝘚𝘸𝘦𝘦𝘵 𝘤𝘰𝘭𝘥 //𝘙𝘪𝘷𝘦𝘵𝘳𝘢Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora