Passai la notte a scoprirmi e ricoprirmi con la trapunta, nella mia testa l'idea del primo giorno di scuola stava prendendo finalmente forma. Domande del tipo "Cosa indosserò?" o "Sarò abbastanza popolare?" martellavano i miei pensieri e turbavano il mio sonno. Non riuscivo a dormire profondamente per colpa della pioggia che batteva sul vetro.
Nemmeno i pensieri su mia madre riuscirono a calmarmi.
Il suono della sveglia mi sembrò un vero e proprio allarme. Mi alzai dal letto guardando verso l'armadio, feci un lungo respiro per prendere coraggio ed infine mi decisi a mettere i piedi a terra. Mi vestii con indolenza: scelsi la maglietta a maniche lunghe che avevo preso alla svendita di American Apparel a New York, dei jeans chiari ed un paio di anfibi. Presi il beauty-case ed incominciai a spalmarmi frettolosamente il fondotinta sul volto per poi passare al resto del trucco. Mi guardai allo specchio per un attimo, notando che il mio volto era contornato dalla paura.
Mi strinsi le braccia intorno al corpo ed incominciai lentamente a calmarmi. Dissi a me stessa che dovevo andare avanti, che nella vita ci sono tanti scogli da superare e che ciò che mi aspettava in quel giorno sarebbe diventato semplicemente un macigno in meno da affrontare in seguito. Presi lo zaino dalla sedia vicino alla scrivania e scesi le scale.
Il primo giorno di liceo a New York fu differente, avevo per la testa varie problematiche e tante domande da risolvere che spesso non facevo caso a quello che mi succedeva intorno, le mie compagne di classe mi estraniarono dal gruppo già dai primi giorni, per loro ero quella strana che non parlava mai ma che stranamente andava bene in tutte le materie.
Con il lungo andare gli anni mi abituai a quel tipo di compagnia vicino, mi abituai a tutto. Spesso Tyler mi incitava a farmi delle amiche, a uscire, ma evitavo questo consiglio. Non perché fossi una ragazza asociale, assolutamente, il pensiero di stare in compagnia di qualcuno che magari non conosce i tuoi problemi e quello che hai passato mi spaventava parecchio e questo mi ha creato un gigante cerchio di solitudine intorno a me.
Una volta finite le scale trovai un biglietto bianco attaccato alla porta con sopra una freccia disegnata ed un messaggio, scritto con la calligrafia affusolata e perfetta di zia July, che recitava: «Vai in cucina». Quando entrai nella piccola cucina color marmo un piatto di deliziosi pancake sul tavolo attirò subito la mia attenzione.
C'era un altro biglietto bianco appoggiato sopra di essi, riportava scritto questo avvertimento:"Tesoro, ho avuto un imprevisto in ufficio e sono dovuta subito scappare. Mi dispiace di non essere presente al tuo primo giorno di scuola ma da lontano ti manderò tutta la mia forza ed un bel po' di autostima per tranquillizzarti. Ti ho lasciato la colazione ed il mio capotto rosso porta fortuna comprato in un negozio dell'usato a Chicago, spaccialo tranquillamente per un abito firmato. Alle 7.30 passerà il pulmino a prenderti. Mi raccomando, non fare tardi e vai a ritirare il foglio con gli orari in segreteria prima di entrare! Un bacio".
Rilessi il messaggio velocemente un paio di volte prima di realizzare l'idea di arrivare a bordo di un pulmino giallo in un liceo dove tutti avevano un mezzo con cui muoversi propriamente. E già questo mi metteva parecchio a disagio. Mangiai rapidamente i pancake bevendo un sorso di latte, raggiunsi la sedia dove era poggiato il cappotto rosso e lo indossai sbrigativamente. Mi diressi verso la porta e presi le chiavi nel vaso in sala da pranzo.
Feci un lungo respiro ed uscii.
L'aria fredda era sorprendentemente piatta, un'atmosfera cupa invadeva le strade, banchi di nuvole dominavano il cielo e la nebbia mi sembrava più lattiginosa che mai.
Guardai l'orologio che avevo al polso e notai che non mancava molto all'arrivo del pulmino.
Dopo scuola avevo intenzione di farmi accompagnare al molo da qualche taxi per poi andare a trovare mia madre, sperando ovviamente di non sbagliare di nuovo stanza. Al solo pensiero rabbrividii.
Un sinistro rumore metallico mi fece girare la testa verso il lato opposto della strada. Il pulmino giallo malandato scricchiolava leggermente e una nube nera usciva da dietro.
Rallentò per un istante e poi si fermò vicino al vialetto di casa. A passi rapidi raggiunsi l'enorme mezzo di trasporto. Il rumore dei miei anfibi scivolava fluido nel silenzio mattutino di LandLake.
