Capitolo 8 - Incontri -

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- "Arezio!" urlò suo zio scaraventadosi addosso a lui abbracciandolo.
- "Zio Giovanni!" ricambiò l'abbraccio.
- "A cosa devo questa visita inaspettata?"
- "Vedete, zio.." non seppe come intraprendere il discorso.
- "Sono ricercato dai Borgia e ho bisogno di alloggio ma.. non sono solo."
Dalla carrozza scesero gli Assassini insieme a Leonardo.
- "Zio, vi presento i miei adepti, Federigo, Niccolò, Bartolomeo e Ludovico. Mentre lui è il grande Leonardo Da Vinci, nonché mio grande amico."
Si presentarono.
- "Siete i benvenuti qui in casa mia! Dai, entriamo. Vi faccio prepare qualcosa da mettere sotto i denti." disse entusiasta l'uomo.
Entrarono nel maestoso Castello Monteriggioni. Arezio ammirò quella fortezza con grande stupore.
- "È cambiato parecchio questo posto dall'ultima volta che venni a farvi visita." Arezio scrutò ogni angolo del luogo e ne ritrovò parecchi ricordi legati alla sua infrazia.
- "Abbiamo edificato mura più resistenti per difenderci meglio dai colpi dell'artiglieria nemica." disse fiero di sé, come se quelle mura le avesse costruite lui stesso.
- "Notevole.." esordì Leonardo ammirandole.
Si sedettero a tavola. Un banchetto pieno di prelibatezze locali e tanto vino.
I ragazzi iniziarono a mangiare, erano stanchi e affamati. Si meritavano quel bel banchetto e un po' di riposo.
Zio Giovanni sedette a capo tavola, alla sua sinistra Arezio, alla sua destra Leonardo.
- "Allora, nipote, raccontami le tue vicissitudini." disse mordendo una coscia di pollo
- "Ci sarebbero molte cose da raccontare, zio. Da quando è morto mio padre ci siamo persi di vista per parecchi anni."
- "La morte di mio fratello ha distrutto le nostre vite per sempre.. ma non pensiamo al passato. Siamo nel presente e finalmente ci siamo ricongiunti. Tuo padre è fiero di te." disse poggiandogli una mano sulla spalla, confortandolo.
- "Adesso sei nella mia dimora e non permetterò a nessun Templare di strapparti via da me." disse guardandolo fisso negli occhi.
- "Noi siamo tutti con te." disse Federigo masticando voracemente.
- "Amico mio, qualsiasi idea tu abbia io la progetterò per te, per la Confraternita. Qualsiasi cosa tu abbia letto la studierò per te." disse Leonardo ponendo la sua mano sopra quella di Arezio.
L'Assassino restò in silenzio rincuorato e felice del sostegno che la sua famiglia e i suoi amici gli stessero dando.
- "Riusciremo a trionfare per mio padre, la Confraternita e il popolo."
- "Un brindisi!" disse zio Giovanni alzando in alto il calice di vino.
Gli altri fecero lo stesso e brindarono insieme.

L'indomani i giovani Assassini si ritrovarono fuori nel campo di battaglia, progettato appositamente da Giovanni per addestrare i suoi soldati ad eventuali attacchi nemici. Eseguirono esercitazioni insieme a lui per migliorare la loro tecnica.
Niccolò restò seduto su un tronco ad osservare i suoi amici. Le ferite peggiorarono a causa di quello scontro avvenuto a Roma e Arezio gli suggerì di riposarsi e di continuare con le medicazioni.
Leonardo studiò a un nuovo progetto. Si perse tra le pagine di alcuni libri e il suo spirito creativo tornò attivo.
Arezio andò nel borgo quel giorno, voleva godersi l'aria della sua terra natìa.
Passeggiò per le vie e riconobbe alcuni volti come Giacobbe il fabbro, Flavio il calzolaio e Timoteo il corazzaio, dove suo padre passò la maggior parte delle mattinate ad ammirare e comprare le armature. Da bambino si chiese spesso a cosa potessero mai servirgli.
