Capitolo 2 - L'Espediente -

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Il tempo era diventato un ticchettio rimbombante nella testa di Arezio e sentiva scivolare i minuti dalle mani.
Per i vicoli c'era molta gente quel giorno, nonostante il freddo e il cielo interamente ricoperto.
Mercanti, fabbri, tappezzieri, tutti presi nel loro lavoro. Le donne badavano ai loro figli, alcune preparavano pasti caldi per le loro famiglie e dalle finestre si sprigionavano diversi odori di cibo. Nelle loro menti c'era spensieratezza, ma non in quella dell'Assassino.
Un'altra goccia di pioggia si schiantò sul suo volto, questa volta più violentemente.
Il cielo cominciò a rimbombare nell'aria.
Si ritrovò di fronte al mastodontico anfiteatro marmoreo. Non c'era più tempo per i pensieri del passato.
Era arrivato il momento di assoldare alcuni giovani per poterlo affiancare in quella battaglia.
Entró nella struttura e scorse subito un addestramento in corso. Quattro giovani intenti in quella lotta, armati di spade, dedizione e forza.
Arezio li scrutò attentamente appoggiato ad una colonna a braccia conserte. Aveva bisogno di alcuni di loro ma la scelta non era facile. Necessitava di giovani forti, determinati e soprattutto di persone di cui fidarsi. Persone da introdurre nella Confraternita.
I membri più anziani di quest'ultima non furono entusiasti di quella scelta. La Confraternita era un luogo sacro, un luogo dove chi vi entrava per farne parte era costretto a giurare fedeltà e lealtà per il resto dei suoi giorni. Non era una decisione facile, ma non c'era altra scelta. L'Ordine Templare si era ormai sparso a macchia d'olio su tutta la penisola e la Confraternita aveva bisogno di nuovi adepti.
L'addestramento giunse al termine. I quattro giovani si spostarono dal campo per riprendere fiato. Si asciugarono le loro fronti straripanti di sudore e si stesero a terra sulle erbacce. Arezio lì seguì con lo sguardo e li ascoltò discutere tra loro riguardo il combattimento appena terminato.
Un altro addestramento stava per cominciare e Arezio non volle focalizzarsi solo su quei quattro nonostante ci fosse qualcosa che attirò la sua attenzione. Si lasciò alle spalle le loro risa e i loro scherzi e osservò il secondo addestramento della giornata.
L'ennesima gocciolina di pioggia piombò sul suo volto. Il cielo era dubbioso.
Si passò una mano fra i capelli, poi sul viso. L'esercitazione era ormai iniziata da diversi minuti e Arezio non aveva prestato la minima attenzione. Rivolse un nuovo sguardo a quei quattro. Negli abissi della sua ragione c'era qualcosa che lo incitò ad andare verso di loro ma i suoi muscoli non rispondevano ai comandi del cervello.
"Ma cosa sto facendo.." pensò tra sé. Il dubbio di incappare in persone sleali era alto e a risentirne non sarebbe stata solo la Confraternita ma anche l'intera popolazione. Nessuno, eccetto gli Assassini, era a conoscenza dell'Ordine Templare e di ciò a cui sarebbero andati incontro se non avessero fermato in tempo i seguaci di Rodrigo Borgia.
Ebbe un momento di lucidità. Volle testare quei quattro senza far intendere nulla. Dalle loro reazioni avrebbe capito la loro stoffa.
Arezio si avvicinò loro interrompendo i loro discorsi.
- "Ho osservato il vostro addestramento e volevo complimentarmi con voi."
I quattro rimasero a fissarlo confusi.
- "Grazie!" esordì Bartolomeo con un sorriso sgargiante.
- "Chi sei?" chiese stizzito Federigo.
- "Un semplice spettatore." concluse Arezio.
Federigo tirò un occhiataccia ad Arezio.
- "Andiamocene." esordì continuando a frugare nello sguardo di Arezio. C'era qualcosa in quella conversazione che non convinceva il giovane.
Se ne andarono lasciandosi Arezio alle spalle.

Giunse la notte. I quattro si incamminarono verso casa, si salutarono e ognuno si recò nella propria abitazione.
Federigo alzò gli occhi al cielo. La luna era piena e illuminò il sentiero verso casa sua. Era affamato e soprattutto disidratato. Finalmente arrivò davanti la sua dimora, fece per aprire la porta quando sentì un rumore alle sue spalle. Uno scricchiolio fece eco in quel vicolo. Si girò di scatto e senza esitare nemmeno per un istante estrasse la spada dal fodero e un sibilo metallico riecheggiò nell'ombra.
Federigo agilmente schivò più e più volte la lama tagliente della spada avversaria, si difese con tutte le forze che aveva, controbbattendo ad ogni mossa. Era sfinito. L'avversario era molto più agile di lui. Federigo crollò al suolo facendo volare la sua spada a terra. Quel tonfo metallico riecheggiò tra i vicoletti di una Roma ormai addormentata.
- "Chi sei? Che vuoi da me?" gridò Federigo.
L'uomo gli puntò la lama gelida sul collo.
- "Vieni con me."