L'autista aprì la portiera e mi guardò in modo torvo. <<Ma a questa età i tuoi genitori non ti hanno ancora comprato una macchina?>>, domandò leggermente stizzito
Deglutii. Trovai subito posto dato che l'intera autovettura era vuota. Il pavimento era ricoperto da una morbida plastica nera piena di strappi, le pareti erano colorate di un giallo intenso ed i sedili erano rivestiti da un imbarazzante tessuto acrilico verde. Dopo un rombo scoppiettante proveniente del motore, il pulmino cominciò a partire lentamente per poi prendere subito velocità.
Ognuna delle case di LandLake sembrava la copia identica delle altre; mentre l'autobus sfrecciava tra i luoghi abitati vidi il centro cittadino alla mie spalle farsi sempre più piccolo.
«Non avrò mai nessun amico », pensai.
Il mio destino era quello di essere dapprima quella ragazza, poi quella donna ed infine quell'anziana signora che nella vita rimane sempre da sola? Guardai il mio riflesso nel vetro e mi chiesi che fine io avessi fatto. Ero sicura di essere la stessa persona? Ero sicura di essere ancora la ragazza felice di sempre? Non riconoscevo più quale fosse la giusta strada per la felicità; continuavo imperterrita nel tentativo di trovarla, dentro un speranza o in una persona, ma mi ritrovavo sempre al punto di partenza. Per tutta la vita mi sono ritrovata al punto di partenza, ma negli occhi mi ardeva sempre la voglia di combattere, ogni volta stringevo i pugni per continuare a resistere. Ora però io mi chiedo: quante volte possiamo o possono distruggerci? Quando ci accorgeremo che ormai il nostro corpo, la nostra anima e i nostri sogni si sono frantumati in mille pezzi che non possono più essere ricongiunti? Sono un ragazza che ha l'anima delicata come una fragile bolla di sapone iridescente. Forse dovrei solamente continuare a sognare, stringermi le braccia intorno al corpo ed urlare a me stessa che prima o poi il meglio arriverà anche per me.
Brividi di paura mi scorrevano per tutto il corpo, ho vissuto sempre la mia vita terrorizzata dal mondo.
Toccai il finestrino con il palmo della mano e sentii subito il gelo apatico di LandLake.
Fui interrotta dai miei pensieri quando l'autovettura si fermò di scatto vicino ad un marciapiede.
Per colpa della brina e dei residui di pioggia che si erano depositati sul vetro non riuscii a vedere nulla all'orizzonte.
Mi alzai di scatto e mi avvicinai all'autista per chiedergli dove si trovasse la scuola, il suo sguardo raggelante mi distolse subito dai miei propositi. Scesi dei piccoli scalini rivestiti di plastica ed uscii con la testa china da quel mezzo.
La gigantesca scritta "LandLake High School" introduceva un edificio composto da piccoli mattoni rossi. La scuola era molto grande: decine di ragazzi si muovevano verso l'entrata situata a circa 100 metri da dove mi aveva lasciato il pulmino, altri erano seduti sui scalini e altri ancora si aggiravano pigramente nel largo cortile di fronte alla scuola. Sentivo il bisbigliare delle loro voci. Chi sa di cosa stanno parlando, di come hanno passato l'estate, del ragazzo o ragazza della spiaggia. Il vento gelido di LandLake mi scompigliò i capelli.
«Non devo essere codarda, almeno non questa volta», pensai per farmi forza.
Scattai verso l'ingresso, tenevo gli occhi rivolti costantemente verso i miei scarponi che scivolavano sull'asfalto, non avevo voglia di vedere nessuno. Passi lunghi, passi lunghi e ben distesi.
Sentii un mormorio alzarsi alle mie spalle e sperai con tutta me stessa che non stessero parlando di me. Strinsi le braccia intorno al cappotto rosso di July, annusai il profumo del tessuto ed una sensazione di calore mi avvolse tutto il corpo.
Non sapevo dove andare, non sapevo quale fosse la mia meta.
Non avevo amici con cui incontrarmi in un punto preciso dal quale, dopo una lunga chiacchierata, entrare comodamente in classe. Ero da sola, ero la nuova mina vagante proveniente dalla grande città. Mi mancava un pochino New York con le sue enormi strade calde il cui asfalto si incontrava tenue con le mie Converse di tela. Mi mancava il mio cappuccino delle quattro da Mario's, vicino la quinta strada. Mi mancava anche il fatto che lì potevo far finta di essere qualsiasi persona desiderassi, mentre qui dovevo essere per forza sempre la stessa.
<<Ehi biondina>>, disse una voce alle mie spalle.
