Capitolo Cinque: Lacrima

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Guidavo con molta attenzione, cercando di non farmi prendere dall'ansia o dai giramenti di testa per l'abuso di sostanze stupefacenti. La notte cupa di LandLake era una cornice perfetta per le mie paure. Tenevo il volante ben saldo tra le mie mani. Affianco a me, sul sedile del passeggero, c'era il corpo svenuto di Alaska Coldorf. Si era lasciata andare subito dopo il rimarginarsi della ferita provocata dal coltello di Alett, il che era avvenuto magicamente, grazie a della semplice acqua. La sua maglietta firmata era ancora macchiata del suo sangue, ne sentivo l'odore ferroso anche sulle mie mani. Cercavo di non pensare a nulla, ero solamente concentrata verso la strada gelida. Se mi avessero detto una cosa del genere mentre mi trovavo a New York ci avrei sicuramente scherzato sopra o l'avrei presa come semplice gioco di fantasia. Ma non mi era mai passato per la mente che qualcuno potesse guarire in quel modo. Mi riapparvero involontariamente le immagini degli avvenimenti accaduti poco prima: Alaska che veniva quasi stuprata, Alaska che cadeva a terra ferita, Alaska che mi impediva di chiamare i soccorsi, Alaska che mi chiedeva di prendere la sua bottiglia d'acqua, Alaska che diceva parole strane a quel liquido, Alaska che guariva e sveniva. Nulla aveva più senso ormai. Pensai a Megan e a Suzanne, immerse anche loro nel fiume confusionale dell'alcol. Chissà se qualcuno avrà abusato anche di loro o se si erano semplicemente divertite. Il mio cervello era un continuo formulare di domande alle quali solamente il tempo poteva dare la risposta. Infine pensai a lui, Dante Del Cardo. Mi mancava specchiarmi nei suoi occhi, ma aveva così un lato così tanto misterioso dentro di sé da farmi paura. Guardai il mio polso bruciato dalla sua stretta. Ripensai al suo corpo pari a un camino in fiamme, al dolore acuto che provavo. Ringraziai il cielo quando lasciai la macchina nel vialetto di casa. Avevo così paura di perdermi, sarebbe stato difficile chiedere informazioni con la figlia del sindaco quasi morta nella mia macchina. Quando scesi ebbi una fitta alla testa, nella notte cupa cercai di trovare la via esatta. Non sapevo come fare, sicuramente zia July dormiva e l'unica soluzione era quella di entrare in silenzio e chiudere la porta facendo il meno rumore possibile. Presi Alaska sulle spalle e chiusi la portiera dalla macchina. Una volta entrata cercai di fare meno rumore possibile prima di arrivare in camera. Il corpo stranamente pesante di Alaska spingeva sulla mia spina dorsale causandomi dolore alla schiena. La mia camera era come l'avevo lasciata, avrei tanto voluto tornare a tre ore fa. Sdraiai Alaska sul mio letto e respirai profondamente. Avevo voglia di riprendermi, di ritornare me stessa. La festa ormai era bella che finita. Entrando in bagno mi guardai allo specchio. Una sensazione di delusione mi aggredì allo stomaco. Il vestito di Valentino, prestatomi da zia July, era pieno di fango. Sicuramente si era sporcato dopo essermi piegata per aiutare quella deficente di Alaska. Tirai fuori il telefono dalla borsetta e lessi alcuni messaggi di Suzanne.
Alcuni erano senza senso, ad esempio mi diceva che voleva farsi crescere la barba. In altri mi chiedeva dove mi trovassi.
Le chiamate perse da parte di Megan mi fecero preoccupare. La richiami immediatamente.
Dopo alcuni istanti il telefono cominciò a squillare.
<<Aria! Dimmi che sei viva>>, disse la voce preoccupata di Megan.
<<Sono viva>>, risposi secca. La mia voce rimbombava nel mio piccolo bagno.
<<Dove sei finita?>>
<<Sono a casa>>.
<<A casa? L'ultima volta che ti ho vista stavi seguendo Dante Del Cardo. Ti prego non dirmi che te lo sei baciato>>, scherzò. 
La rabbia cominciò ad assalirmi. <<Senti Megan>>, sbottai.<<Non mi importa se mi sono messa a fare la scema. Siccome volevi per forza divertiti mi hai rifilato quei maledetti cocktail dal sapore acre, dico io, ma che diavolo ci mettono dentro? E non mi importa nemmeno di quello che pensi di Dante, chiaro? Non prenderti libertà che non ti competono, stupida ragazzina in cerca di amiche! Torna tra le labbra di Niall il cieco perché per stare con una come te deve essere per forza un cieco o un imbecille, ora non so quale sia la migliore tra le due, ma ti lascio tutto il tempo necessario per metterti comoda e pensarci su, mia cara. Grazie della magnifica serata!>> riattaccai il telefono.
