La macchina di Dante Del Cardo sfrecciava rapida tra le piccole e fredde vie di LandLake. Il rombo del motore produceva un'armonia lenta ed aggraziata. Prima di arrivare nella zona residenziale ci fermammo in una piccola stazione di servizio per fare il pieno di benzina. Anche sotto la luce bianca dei neon Dante risultava più bello che mai. Non capivo il motivo per il quale mi avesse invitato ad entrare nella sua macchina. Nemmeno lo conoscevo!
Magari l'esperienza del manicomio ci aveva uniti, chi poteva dirlo. Durante il breve tragitto, lo guardavo di nascosto dal sedile del passeggero. Il suo sguardo concentrato era rivolto alla strada, le sue braccia tese verso il manubrio nero. Magari ero nel posto perfetto al momento perfetto.
<<So che ti fa strano, hai ragione. Trovarti in macchina con uno sconosciuto, in una piccola stazione di un piccolo paesino situato fuori dal mondo. Sono tanti gli elementi che contribuiscono a creare un effetto estraniante>>, disse mentre teneva la pompa di benzina dentro il serbatoio.
I numeri scorrevano sul monitor veloci, stringevo le braccia intorno al cappotto per colpa del gelo.
<<Sembra di sì, davvero>>, risposi guardando le cifre.
<<Incendio>>, disse improvvisamente.
<<Incendio?>> ripetei goffa.
Annuì. <<Sono stato rinchiuso in quel posto per colpa di un incendio>>, concluse. Il suo sguardo si fece distante, come se cercasse di allontanarsi dal dolore.
Non avevo per niente voglia di conoscere la sua storia.
<<Suicidio>>, dissi guardando le sue spalle.
Staccò la pompa una volta arrivata alla cifra voluta e la mise nell'apposito contenitore.
<<Allora ti è andata bene, ieri sei uscita e ora sei qui più normale che mai>>, rispose mentre apriva lo sportello del passeggero per farmi entrare.
<<No, non ho provato io a suicidarmi>>, gli dissi una volta salita in macchina.
Mentre sfrecciavamo veloci gli raccontai tutto.
Di New York, di Tyler, di mamma, di quanto fosse strano vivere qui.
<<Beh, se mi hanno fatto uscire con un'accusa d'incendio doloso, magari c'è una possibilità anche per tua madre. Non ti sto regalando false speranze, sia chiaro>>, mi guardò per un'instante e poi si riconcentrò sulla guida. Sembrava mio padre.
Sembrava quel tipo di persona che ti mette in allerta su tutto, non perché sia paranoica o altro, ma semplicemente perché ha paura che tu possa farti del male. Mi diceva sempre di stare lontano dalle persone, diceva che tendono spesso a trascinarti con loro nel proprio dolore. Mi ricordo che un giorno eravamo sul divano, avevamo appena finito di vedere un film che parlava di una donna incinta, che era stata lasciata dopo mille travagli sentimentali dal ragazzo perfetto.
Dopo i titoli di coda, il suo enorme braccio mi portò a se e, dopo avermi dato un tenero bacio, mi guardò per un istante.
<<Tu sei la mia piccola, sei il dono più bello del mondo, non ti lascerò mai sola, mai!>>
Quante promesse, quanti rimpianti. Nella vita ci ripromettiamo sempre di essere migliori, di superare un brutto momento o soltanto di essere forti e preparati per la prossima volta che ci scontreremo con la sofferenza. Ma le promesse migliori, secondo me, sono quelle che non si possono mantenere. Quelle del tipo: "Ehi, domani ti portò al mare e ti bacio senza sosta!"
Quelle che fanno nascere dentro di te la voglia sconsiderata di quel momento, il desiderio di esso ed infine la paura di quel che potrebbe realmente capitare. Poi torni in te e ti rendi conto che in tutta la tua vita ha sempre piovuto e l'unica specie di mare che ti è mai capitato di vedere erano gli Tsunami emotivi che si agitavano al tuo interno pieni di malinconia. Ho sempre suddiviso le persone in base al proprio dolore. pensavo che più dolore avessero provato, più sarebbero state mature.
Ma alla fine il dolore te lo porterai sempre dietro, è come un'ombra. Quando abbraccia qualcun altro, la tua ombra diventa più grande e significa solamente che il dolore aumenta.
Troppo dolore nelle persone vere e troppa gioia nelle persone false.<<Oggi parlavano tutti di te a scuola>>, disse cupo.
Dalla strada si vedevano i larghi edifici del centro cittadino di LandLake, per un secondo mi rattristai al pensiero che dovevo scendere dalla sua macchina. Il grigio scuro del giorno era di base a tutto ciò che mi circondava, il sole non c'era più.
<<Lo so, la ragazza nuova stupida venuta a vivere in una piccola città>>, risposi sarcastica.
Abbozzò un sorriso, nella tenue luce soffusa notai delle piccole fossette agli angoli dalla bocca.