Un brivido mi percorse la schiena, ecco, sarei stata per sempre la "biondina" emarginata.
Mi girai lentamente ed un ragazza venne verso di me, mi ero fermata a pochi metri dagli scalini che portavano alla porta. Aveva un nastro azzurro a raccogliere i suoi capelli scuri, un cappotto imbottito nero lucido, dei jeans stretti slavati e degli stivaletti viola.
<< Non ti ho mai vista qui, ti sei persa? >>, continuò. Notai i dettagli del suo viso: la pelle chiara era lucida e con qualche piccolo accenno di acne coperto però da una spessa passata di fondotinta, le labbra valorizzate da un lucidalabbra viola e due occhi di un azzurro inteso.
<<Sono nuova>>, risposi con voce bassa mentre la guardavo negli occhi.
<<Nuova? Significa che ti sei trasferita per venire qui?>>, disse esterrefatta.
<<Si, prima abitavo a New York>>, ammisi cercando di non sembrare stupida.
Sgranò gli occhi e un'espressione di sorpresa le riempì il volto.
Pensai preoccupata: «Cosa avrò sbagliato?»
Intorno a me branchi minacciosi di studenti mi scrutavano con la stessa espressione stupita con cui si fissa un esperimento genetico.
Mi sentii osservata, guardai a terra per un attimo e poi risollevai lo sguardo.
<<Piacere, Megan>>, disse tendendo la mano. <<Tu saresti?>>, chiese.
<<Aria, il mio nome è Aria>>, risposi guardandomi intorno.
Si passò una mano tra i capelli. <<Scusa se sono venuta verso di te, pensavo fossi un'infiltrata per qualche controllo>>.
Mi meravigliai della cosa. <<No, tranquilla>>.
<<Benvenuta a LandLake>>, mi disse sorridendo.
Mi calmai improvvisamente, sentii i muscoli del corpo sciogliersi.
Mi fece segno di seguirla, una volta salite ci fermammo immediatamente prima dell'ingresso.
<<Questa è l'entrata principale, solamente da qui si può entrare ed uscire, fatte salve ovviamente le uscite d'emergenza>>, mi spiegò schiarendosi la gola. <<Quello in fondo a destra è l'albero dei misfatti, quella lì invece è la panchina per gli amanti di Hobbiville, quelli sono gli scalini per i musicisti ed infine c'è il cortile, l'unico posto destinato alle persone normali come noi. Ti conviene andare in segreteria e dire che sei arrivata, cosi possono darti la lista con l'orario delle lezioni>>, continuò gentilmente.
Annuii con interesse per tutto il tempo.
Megan spinse la porta e con fare sbrigativo mi invitò ad entrare.
Una volta che fummo entrate, una sensazione di calore circondò il mio corpo.
Un largo corridoio color rosso fuoco fungeva da base per lunghe file di armadietti grigi, tra le quali sorgevano delle bacheche illuminate e qualche foglietto colorato per le iscrizione hai club scolastici.
Si intravedevano i nomi delle aule e qualche professore aggirarsi meditabondo tra di esse. Le luci al neon sul soffitto erano di un bianco sporco, l'intera atmosfera era grigia ma allo stesso tempo vitale e veniva enfatizzata dal cielo grigio al di fuori.
<<Se cammini per circa 200 metri ti troverai davanti una rampa di scale, se sali al secondo piano vedrai subito la porta della segreteria. Ricordati di farti dare l'elenco delle lezioni>>, riprese a spiegare. Annuii, per la prima volta nella mia vita pensai di essermi fatta una amica.
Mi guardò per un istante e sorrise. <<Ci vediamo in giro allora, speriamo di avere le stesse lezioni>>, disse guardando in basso sembrando leggermente timida.
<<Lo spero, sei stata davvero d'aiuto>>, dissi. Fece uno strano gesto con la lingua e scivolò lungo la fila di persone. Mi incamminai sotto gli sguardi insospettiti degli alunni. Il suono deciso della campanella tuonò per tutto il corridoio. Girandomi vidi che altri ragazzi stavano entrando dalla porta principale.
Seguii attentamente le indicazioni di Megan ed arrivai subito davanti alla segreteria. Dopo nemmeno due minuti uscii fuori con un lungo foglio pieno di nomi di aule ed orari. La segretaria mi aveva scritto "In bocca al lupo" in basso a destra. In alto a sinistra c'erano il numero del mio armadietto e la relativa combinazione per aprirlo.
Feci scorrere il dito lungo la tabella stampata sulla carta per trovare la mia destinazione.
<<Aula 7, chimica organica>>, lessi ad alta voce. Il mio scarso spirito d'orientamento mi suggerì di andare a destra.
