Capitolo 1 - La Rivelazione -

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La sua mente era un groviglio di pensieri cupi, proprio come le nuvole di quel mattino. Alzò lo sguardo al cielo e una goccia di pioggia si posò delicatamente sulla sua fronte.
Quel giorno il cielo sembrava fosse stato appena dipinto. Soffici nuvole fluttuanti e piovose facevano da sfondo a quella città eterna. Sembravano quasi galleggiare nell'aria.
L'atmosfera fosca che regalava un giorno di pioggia lo appagava molto, si trovava in perfetta armonia con i colori del cielo. Le nuvole grigie che celavano dietro tuoni e saette rispecchiavano esattamente il suo perenne stato d'animo.
Continuò a camminare senza distogliere lo sguardo sopra di lui e pensò che in fondo tra il cielo e le persone non ci fosse poi così tanta differenza. Anche l'animo dell'essere umano è mutevole come quel soffitto blu. A volte le sue giornate sono piene di nubi tempestose, altre invece sono soleggianti in un'immensa distesa celeste.
Sorrise.
Pensò a quanto fosse assurda la sua mente nel poter comporre pensieri simili e fu sollevato dal fatto che quelle riflessioni sarebbero rimaste tali e che nessuno ne sarebbe mai venuto a conoscenza. Lo avrebbero preso sicuramente per pazzo anche se lui non ci trovava nulla di strano nell'analizzare l'ambiente intorno a sé. Infondo l'uomo e la natura vivono ogni giorno in perfetta sintonia, uno la mente e l'altra il braccio.
Un tuono improvviso distrusse quel momento di considerazioni profonde e lo riportò alla realtà e alle sue preoccupazioni.
Arezio era sempre più angustiato per l'incolumità del popolo.
Attraversò diverse viuzze di Roma, con l'intento di scovare validi giovani per affiancarlo nel suo lungo viaggio verso la salvezza dell'umanità.
Era una fredda giornata di Gennaio, il vento si alzò burrascoso e fece ondeggiare i suoi lunghi capelli castano come l'ebano, legati in un nastro rosso e il mantello bianco che contornava il suo corpo muscoloso e giunonico. Ogni fanciulla del quartiere, alla sua vista, si affacciava curiosa dalla finestra per assaporare la bellezza dell'uomo, alcune ne restavano completamente ammaliate. La sua virilità e il suo sguardo misterioso e penetrante era oggetto di chiacchiere maliziose. Tra le loro risa innocenti e sbarazzine, Arezio avanzò con passo deciso e sicuro di sé non curante di ciò che le giovani donne sussuravano l'una all'orecchio dell'altra.
Tutti lo conoscevano ma nessuno sapeva nulla di lui, la sua vita era un mistero.
Per Arezio non c'era tempo per le donne, gli amici, il tempo libero, l'amore. Non è mai stato un infante come tutti gli altri, divenne un uomo tutto in fretta quando quel maledetto giorno qualcuno uccise suo padre davanti i suoi occhi. Il suo viso pallido gli restò impresso nella mente, scolpito per sempre nei suoi ricordi. Aveva solo dieci anni quando un uomo, vestito di nero, gli portò via un pezzo della sua famiglia e della sua infanzia.
Deciso ad avere giustizia cominciò ad interrogarsi, a chiedersi il perché di quel gesto, perché proprio suo padre. Quel fatidico giorni si trovava in giro con sua madre per aiutarla con le compere per i mercati di Firenze. L'aria era calda e il sole alto. Molte persone si trovano in strada, chi per prendere un po' d'aria, chi per passeggiare, chi per acquistare qualche prodotto alimentare o chi semplicemente per fare una chiacchiera su una panchina. Arezio si aggirò per i mercati immerso nei suoi pensieri quando si ritrovò davanti a sé un piccolo gatto nero, evidentemente malnutrito. Arezio si impietosì davanti quel piccolo essere indifeso e decise di prenderlo tra le sue braccia per poterlo medicare e coccolare. Da bambino aveva un animo sensibile ed era facilmente impressionabile. Crescendo, invece, non lasciò mai trapelare le sue emozioni, piuttosto preferiva che il suo cuore si contorcesse di dolore o di gioia facendo parlare i suoi occhi per sé.
Allungò le sue gracili braccia verso il felino quando questo, con un balzo, si allontanò da lui e, zoppicante, se ne andò. Decise di inseguirlo, facendosi spazio irruentemente tra la folla per non perderlo di vista. Si spinse sempre più lontano quando d'improvviso il gatto salì sopra un muretto tuffandosi poi dall'altro lato. Arezio sbuffò ma non si perse d'animo. Si affacciò da quel muro e con occhi vigili cercò la sagoma del felino. Ma quel gatto non c'era più, era svanito nel nulla. Arezio si scoraggiò immediatamente e vide sfumarsi l'intero pomeriggio ad accarezzare ed accudire quell'animale. Decise di tornare da sua madre, probabilmente anche abbastanza preoccupata, quando sentí un uomo parlare, una voce familiare. Avrebbe riconosciuto quella voce anche in mezzo a un coro di persone.
Si sporse di nuovo da quel muretto e vide suo padre. I suoi occhi si illuminarono. Stimava molto suo padre. Per lui era come un oracolo, un saggio. Adorava il suo coraggio, la sua intelligenza, la sua furbizia. Un giorno, ripeteva sempre, sarebbe diventato come lui.
Lo sguardo di Arezio si incupì in un attimo. Suo padre era tenuto spalle al muro, parlava con un uomo incappucciato, vestito con una tunica nera, che impugnava un coltello alla sua gola. Arezio cominciò a preoccuparsi per la sua incolumità ma in cuor suo sapeva che sarebbe stato in grado di difendersi da quell'uomo.