<<Dove vivi tu? Nel senso, il figlio del proprietario di tutte le case di LandLake dovrebbe vivere in un'enorme villa con piscina>>, domandai a voce bassa senza guardarlo.
Scoppiò in una grossa risata rumorosa.
<<Io odio l'acqua>>, disse in tono scontroso. Non feci caso a quella risposta, ero troppo concentrata sul suo sguardo. <<E odio questa città>>, sbuffò.
<<Allora vattene, hai la possibilità di farlo>>, dissi in tono affabile.
<<Nessuno hai mai realmente una possibilità>>, rispose con voce fiera.
Aveva ragione. Rimasi zitta fino all'arrivo in città, entrammo in un grosso parcheggio dove si fermò con la macchina. Il colore argenteo della macchina veniva illuminato dagli ultimi flebili raggi solari.
<<Grazie mille, senza di te starei ancora nel parcheggio di scuola ad aspettare il pulmino fantasma>>, dissi ridendo una volta scesa dalla macchina.
Fece spallucce. <<Di nulla, sai che in tutto il tragitto abbiamo parlato dei nostri problemi, dei nostri pensieri ma abbiamo tralasciato una cosa fondamentale>>, rispose suadente.
<<Cosa?>>, mormorai. I suoi enormi occhi neri mi guardavano, mi sentii osservata.
<<Piacere, Dante>>, disse porgendomi la mano.
<<Aria!>> esclamai toccandolo per la prima volta. Mi salutò con un gesto della testa dopo un bellissimo sorriso. Entrò in macchina rapidamente e dopo un rombo del motore lo vidi scomparire per le vie ossute di LandLake.
Sorrisi, sorrisi fino all'arrivo del traghetto. Durante il viaggio sul lago, guardavo l'orizzonte e pensavo a lui. Sorridevo in mezzo alla gente, per loro probabilmente lo stavo facevo senza motivo. Magari in mezzo a quella massa c'era qualcuno che mi capiva, capiva perché ridevo senza senso.
Non mi importava se mi avessero preso per una malata mentale, ero felice. Non avevo mai avuto modo di parlare con un ragazzo nella stessa maniera avvenuta con lui, soprattutto con un ragazzo così bello. Ero ammaliata dai suoi atteggiamenti, dal suo copertamente e da quella voce che per quanto ho avuto modo di conoscerlo quei 10 minuti mi ha trasportato in un mondo nuovo.
Certo ogni tanto mi tornava in mente quel giorno all'ospedale di Raldelc, però tentavo in ogni modo di dimenticarmi di l'accaduto in maniera tale che fosse di buon auspici a un nuovo futuro.
L'arrivo della barca mi riportò alla realtà. Era la prima volta che andavo a trovare mia madre senza l'aiuto di July. Mi fidai di me stessa. Una volta scesa, arrivai al piccolo sentiero che portava alla stazione. Dentro di me scorreva la gioia: il ragazzo più bello di tutta la scuola mi aveva dato un passaggio! Per una volta potevo dire che la mia vita stesse girando per il verso giusto. Seguii i segni minuscoli che si intravedevano sulla quercia scura dell'albero. Volevo raccontarlo a mia madre, volevo raccontarlo a Megan e a Suzanne! Volevo urlare al mondo che per la prima volta nella mia vita, qualcuno aveva visto qualcosa in me. Mi sarei portata la gioia di questo momento per sempre.
Arrivata al prossimo albero notai con dispiacere che sulla corteccia non vi era inciso nulla. Tornai indietro e non trovai nessun segno nemmeno sull'albero precedente.
Mi ero persa.
Mi ero fottutamente persa.
Mi ero persa dentro me stessa per così tanto tempo che alla fine ero riuscita a perdermi per davvero.
Corsi per tutta la foresta, avvertivo una sensazione strana. Sapevo di essermi allontanata troppo sia dalla baia che dalla stazione. Cominciai a respirare più velocemente.
Ancora.
E ancora. E ancora.
Il cuore mi pompava a mille, la paura mi aveva resa sua prigioniera.
<<Certo che voi ragazzine sareste proprio da studiare, vi perdete sempre nel bosco!>>
Una voce calda arrivò alle mie spalle. Scattai verso la fonte di quel rumore. Un ragazzo biondo e con dei lineamenti delicati era in piedi su una piccola roccia. La sua camicia a quadri rossi con strisce nere era aperta, tanto che riuscivo ad intravedere i suoi muscoli. Portava dei jeans chiari e dei pesanti sandali neri, aveva un paio di guanti neri e teneva in mano alcuni piccoli tronchi di legno. Sembrava quel genere di ragazzo che vive nei boschi.
<<Mi sono persa>>, dissi impietrita davanti a quella figura.
Una regola fondamentale per vivere? Mai parlare con uno sconosciuto.
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Dragonter
Fantasy[COMPLETA] Quando Aria Rimmer è costretta a trasferirsi a LandLake, una cittadina al centro esatto di un grande lago, non immagina certo che la sua vita conoscerà ben presto una svolta improvvisa e magica. A quindici anni, Aria ha assistito al tent...