Notai subito i corridoi vuoti che venivano invasi progressivamente da un silenzio tombale.
Girai a lungo, mi ero persa. Era tutto così tremendamente uguale e cupo.
Un rumore proveniente dal corridoio alla mia destra mi fece scattare.
<<Speriamo che Kim si sia vestita come dicevi tu Sam, altrimenti diventerai un Kappa e non so che cosa possa essere peggio per te, davvero>>, disse arrabbiata una voce femminile.
Mi affacciai per vedere chi avesse parlato e con sorpresa notai subito che si trattava di una ragazza che avevo notato il giorno prima da Macy's a Radelc. Il suo corpo snello si avviò per un'altra ala del corridoio.
Che cosa significava diventare un "Kappa"? Con estrema gioia trovai finalmente la mia aula, ma poco prima di entrare un senso di nausea cominciò ad investirmi.
Riempii i miei polmoni d'aria con un enorme sospiro ed aprii la porta di scatto spalancandola davanti a me.
L'impatto con la luce dei neon fu violento, erano molto più luminosi di quelli dei corridoi. Poco a poco la mia vista incominciò a mettere a fuoco lo stretto abitacolo che mi trovavo davanti. L'aula era una piccola stanza riempita di poster e cartelloni creati dagli studenti, dentro vi erano file di banchi color avena davanti ai quali erano seduti degli alunni che mi guardavano incuriositi. Cercai con lo sguardo il professore e lo trovai facilmente. Era seduto su una cattedra color rame con poggiati sopra molti fogli e libri.
<<Salve, sono Aria Rimmer, oggi è il mio primo giorno di scuola, purtroppo non so ancora orientarmi bene in questa scuola e quindi ho fatto un leggero ritardo>>, dissi con il sorriso più falso del mondo.
Sembrava che mi fossi appena presentata ad una riunione degli alcolisti anonimi.
<<Aria, bel nome!>>, esclamò il professore.
L'intera classe mi stava fissando. Mi spostai lentamente in avanti e chiusi la porta alle mie spalle.
Notai subito un posto libero sul lato destro in terza fila, scivolai tra gli sguardi tetri di tutti e mi misi a sedere.
<<Oggi è anche il mio primo giorno di scuola>>, disse il professore sorridendo alla classe.
Spiegò poi il programma del prossimo trimestre.
<<Ehi, ehi! Ehi ragazza nuova!>>. Mi girai verso la voce che mi aveva chiamato.
Una ragazza rossa di capelli truccata pesantemente mi stava fissando, portava una camicia di jeans con sopra un gilet nero di pelle, i suoi occhi violacei mi fecero rabbrividire.
<<Dici a me?>>, risposi ingenuamente indicandomi.
<<Sì, da dove vieni?>>.
<<New York, mi sono trasferita da poco>>.
<<Allora è vero che chi ha il pane non hai denti>>, sentenziò a mo' di rimprovero.
Mi girai verso il professore. Aprii lentamente le mani e notai dei segni rossi sul dorso causati dalla mia paura. Tirai fuori un piccolo quaderno e presi appunti per il resto dell'ora. Spesso mi capitava di sentire cose come "Sembra una ragazza autistica" o "Come può trasferirsi qui da New York?", poi dall'alto opposto sentii una frase del tipo "Kappa la vorrà con se".
Kappa? Trascorsero due ore prima del suono della campanella, dopo aver messo i miei effetti dentro la borsa uscii velocemente dalla classe.
Dalla tasca del cappotto tirai fuori il foglio con gli orari. Continuavo a sentire quella sensazione di paura, avevo il presentimento che tutta la scuola già mi odiasse per il fatto di essermi trasferita lì da New York. Perché nessuno è mai gentile con me?
Mi toccava "Storia delle nazioni" nell'aula 3, chiesi quindi ad un bidello dove si trovasse per evitare di perdermi di nuovo e lui mi indicò la via. Prima di arrivare in aula, una ragazza alta e slanciata mi lanciò un occhiataccia.
Una volta entrata presi subito posto. Il professore era già lì ma aspettò ancora dieci minuti prima di incominciare la lezione. Non mi trovavo a mio agio, non mi sono mai trovata a mio agio in nessuno posto. Guardai fuori dalla finestra perché il modo di procedere cantilenante e noioso del professore aveva distolto la mia attenzione dalla lezione. Perché non riuscivo mai ad avere una vita normale?
Perché tutte intorno a me erano sorridenti e carine mentre io sembravo sempre il patetico stereotipo della triste ragazza media americana? Volevo cambiare, volevo cambiare me stessa. Ma poi pensai che sarei sembrata ridicola, che in fondo anche se una scimmia si vestisse di seta rimarrebbe per sempre una scimmia.