Annusò aria pura e si sentì lontano dai pensieri, da Roma e soprattutto dai Templari. Si meritava un giorno totale di riposo mentale e fisico. Non indossò perfino l'uniforme da Assassino quel giorno. Lasciò solamente le sue lame celate ai polsi.
Si diresse dal corazzaio di famiglia di fiducia e lo scrutò lavorare il metallo.
L'uomo se ne accorse e gli chiese se avesse bisogno di aiuto.
Arezio scosse la testa.
L'uomo lo salutò e tornò al suo lavoro.
- "Timoteo, l'uomo di metallo." disse Arezio a braccia conserte.
L'uomo si voltò confuso verso di lui, lo guardò e solo dopo pochi secondi spalancò gli occhi.
- "Arezio, il piccolo Arezio!" disse prendendolo per le spalle. - "Cosa ci fai qui?" gli chiese stupito.
- "Sono di passaggio Timoteo. Tu piuttosto, come stai? Come ti va il lavoro?"
- "Bene, il lavoro procede a gonfie vele per fortuna." disse contento.
- "Ma guarda tu quanto sei cresciuto! Tuo padre come sta? Da quando vi siete trasferiti a Roma vi siete dimenticati del vostro corazzaio fidato!" disse sorridendo.
Arezio tardò a rispondere.
- "I miei genitori.. sono passati a miglior vita, Timoteo. Tanti anni fa.."
Sulla faccia dell'uomo calò il gelo.
- "Dio mio, Arezio.. Sono addolorato nel venire a conoscenza di questi terribili fatti."
Arezio rispose con un sorriso.
- "Ti saluto, Timoteo. È stato un piacere rincontrarti."
Si salutarono con un abbraccio e Timoteo tornò a lavoro.
Arezio proseguì la sua passeggiata, poco più avanti trovò un'immensa distesa verde. Si sdraiò su quel prato, strappò un filo d'erba e lo mise in bocca. L'odore dell'erba rilassò ogni suo muscolo teso, la natura era il suo ambiente.
Portò le braccia dietro la nuca e restò ad ascoltare il cinguettio degli uccelli.
Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare emotivamente.
D'improvviso sentì dei passi avanzare nella sua direzione, passi lenti ma decisi. Aprì gli occhi e non vide più il sole. Non percepì più il torpore che gli stavano regalando i pochi raggi solari rimasti prima che tramontasse il sole. La sua vista fu oscurata da una sagoma di uomo, impalato davanti a lui.
- "Arezio Dalborgo, questo è da parte del Papa."
Sentì il suono raschiante della lama di una spada estratta dal fodero. Alzò gli occhi e fu accecato dalla luce del sole riflessa sulla lama metallica.
Stava per essere trafitto.
Prese per le caviglie l'uomo e lo sbattè a terra prima che potesse sferrargli il colpo fatale. Si alzò di scatto e lo perforò mortalmente.
Arezio si guardò intorno allarmato. I Borgia lo avevano trovato.
Mandarono soldati anche nella sua terra natia per ucciderlo e Arezio non sopportò l'idea di contaminare con il sangue anche la sua piccola città.
Scappò per tornare al Castello. Si allontanò parecchio quel giorno e la notte sarebbe scesa di lì a poco.
Passò in un vicolo strettissimo che solo lui conosceva perché frequentava spesso con i suoi amici dopo che fecero qualche marachella in giro.
Sentì uno sparo piombare accanto lui.
Capì che quello sparo era opera del progetto di Leonardo, sapevano delle sue doti e lo trasferirono con la forza nel loro Castello per progettare armi nuove per i soldati.
Immaginava che il Borgia avesse assoldato più di una guardia quel giorno per avere la sua testa.
Era disarmato e non aveva con sé l'armatura per proteggersi dagli attacchi.
Cercò di nascondersi dentro un carro pieno di fieno nella speranza che quei Templari si allontanassero da lì.
Restò cinque, quindici, trenta minuti lì dentro.
Perse la cognizione del tempo.
Decise di uscire, non ne poteva più.
Balzò fuori furtivamente cercando di non fare rumore.