Origliò i loro discorsi segretamente. Suo padre non avrebbe approvato e se lo avesse beccato ad ascoltare le sue conversazioni private si sarebbe infuriato parecchio ma era troppo curioso e quella situazione non prometteva nulla di buono. Sarebbe corso in suo aiuto immediatamente nel caso ci fosse stato bisogno di lui. Continuò ad ascoltare ma non capì di cosa stessero parlando. Una parola, però, lo colpì.
Templari.
Non l'aveva mai sentita pronunciare da suo padre e il tono che aveva assunto nel proferirla era funesto. Chi erano? Cos'erano? E cosa volevano da suo padre?
Mentre quella parola echeggiava rimbombante nella sua mente in cerca di un significato, un urlo lo fece tornare in sé.
Spalancò gli occhi, incredulo di quello a cui aveva appena assistito.
La gola di suo padre fu recisa.
Egli mise la sua grande mano sul suo collo grondante di sangue mentre quell'individuo misterioso si voltò e se ne andò con passo fiero.
Restò atterrito, fissando gli occhi vitrei di suo padre, il quale lentamente scivolò a terra. Il cuore di Arezio battè all'impazzata.
Sapeva che da un momento all'altro suo padre si sarebbe rialzato ed avrebbe dato una lezione a quell'uomo. Si immaginò subito il momento in cui, quella sera stessa, davanti a un pasto caldo, ne avrebbero discusso insieme, con il resto della famiglia.
Arezio scorse un sorriso soddisfatto, malefico, nel volto di quell'uomo. Un brivido pervase la sua schiena, non riuscì ad emettere nessun suono nonostante la sua bocca fosse aperta. I suoi muscoli erano completamente pietrificati.
L'uomo vide il viso angelico del piccolo fanciullo e la sua espressione diventò rabbiosa. Arezio se ne accorse e capì di essere in pericolo.
Suo padre si accasció definitivamente a terra spalancando i suoi grandi occhi alla vista di suo figlio.
L'uomo incappucciato si diresse verso Arezio con l'intenzione di metterlo a tacere per sempre. Non avrebbe permesso ad un marmocchio di mettere a repentaglio quel delitto perfetto.
Il giovane rimase immobile, non seppe cosa fare. Era impallidito, incredulo, devastato.
Suo padre giaceva ormai in una possa di sangue, cadaverico in volto. Arezio fissò quella figura morente e solo in quell'istante capì che non si sarebbe più alzato da terra, che non avrebbe più affrontato quell'uomo e che quella sera non avrebbero più discusso di quella impresa eroica, che mai avvenne.
Non era riuscito a salvarlo, non ci aveva minimamente provato. Si sentiva un debole.
Quel giorno fu l'ultima volte che il giovane vide suo padre.
L'uomo sconosciuto avanzò con passo rapido verso di lui, i suoi occhi bramavano altro sangue.
Arezio corse via in cerca di aiuto. Cominciò ad urlare. Finalmente riprese il controllo del suo corpo e chiese aiuto a chiunque fosse nei paraggi lungo la sua corsa disperata.
Sua madre, che si trovò nelle vicinanze in cerca di suo figlio, riconobbe le sue grida di aiuto. Chiamò a gran voce il suo nome, si guardò a destra, poi a sinistra, cominciò a correre disperata in cerca del suo bambino.
Lasciò cadere le compere a terra nel momento in cui finalmente vide Arezio e corse più veloce che potè verso di lui.
Era scosso, sudato, pallido. Balbettó qualcosa ma sua madre non comprese ciò che avesse da dire.
Antonietta Dalborgo porse le mani sulle gote bianche di suo figlio e lo abbracciò per rassicurarlo e tranquillizzarlo. Arezio si placò, si tolse poi da quell'abbraccio e guardò sua madre dritta negli occhi.
- "È morto.."
- "Chi è morto, Arezio? Cosa è successo? Dove sei stato?" chiese sua madre tutto d'un fiato.
- "Mio padre.." rispose confuso.
Antonietta si accasciò a terra fissando un punto morto tra la folla che li circondava.
- "Ho visto tutto!" continuò Arezio, facendo cadere una lacrima sulla sua guancia. In quel momento fece esplodere le sue emozioni.
Il giovane prese sua madre per una mano e la portò sul luogo dove vide quell'atroce uccisione e con loro si unirono un gruppo di persone per prestare loro aiuto.
- "È qui, si trova qui!" gridò Arezio.
- "Dove, figlio mio? Dove?!" chiese confusa Antonietta non vedendo nessuno in quel vicolo.
Arezio rimase sconvolto. Suo padre e l'uomo col cappuccio erano spariti.
- "Madre, vi giuro. Erano proprio lì, lì! Li ho visti con i miei occhi, credetemi!" urlò il fanciullo indicando il punto con il dito.
Sua madre gli rivolse uno sguardo confuso. Arezio cominciò a dubitare di ciò che aveva visto pochi minuti prima. Come poteva essere sparito il corpo di suo padre? E se fosse stato solo frutto della sua immaginazione? Pensò di essere diventato pazzo e che le persone avrebbero dubitato di lì in poi della sua parola.
- "C'è del sangue qui!" gridò un uomo calvo sulla cinquantina.
Le sue domande svanirono nel nulla, come se non le avesse mai formulate.
Antonietta impallidì. Il fatidico giorno arrivò.
Si diresse verso casa correndo, suo figlio la seguì, chiamandola ripetutamente.
- "Madre, aspettatemi! Dove state andando? "
Ella non rispose.
Arezio non capì.

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