Io ero destinata ad essere quello: una scimmia.
Sempre lontana dal mondo, sempre distante, sempre fuori posto.
Fuori dalla finestra il cielo cupo di LandLake si faceva largo tra i miei pensieri, nel frattempo aveva iniziato a piovere ininterrottamente ed era come se qualcuno stesse lanciando secchiate d'acqua contro il vetro dall'aula. Un ragazzo davanti a me si girò per guardare fuori e, poco prima di tornare a fissare il professore, mi guardò per un secondo. Aveva forti e grosse spalle coperte da un blazer sportivo, dubitavo che LandLake avesse la sua squadra di baseball. Aveva gli zigomi e la pelle perfetti, mi sorrise e si girò dall'altra parte.
Sentii una vampata di calore insopportabile salirmi in pieno volto. A termine della lezione mi precipitai subito nel corridoio dove incontrai di nuovo Megan.
<<Che hai fatto? Sembri più...felice>>, le dissi.
<<Nulla, ho chiesto alla professoressa Turman il permesso per andare in bagno e sul lavandino ho trovato un beauty-case abbandonato>>, mi rispose ridendo. Ci trovavamo nel bel mezzo del corridoio, mentre la massa frenetica degli studenti ci passava vicino in maniera fredda e distaccata.
<<Almeno potrò risparmiarmi il treno per Radelc, erano due settimane che mi serviva un fondotinta nuovo ma non mi andava di allontanarmi dall'isola>>, continuò mostrandomi il beauty-case.
<<Come mai?>> le chiesi guardandola con curiosità.
Mi guardò per un istante in maniera misteriosa. <<Nulla. Solo leggende di un cittadina isolata dal mondo, cose normali...>>
<<Cosa normali?>>.
<<Dicono di passeggiare poco nei boschi perché le persone cambiano nella foresta, sembra che sia incantata. Una vecchia storia narra che una volta una ragazza si perse per arrivare alla stazione. Non la trovarono per circa una settimana. Alla fine tornò a casa piena di sangue e muschio dicendo che le voci della foresta le avevano ordinato di mangiare gli animali>>, mi raccontò.
Sembrava una di quelle storie che si leggono sui fumetti.
<<Certo che siete molto strani qui>>, cercai di sdrammatizzare.
<<Per questo vado poche volte fuori città, questa storia ha cambiato un po' tutti>>, ammise.
<<Allora sei fortunata, almeno non tornerai a casa piena di sangue di bue solamente perché ti era finito il fondotinta>>, dissi sarcastica cercando di strapparle un sorriso.
Ridemmo entrambe. Ci dirigemmo verso la mensa perché era arrivata l'ora di pranzo.
Tutti gli studenti andavano nella stessa direzione.
La sala delle mensa era un qualcosa di enorme, ai lati si trovava lo spazio dedicato ai servizi di ristorazione ed al centro erano collocati numerosi gruppi di tavoli rotondi. Ognuno aveva un tavolo specifico dove sedersi. Il leggero brusio delle voci studentesche era scandito dal tipico rumore acuto delle stoviglie.
<<Megan, posso chiederti una cosa?>>, le dissi mentre eravamo intente a riempirci i vassoi blu di croccanti patatine dorate.
<<Certo>>, rispose guardandomi.
Feci un largo respiro sperando di non sembrare stupida. <<Perché tutti mi fissano? Va bene che sono la ragazza nuova ma molti mi guardano addirittura con disprezzo!>>
Si guardò per un istante alle spalle e poi tornò a concentrarsi sulle crocchette di pollo. <<Semplicemente perché molte persone ti vedono come una conquista. Non abbiamo mai avuto ragazzi nuovi, la città è piccola ed isolata, dubito che qualcun altro verrà mai ad abitare qui>>.
Una volta finito di riempire il nostro piatto, seguii Megan tra i tavoli mentre l'ascoltavo parlare.
<<Tu vieni da New York! Molti ragazzi sono arrivati massimo da Pittsburgh, mai verso Est. Quindi puoi divedere le persone in due gruppi: quelli che ti guardano perché vorrebbero averti come amica solamente perché provieni da una grande città e quelli che invece ti odiano perché gli sembra che sia inutile trasferirsi qui>>, mi spiegò.
Ci sedemmo quasi agli ultimi tavoli, dove si aveva comunque un'ottima visuale della sala.
<<Bene>>, dissi sospirando. Prima che incominciassimo a mangiare arrivò un'amica di Megan.
<<Suz, sono felice di presentarti Aria>>, disse all'amica. Mi squadrò per un secondo e poi sorrise.