In città calò il buio e quell'oscurità non giovò a suo favore.
Qualcuno gli mise un braccio intorno al collo e lo fece restare senza fiato. Si dimenò cercando di togliersi di dosso quell'uomo ma il nemico mantenne ben salda la presa.
Arezio gli tirò un calcio nei genitali riuscendo ad allentare quella presa così che ne approfittò per girarsi, dargli una testata sul naso e trafiggerlo nel petto.
Riprese a correre. Un'altra sentinella gli piombò davanti, poi un'altra dietro e altre due avanzarono caute una alla sua destra e una alla sua sinistra.
- "Arrenditi Assassino." disse una delle guardie.
Poco più avanti una giovane fanciulla stava facendo una passeggiata. Camminò con lo sguardo rivolto alla luna. Ogni sera percorreva quei vicoli, senza avere mai paura di camminare sola immersa nel buio. Preferiva vivere di notte piuttosto che di giorno. Il buio silente le permetteva di rilassare la mente e lasciarsi andare a pensieri e riflessioni, cosa che con il sole alto e il trambusto della città non riusciva a concedersi attimi dove poter isolare il suo animo.
I suoi pensieri furono disturbati da un suono metallico insieme a delle urla. Avanzò cautamente quando intravide delle sagome umane duellare tra loro. Si nascose accovacciandosi dietro un grosso barile ed osservò la scena. Vide alcuni uomini morire. Rimase scioccata.
Un uomo dai capelli lunghi legati in una coda, si alzò in aria e uccise l'ultima persona rimasta in quello scontro.
La giovane si alzò in piedi e vide l'uomo correre verso la sua direzione.
In quel breve lasso di tempo le venne in mente la scena in cui vide morire la madre, assassinata da mani tutt'ora sconosciute. Nonostante passarono parecchi anni fu ancora assetata di vendetta ma non aveva appigli su cui aggrapparsi per risolvere quel mistero. E quegli uomini inconsciamente gli portarono alla mente la persona misteriosa che la uccise.
L'uomo le passò accanto correndo e la riportò nel presente.
- "Aspetta!" urlò la giovane.
L'uomo non si fermò.
Lei lo rincorse.
- "Ti prego, fermati!" gridò di nuovo.
L'uomo saltò al di là di un muro e svanì nel nulla.
La giovane cercò di stare al suo passo ma era troppo agile per lei.
Sbattè in quel muretto poggiando le mani per proteggersi dall'impatto e perse di vista quella sagoma nel buio.

Il soggiorno a Monteriggioni proseguiva spensierato per il gruppo, tranne che per Arezio.
Non raccontò a nessuno di quella notte in cui le guardie del Borgia tentarono di ucciderlo ma fu preoccupato per l'incolumità del Castello e di suo zio. Se fosse accaduto qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
Sdraiato sul suo letto, rimuginò su quel maledetto conflitto e gli tornò alla mente la voce femminile di una donna che gli ordinò di fermarsi. Chi era? E cosa voleva da lui?
Qualcuno bussò alla sua porta e interruppe i suoi pensieri.
- "Arezio, alzati! La colazione è servita." disse dall'altra parte della porta suo zio.
- "Grazie." rispose.
Si vestì e scese giù per consumare il pasto.
Un vasto banchetto a base di pane, frutta, formaggi, vino e latte di capra.
- "Non avete badato a spese." esordì Arezio contemplando quella vastità di ricchezze.
Suo zio rise.
- "Siediti." fece cenno Leonardo indicando la sedia.
Arezio si sedette, strappò un pezzo di pane e masticò lentamente. Ebbe lo sguardo assente per tutta la durata del pasto.
- "Qualcosa non va?" chiese Leonardo preoccupato.
Arezio posò lo sguardo su di lui e sorrise scuotendo la testa.
- "Non me la racconti giusta. Ti conosco fin troppo bene e so riconoscere quando sei preoccupato."
Fu beccato immediatamente dal suo amico, non era capace a nascondere le sue preoccupazioni.
Poggiò il pezzo di pane sul tavolo.