Federigo non poté scorgere nulla, era stato bendato e legato ai polsi. Aveva camminato per cinque, dieci, quindici minuti. Non ne aveva idea. Aveva perso il senso dell'orientamento ma riuscì a mantenere la calma. Possedeva sangue freddo quel giovane.
- "Siamo quasi arrivati." disse l'uomo.
- "Spero ne valga la pena tutta questa pantomima." lo punzecchiò Federigo.
Una porta si chiuse dietro di lui, per un secondo ebbe un brivido di paura lungo la schiena.
L'uomo tolse la benda dai suoi occhi e la corda dai suoi polsi. Si guardò intorno. Cos'era? Una cripta? Un covo? Una setta? Qualunque cosa fosse, a Federigo non piaceva affatto quel luogo. C'era una flebile luce grazie dalle candele affisse su colonne gigantesche, davanti a lui un lungo corridoio e ai suoi piedi un lungo tappeto rosso. L'uomo si mostrò.
- "Ancora tu?"
- "Seguimi."
Proseguirono quel corridoio infinito.
Poco più avanti un'enorme porta si spalancò. Federigo rimase impressionato.
Davanti ai suoi occhi prese forma quella sala. Un ampio androne, portentose colonne in marmo liscio di un grigio tenue. Bandiere con strani stemmi affisse su ogni perimetro dell'ampia sala, lunghe scale che portavano chissà dove. Federigo non aveva mai visto un posto simile. Ma dove si trovava?
Arezio e Federigo salirono quei gradini. Quella scalinata sembrava interminabile e la mente di Federigo era sempre più confusa. Arrivarono in cima e un uomo incappucciato, con una barba folta, bianca e candida, una strana veste e un mantello lungo e marrone li accolse.
- "Entrate." esordì.
L'uomo dalla barba bianca si sedette. Accanto a lui un uomo e una donna dai capelli rossi. Entrambi vestivano strani indumenti, simili a quelli che portava Arezio. Solo in quell'istante si interrogò su quegli abiti particolari. Non ne aveva mai visti prima indossati da qualcuno.
Nella testa di Federigo regnava la confusione più totale. Sbottò, stanco di porsi solamente quesiti.
- "Chi siete? E cosa volete da me?"
Arezio si mise di fronte al giovane e cominciò a parlare.
- "Federigo Arrigoni."
- "Come fai a sapere il mio nome?" disse spalancando gli occhi.
- "Vi ho osservati a lungo durante l'addestramento. Tu e i tuoi compagni. Qualcosa ha attirato la mia attenzione sin da subito e con il passare dei minuti ho percepito tanta dedizione, forza e volontà d'animo e questo vi fa onore."
- "Mi avete rapito per farmi qualche complimento? " disse in tono sarcastico.
- "Vedi, Federico. Ciò che ha dato conferma a quello a cui avevo assistito è stato il tuo carattere, la tua anima. Sangue freddo, astuzia, furbizia, scaltrezza.."
Federigo lo interruppe.
- "Ma cos'è questa? Una dichiarazione d'amore?" ironizzò spalancando le braccia.
Arezio rise.
- "Silenzio!" intervenne la donna dai capelli rossi. - "Stammi ad ascoltare, Federigo. Ci troviamo in un luogo sacro, un luogo sconosciuto dal mondo, un luogo dove si professa la pace."
Federigo rimase ad ascoltare impietrito.
- "Arezio, mentore della nostra Confraternita, ha scelto te e i tuoi compagni per affiancarlo in questa battaglia per liberare il popolo dalla minaccia dei Templari e tornare in possesso della Mela dell'Eden, un potente Frutto in grado di controllare le menti dell'essere umano." aggiunse il vecchio.
Federigo lo guardò dritto negli occhi, confuso.
- "Tu e i tuoi compagni avete la stoffa per poter affiancare Arezio ed entrare in possesso della Mela e distruggere il dominio dei Borgia." concluse la donna.
Il giovane rimase in silenzio per pochi secondi poi esordì.
- "Salvare il mondo? Templari? Ma di cosa state parlando?" chiese furioso.
I membri della Confraternita si scambiarono tra di loro sguardi pieni di tensione.
Il giovane guardò nei loro occhi in cerca di risposte ma nessuno sentenziò.
- "Volete farmi credere che uno stupido Frutto possa controllare le menti umane? Complimenti per la fantasia!" scoppiò a ridere. - "Siete dei pazzi! Voglio andare via di qua immediatamente."
Federigo fece per andarsene quando Arezio lo bloccò per un braccio. I loro volti erano così vicini che Federigo poté respirare l'aria che Arezio espirava.
- "Stiamo parlando della vita di ognuno di noi, dei tuoi familiari, dei tuoi amici e di tutti gli innocenti lì fuori. Il mondo è compromesso." sospirò Arezio con voce flebile.
Federigo fissò i suoi occhi. Il suo sguardo era spaesato, continuava ad essere confuso e quella situazione stava diventando sempre più insolita.
- "Cosa dovrei fare io? Sono solo un giovane di ventitré anni, come posso aiutarvi a salvare il mondo?" chiese con tono straziante.
Un uomo dalla carnagione scura, seduto in quel tavolo, si alzò in piedi.
- "Sei stato arruolato, addestrato per salvare il popolo dalla guerra. Durante quegli addestramenti pensavi di passare un po' di tempo libero con i tuoi amici e quattro spade?"
Arezio mollò la presa dal suo braccio.
Federigo abbassò lo sguardo. Le parole di quell'uomo echeggiavano nella sua mente. Quel discorso fu uno schiaffo morale per il giovane.
- "Mio padre morì pugnalato davanti ai miei occhi. Era un Assassino, faceva parte di questa Confraternita ed ha lottato da sempre per fermare quei bastardi Templari. Venne a conoscenza del loro sporco gioco, la Confraternita era pronta ad agire. Tesero un'imboscata a mio padre e un uomo vestito di nero, incappucciato, lo sgozzò davanti a me." Arezio fece un lungo sospiro.
Federigo ascoltò ogni singola parola. Gli si formò un nodo allo stomaco.
- "Ho bisogno di te." lo implorò Arezio.

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