La carnagione scura le faceva risaltare gli enormi occhi verdi, i capelli mossi arrivavano a toccarle appena le spalle minute. Portava addosso un giacchetto di pelle con sotto una felpa giallo canarino.
<<Piacere di conoscerti ragazza nuova, mi chiamo Suzanne>>, si presentò stringendomi la mano.
Le tesi la mano con un enorme sorriso stampato in faccia e le dissi il mio nome.
<<Allora notizie dalle Erre?>>, chiese Suzanne a Megan mentre si metteva seduta.
<<Non si sono ancora fatte vedere, penso che arriveranno tra circa dieci minuti come al solito>>
Non feci domande, non volevo sembrare stupida.
Dopo aver parlato di quanto fosse bella New York, decidemmo di organizzare un piccolo pigiama party a casa di Megan. Sarebbe stata più che altro una riunione per conoscerci meglio.
Non sapevo bene come funzionassero queste cose, cosa avrei dovuto fare? Dopo essermi crogiolata nei miei pensieri, sentii il rumore della porta sbattere ed il rumoroso chiacchiericcio degli alunni cessò all'istante.
Mi girai di scatto per vedere meglio.
Eccola lì, la ragazza di Macy's che procedeva a suon di tacchi verso il tavolo centrale. Ripensai ancora alla conversazione che aveva avuto con quel ragazzo due ore fa. Mentre camminava i voluminosi capelli castani le volteggiavano lentamente dietro le spalle. Portava un vestito argentato pieno di piccole gemme sul davanti mentre una giacca di lino le copriva le spalle. Vicino a lei si sedettero altre due ragazze che mi sembrava sempre di aver visto il giorno prima. Calò un silenzio tombale dentro la mensa, tutti erano intenti a fissarla.
Subito dopo arrivò un'altra ragazza. Era bionda e portava una minigonna in pelle con sopra una camicetta rossa. Le sue lunghe gambe si muovevano con falcate decise tra i tavoli silenziosi. La sua pelle era perfetta, i suoi occhi erano di un giallo dorato pieno di vita, anche lei aveva altre ragazze al seguito. Si posizionarono proprio accanto al tavolo centrale. La ragazza castana guardò per un secondo la ragazza bionda e diventò rossa in volto.
Sbatté rabbiosa un pugno sul tavolo avorio. Sembrava una bambina di dieci anni.
<<Insalata, solamente insalata verde e non metterci assolutamente l'aceto. Rose, prega il tuo Dio e spera vivamente che dentro quella insalata io non debba trovare dell'aceto!>> disse stizzita la ragazza bionda nel silenzio della mensa.
Una sua seguace si alzò e si diresse verso il cibo.
Arrivò un'altra ragazza dalla porta in fondo alla mensa.
Non avevo mai visto una ragazza così bella, sembrava essere uscita da uno di quei calendari che trovi dentro gli autogrill o da una rivista di Victoria's Secret.
I capelli neri ricadevano sul coprispalle del suo vestito color oro.
Era come se brillasse di luce propria ed era sorprendentemente aggraziata in ogni suo movimento. Tutti si girarono a guardala ma lei teneva lo sguardo fisso verso l'ultimo posto rimasto libero. Dopo che si fu seduta, il silenzio cessò e tutto ricominciarono a muoversi e parlare normalmente.
<<Wow, quest'anno sembrano più agguerrite che mai>>, se ne uscì Megan.
<<Chi sono?>>, le chiesi ingenuamente. Mi aveva fatto un certo effetto vederle, erano tutti così intenti ad osservarle!
Risero entrambe alla domanda.
<<Sono le figlie dei tre potenti di LandLake>>, disse Suzanne guardandomi.
<<Voglio svezzarla io, ti prego Suz!>> supplicò Megan facendo una faccia buffa rivolta verso l'amica.
<<Accomodati>>, le rispose. Io continuavo a non capire.
<<Allora, segui attentamente ogni singola parola che ti dirò perché dovrai ricordartele per tutto il tempo che starai qui, ok?>>, mi chiese Megan.
Annuii.
<<Bene>>, continuò. <<Devi sapere che LandLake è un posto molto movimentato dal punto di vista dei gossip: circolano molte storie fasulle e molte storie vere sulle famiglie più importanti di questa città. In fondo le famiglie più tormentate sono sempre quelle più potenti, no? La ragazza mora che hai visto entrare a suon di tacchi è Alaska Coldorf, la figlia di Mike Coldorf, il sindaco di LandLake. Ha avuto la figlia insieme a sua moglie Faith, morta dopo averla data alla luce. Può avere tutto quello che vuole e si narra che nel suo armadio ci siano più di ottomila vestiti di marca. Oltre ad essere molto ricca è anche molto fissata col sesso. Ma più che una ninfomane è una manipolatrice esperta, dato che ha avuto la promozione in tutte le materia solamente perché ha fatto un servizietto al secchione del club di scacchi.