- "Una sera le guardie dei Borgia hanno tentato di uccidermi. Sono arrivati fin qui per darmi la caccia, la mia unica preoccupazione è il Castello, ho paura di un attacco imminente."
- "Cristo, Arezio! Quando pensavi di dirmelo? Non possiamo farci cogliere impreparati!" disse suo zio visibilmente turbato.
- "Perdonatemi, zio. Non volevo recarvi guai venendo qui.." disse sfregando le mani sul viso.
Suo zio gli diede una pacca sulla spalla.
- "Non ho paura di quei bastardi. Se è la guerra che vorranno, guerra avranno."
Arezio abbozzò un sorriso ma era sempre più turbato. Suo zio non era più un giovincello, nonostante fosse un abile Assassino.
- "Calma, non farti prendere dalle preoccupazioni. Non sei solo." disse Leonardo.
Arezio si alzò, andò verso la finestra e osservò i quattro giovani allenarsi nel campo riservato agli addestramenti.
- "Devo proteggere anche loro. Sono stato io a reclutarli, ho il dovere di far sì che non gli accada nulla."
- "Arezio, andrà tutto bene." lo rassicurò suo zio andandogli incontro.
Arezio si voltò per guardarlo e annuì.
- "Se non vi dispiace, vado a fare due passi. Ho bisogno di aria fresca."
- "Occhi aperti mi raccomando." si preoccupò Giovanni.
Indossò le lame e questa volta prese con sé anche la spada.
Quel giorno l'aria era fresca, il sole coperto dalle nuvole. In giro i soliti volti, ma nessuno lo riconobbe poiché passarono tanti anni dall'ultima volta che visse in quel luogo.
Ebbe l'impressione di essere osservato e seguito. Si voltò di scatto ma non vide nessuno. Era divorato dall'angoscia.
Non si sentì al sicuro.
Svoltò a destra in un piccolo vicolo e si appostò sotto un'arcata. Pochi istanti dopo una donna, con fare furtivo, percorse quel vicolo. Cercò qualcosa, molto probabilmente qualcuno.
Arezio uscì fuori allo scoperto, aziò la lama celata e sorprese da dietro la donna puntadole al collo l'arma.
La donna urlò e Arezio la zittì immediatamente.
- "Seguimi. Ma non urlare, non ho intenzione di ucciderti."
La donna annuì.
Proseguirono dritti e svoltarono in un vicolo cieco.
Arezio mollò la presa e ritrasse l'arma.
La donna passò la sua mano sul collo.
- "Chi sei? E cosa vuoi da me?" chiese Arezio.
- "Mi chiamo Caterina Mazzei ed ho assistito allo scontro di ieri sera."
- "Ottimo, vuoi farmi arrestare per l'uccisione di quelle persone?" chiese Arezio allargando le braccia.
- "No.. ho cercato di parlarti ma non mi hai degnata nemmeno di uno sguardo."
- "Ho ucciso degli uomini, l'ultima cosa di cui avevo bisogno era fare due chiacchiere con una sconosciuta."
- "Certo.. però.." Caterina non riuscì a intraprendere il discorso.
- "Non ho tempo da perdere." disse Arezio andandosene.
- "Ho la sensazione che quegli uomini siano gli stessi che uccisero mia madre tanti anni fa!" disse facendo un passo verso di lui.
L'Assassino si fermò.
La donna abbassò lo sguardo mentre Arezio si voltò verso di lei.
- "Sono anni che cerco risposte per la morte mia madre. Sono rimasta sola al mondo. Mio padre svanì nel nulla dopo che mia madre fu uccisa, probabilmente assassinarono anche lui.." una lacrime solcò la sua guancia.
- "Non so come aiutarti, mi dispiace. Devo andare."
- "Ho visto come duellavi, non sei un semplice cittadino. I tuoi occhi non mentono."
Arezio non rispose, si allontanò lasciando sola la donna in quell'angolo di strada e se ne andò.
Era abituata ad essere abbandonata dalle persone ma quel giorno scoppiò in lacrime.

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