Ero furiosa. Quella serata si era trasformata nella peggiore che avessi mai avuto nella mia inutile vita. Sono ufficialmente sola, non ho più amiche, non riuscivo a considerare il mio rapporto con July amicizia quanto piuttosto sopportazione. Mi feci una doccia calda e uscii silenziosamente dal bagno una volta essermi rivestita. Appesi l'abito rosso ad una della maniglie dall'armadio. Mia zia mia mi avrebbe ucciso, ne ero sicura.
Mi aveva fatto promettere di riportaglielo sano e salvo, senza nemmeno un segno.
Una della mie tante promesse non mantenute.
Il corpo di Alaska si svegliò si soprassalto, facendomi prendere uno bello spavento. Cominciò a respirare violentemente. Il suo viso era pallido, il suo trucco le era tutto colato sul volto.
Le feci segno di stare in silenzio, non ci tenevo proprio ad una visita a sorpresa di July.
Si guardò intorno disorientata. <<Cosa...cosa...dove sono>>, provò a dire. Aspettai un attimo che si fosse calmata. In quelle condizioni non avrebbe capito nulla.
<<Alaska, sono Aria. Calmati, sei a casa mia>>, mormorai agitata.
<<A casa tua? L'ultima cosa che mi ricordo era...>> ci pensò per un secondo, una volta trovata la risposta nella sua mente il suo volto si tinse di paura. <<Alett, mi ha stuprata!>>, esclamò urlando.
<<Calmati!>>
<<Quel lurido porco maiale>>.
<<Calmati!>>
<<Mi ha toccata, mi ha impedito di muovermi di reagire...>>
<<Calmati!>>
<<Bastardo, ora vado a casa sua e glielo taglio!>>
<<CALMATI!>> urlai. Mi misi una mano davanti alla bocca una volta aver capito lo sbaglio.
Avrebbe dovuto esserci un silenzio tombale, altrimenti non sarei riuscita mai a giustificare la presenza di Alaska sporca di sangue sul mio letto a zia July. Alaska mi guardò per un secondo.
<<Mi hai salvata?>> mi chiese incredula. La fissai, volevo chiederle delle spiegazioni ma decisi di aspettare che la conversazione avesse preso il via.
<<Sì, ti ho salvata, ma ora parliamo a bassa voce ok?>> le sorrisi leggermente per calmarla. Per un attimo pensai che non ricordasse bene l'accaduto e che se io mi fossi svegliata dopo una simile situazione ed avessi notato la mia maglietta intrisa del mio stesso sangue, beh, due domande me le sarei fatte Si alzò di scatto per andarsi a vedere allo specchio.
Fissò per un istante il suo riflesso e si tolse le calze ormai bucate. <<Pagate cento dollari proveniente dalla Germania>>, sussurrò fra sé e sé. <<In teoria non dovrebbero rompersi sai?>> aggiunse voltandosi verso di me.
<<Tralasciando le calze, stai bene Alaska?>> era la prima volta che mi rivolgevo in maniera supplichevole nei suoi confronti.
<<Non sto bene Aria>>, mi rispose.
Si sedette sul letto e guardò il vuoto. Fece un largo respiro e si alzò la maglietta per contemplare la ferita ormai sparita del tutto. Stavo cominciando a sentire un certo sonno, non mi andava di sentirla parlare dei suoi problemi personali.
<<Devi avvisare tuo padre? Sappi che non ti lascio andare per LandLake a quest'ora. Oggi dormi da me e domani andiamo a scuola>>, la informai parlando in maniera decisa. Alzò un sopraciglio e scoppiò a ridere. L'idea di dormire in questa catapecchia sicuramente non l'aggradava. Lei era abituata a riposare in comodi letti da sola, era abituata a svegliarsi al mattino con la colazione pronta in sei diverse nazioni. La povertà non donava ad Alaska Coldorf.
<<Non so che lavoro fa tua zia Aria Rimmer, ma essere il sindaco di LandLake è davvero un casino. Soprattutto se hai una figlia che ti aspetta a casa con la speranza di fare qualcosa insieme. Pensava che il vuoto della sua assenza potesse essere colmato con qualche banconota o altro. Gli uomini potenti credono di comprare e sostituire tutto con i soldi. Ma, guarda un po', nemmeno i soldi posso riempire una mancanza>>, affermò lentamente.
Non avevo idea che Alaska avesse dei problemi.

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