<<Mentre la ragazza bionda slanciata è Kim Prism, figlia di Jake Prism, lo sceriffo di LandLake. Non è molto ricca ma può permettersi comunque ottimi abiti e una macchina italiana. Sua madre è scappata dopo averla data alla luce solamente perché odiava vivere qui. Kim è più leale di Alaska, però entrambe sanno che può esserci solo una prima donna in questa scuola. Nella famiglia Prism non si trovano solamente queste due figure, c'è anche suo maggiore fratello Rey. Non lo si vede spesso a scuola ed è il più bello degli studenti, per non dire un donnaiolo professionista. Fa nuoto a livello agonistico, ha vinto le gare regionali a LandLake per due anni consecutivi ed una mia amica che l'ha visto sotto la doccia dice che ha un fisico bestiale con una bella ciliegina sulla torta...non so se mi spiego.
<<Infine arriva lei, la ragazza più bella di LandLake e la più misteriosa del mondo: Lucrezia Del Cardo. Dio quanto vorrei essere lei! È figlia di Carlo e Ludovica Del Cardo, proprietari di tutte le case e i terreni di LandLake. Lucrezia è superiore a tutti e non parla mai con nessuno perché sa che tutti vorrebbero avere le sue attenzioni. Ragazza misteriosa, i suoi genitori sono tornati in Italia lasciando l'intera azienda di famiglia a lei e a suo fratello. Il fascino di Lucrezia è qualcosa di mistico e unico. Non è mai stata insieme a nessuno dei ragazzi di LandLake e molti pensano che non abbia un cuore o che forse sia lesbica. Bisogna decidere da che parte stare, non bisogna essere neutri, bisogna pensarla o come Alaska o come Kim o come Lucrezia. Per questo esistono tre importanti gruppi: gli A, i seguaci di Alaska, persone che sono le une contro le altre e che vanno in soccorso di Alaska in ogni momento della giornata, però per diventare sua amica devi essere molto fortunata; i Kappa, i seguaci di Kim, il cui vero intento non è quello di avere dei piccoli schiavi sotto il suo controllo, ma di dimostrare a tutta la scuola al vera natura di Alaska in modo da sconfiggerla per sempre; infine ci sono gli Elle, quelli che pensano con il proprio cervello e che non si curano minimamente di queste dinamiche infantili>>, finì di dire. Megan bevve un sorso d'acqua fiera del suo riassunto.
Stetti tutto il tempo a guardarla negli occhi, sembrava un racconto rosa.
<<Come si fa a sapere in quale "gruppo" stare?>> le chiesi.
<<Sei al centro dell'oceano. Dopo giorni interi riesci a metterti in contatto con qualcuno, chi chiami per prima? Le autorità, gli investigatori o la capitaneria più vicina?>> mi rispose.
<<...la capitaneria più vicina, ovvio!>> dissi dopo averci ragionato.
<<ELLE!>> dissero Megan e Suzanne insieme. Sembravano contente e non sorprese.
<<Le autorità stanno a significare l'ignoranza, ovvero Alaska: se avessi risposto così saresti stata un'A. Gli investigatori stanno a significare il mistero, ovvero Kim: se avessi risposto cosi saresti stata una Kappa. Mentre l'ultima risposta sta a significare che la cosa più importante per te è aver salva la vita, quindi sei un Elle>> mi disse Suzanne.
Ridemmo tutte e tre. Ero felice che il mio valore fondamentale fosse la vita.
Il pranzo continuò in maniera del tutto normale, non parlammo più delle varie dispute della scuola. Dopo alcuni minuti notai improvvisamente lo sguardo sorpreso di Megan rivolto a qualcosa dietro le mie spalle.
<<Oh Dio santissimo!>> disse.
Mi girai di colpo, pronta a vedere un'altra scena come quella vista in precedenza. Ho sempre pensato che la paura è qualcosa di impercettibile inizialmente, ma quando cominci a sentirla significa che manca poco alla tua fine.
I capelli neri, i suoi occhi profondi. Portava una maglietta nera aderente con dei jeans scuri ed in mano aveva il vassoio pieno. Passava tra i tavoli con lo sguardo rivolto verso l'alto, la sua bellezza era qualcosa di unico.
Un brivido mi percorse la schiena quando i nostri occhi si incontrarono per un piccolo istante.
Il ragazzo che avevo visto il giorno prima nel manicomio dove si trovava mia madre era ora qui, libero davanti a me.
Sentii il terrore scorrermi dentro, non sapevo chi fosse, non sapevo di quale gruppo facesse parte, oppure chi fosse la sua ragazza. Mi importava solamente capire come avesse fatto ad uscire. Non dissi niente a Suzanne e Megan del manicomio, altrimenti avrei dovuto giustificare la mia presenza lì e, sinceramente, non ero ancora pronta a parlargli di mia madre. Non c'era il silenzio di prima, ma qualcosa volava nell'aria.
<<Dante Del Cardo è tornato dall'Italia!>> esclamò Megan.
<<Dante?>> chiesi guardandola.
<<I Del Cardo spedirono loro figlio Dante in Italia circa un anno fa. Si dice che avesse dato fuoco alla foresta e non volevano che si sapesse in città. Dante è il fratello più grande di Lucrezia e, sì, la sua bellezza è qualcosa di divino>>, disse ammaliata.
Non conoscevo con esattezza la sua storia, ma qualcosa dentro di me si muoveva, come se volessi conoscerlo per forza. Il suono della campanella scandì la fine dell'ora di pranzo, uscimmo fuori nel corridoio e ci salutammo per andare a lezione. Avevo Letteratura nell'aula dieci, cominciai a riconoscere qualche volto.
Una volta arrivata in aula trovai subito posto. Prima che la lezione incominciasse, il rumore dei tacchi a spillo di Alaska Coldorf riempì la stanza. Si sedette dietro di me, non mi degnai nemmeno di guardarla.
Mi stava antipatica, non la sopportavo. Dopo la fine delle lezioni uscii da scuola salutando Megan e Suzanne, le quali entrarono nelle proprie macchine parcheggiate in fondo al viale. Non avevo voglia di chiedere loro un passaggio a casa.
Così rimasi da sola ad aspettare il pulmino giallo che mi avrebbe riportato a casa. Passò circa un'ora e del furgone giallo non c'era ancora nessuna traccia. Il gelo assurdo di LandLake cominciò a farsi sentire.
Non c'era nessuno intorno a me.
Sentii un rumore di passi dietro alle mie spalle, non volevo girarmi. Ecco di nuovo farsi sentire la paura.
<<Stai aspettando qualcuno?>> una voce dolce e sensuale arrivò dritta dritta nelle mie orecchie.
Poi mi si pose davanti con uno scatto. Dante Del Cardo era proprio davanti a me, di nuovo, per la seconda volta.
<<Sto..Sto aspettando il pulmino della scuola>>, risposi impaurita. Strinsi i pugni.
Mi guardò incuriosito. <<Il pulmino della scuola?>>, mi disse scoppiando in un piccola risata. <<Vorrei scusarmi per il mio atteggiamento, capiscimi, ero rinchiuso dentro un manicomio>>, riprese a parlare.
Feci un largo respiro. <<Non preoccuparti, sono entrata senza permesso>>, lo guardai. Era bellissimo.
<<Grazie per non aver detto nulla di me alle tue amiche>>, mi rispose sorridendo.
<<Come fai a saperlo?>>
<<Lo so e basta>>, si giustificò facendo spallucce.
Mi rilassai e guardai la strada, anche se dentro di me volevo continuare a fissare lui. Il rumore della sua voce riempiva l'enorme ed ovattato silenzio. Piccole nubi coprivano il sole sopra le nostre teste.
<<Chiedimelo>>, mi disse ridendo.
Socchiusi gli occhi incuriosita. <<Cosa dovrei chiederti?>> risposi goffa sforzandomi di non balbettare.
<<Chiedimi se vuoi che ti dia un passaggio in città>>, mi guardò dritta negli occhi. Il suo sguardo era un qualcosa di unico. Il fascino di questa famiglia italiana era meraviglioso: fratello e sorella sembravano entrambi due divinità.
Cosa poteva volere mai il ragazzo più bello di tutta LandLake da una come me? Pensavo di non valere niente allora e che non sarei contata nulla nemmeno nel futuro.
<<Puoi lasciarmi anche vicino la baia se vuoi>>, gli dissi mentre ci avviavamo verso la macchina.
Mi guardò per un attimo prima di entrare in macchina. <<Che cosa ci faceva una ragazza docile come te in un posto come quello?>>, chiese.
<<Posso farti anche io la stessa domanda?>>, ribattei.
Mi sorrise, e per un secondo mi parve di vederci il paradiso lì in mezzo.
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Dragonter
Fantasy[COMPLETA] Quando Aria Rimmer è costretta a trasferirsi a LandLake, una cittadina al centro esatto di un grande lago, non immagina certo che la sua vita conoscerà ben presto una svolta improvvisa e magica. A quindici anni, Aria ha assistito al tent...