Capitolo 8

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Fu complicato alzarsi il giorno dopo.

La testa pulsava a causa del troppo alcol ingerito e dell'erba che ci aveva mischiato, tanto che quella mattina non si svegliò nemmeno con l'alzabandiera, dato che il proprio corpo era concentrato unicamente a riparare a quel problema.
Si portò una mano alla fronte, premendosi forte la testa contro il cuscino, mentre le proprie orecchie sembravano aver perso la capacità di captare suoni. Digrignò i denti, ma si costrinse ad alzarsi dal letto per andare al bagno a sciacquarsi la bocca. Infatti percepiva un pastone dovuto al mix di alcolici che aveva fatto la sera precedente che gli faceva salire la nausea.

Si alzò piano dal letto, colpito improvvisamente dal freddo che percepiva sulla pelle. Si guardò attorno, notando la finestra aperta e si chiese come mai lo fosse. Confuso, si guardò attorno, notando che tutto fosse precisamente in ordine e si gratto il capo.

"Buongiorno Eijirou, dormito bene? Visto che non ti svegliavi ho pensato di entrare comunque per pulire"

Il rosso alzò il capo e incontrò lo sguardo della domestica che lavorava per i suoi genitori da quando lui era piccolo.
Le sorrise, ancora con gli occhi mezzi chiusi e si alzò in piedi per andare al bagno.
Ringraziò il cielo di non aver portato davvero quella ragazza a casa la sera precedente, altrimenti sarebbero stati casini. Non solo con la domestica, ma data la sua presenza, anche con quelle due persone che immaginava fossero in casa.

"Oggi ci sono?" chiese retoricamente Eijirou, così da potersi preparare psicologicamente al presentarsi in cucina, dove avrebbe ricevuto mille domande e le seguenti ramanzine. Perché facevano questo i suoi genitori nel fine settimana: uscivano, si divertivano, sgridavano il figlio e lo ignoravano. Per questo aveva apprezzato quando avevano smesso di accettare gli inviti a casa Bakugou, perché loro di perfetto non avevano niente e detestava il dover far finta di esserlo.

La signora Midoriya, la domestica, sorrise dolcemente e annuì, essendo una delle poche che aveva assistito a quasi tutte le liti familiari avvenute tra quelle mura. La maggior parte si concentrava sul fatto che Eijirou non scendesse mai a fare colazione con loro il sabato e la domenica mattina, seguite, poi, dal suo scarso impegno scolastico.

Sbuffò e fece spallucce, mentre con i suoi semplici boxer si recava al bagno per darsi una rinfrescata prima di scendere. Aveva sempre desiderato, da piccolo, avere un fratello, ma con gli anni aveva ringraziato di essere solo, perché non desiderava che altre persone dovessero sopportare un'assenza di una figura educativa, lasciato a se stesso perché troppo presi dalla carriera. Ed era in quei ragionamenti che Eijirou si domandava perché avessero voluto fare un figlio, perché fosse venuto su così, perché la sua mente avesse preso ad essere così deviata.

A volte dava la colpa a loro della sua ossessione per Katsuki.

Se solo non fossero stati assenti, magari avrebbe portato a casa qualche ragazza, magari avrebbero potuto aiutarlo a farsela piacere, a crescere meglio a diventare un bravo ragazzo. Invece si ritrovava a diciotto anni a non sapere che farne della propria vita, pentito di tutte le scelte prese, delle situazioni in cui si era cacciato e delle amicizie frequentate.

Scese al piano di sotto, pronto ad essere sgridato, ma quando si presentò davanti ai propri genitori, quelli gli sorrisero dandogli il buon giorno.

La madre, dai capelli neri lisci lunghi sulle spalle, se ne stava seduta sul divano con accanto il marito da capelli neri anch'esso, ma portati corti sulla testa, anche a causa della leggera stempiatura che iniziava a vedersi.
L'emicrania prese a battere duramente contro la propria fronte, anche per la confusione che si venne a creare nella mente del ragazzo, dovuto al fatto che quei due se ne stavano tranquilli senza andargli troppo contro. Si chiese se fosse successo qualcosa, se quello fosse solo il preludio della tempesta. E la risposta arrivò quando lui si stava preparando una tazza di latte con i cereali, davanti alla televisione della cucina, mentre davano i cartoni animati della mattina per i bambini.

La madre entrò nella stanza, con la scusa di prendere qualcosa dare bere e si fece vicina al figlio, scorrendo con la mano lungo il top della cucina. Eijirou alzò lo sguardo, incontrando quello tanto simile alla madre e la fissò per qualche istante. Per tanti anni le persone erano andate avanti dicendo quanto lui somigliasse a quella donna, tanto che, un giorno, per porre fine a quei modi di dire, lui decise di tingersi i capelli di rosso, sconvolgendo la donna prima di chiunque altro.
Inutile dire che anche quello era stato un modo per continuare a sgridare il figlio all'infinito.

"Allora, quindi tu e Katsuki siete tornati ad essere amici?" iniziò la madre, facendo sgranare gli occhi al figlio che deglutì pensando a quel pomeriggio passato a casa del ragazzo che tanto sognava, ma terminato con lui cacciato da quella casa per via della legittima fidanzata. Si morse il labbro, non sapendo cosa dire e prese la propria tazza del latte, andando a sedersi al tavolo della cucina.

La madre lo seguì, rimanendo al suo fianco e poggiando una mano sullo schienale della sedia su cui si era accomodato il figlio. A quel punto, sentendosi messo con le spalle contro il muro, Eijirou alzò lo sguardo distrutto verso la madre. Una donna normale avrebbe notato le occhiaie del proprio figlio e gli occhi iniettati di sangue per via delle poche ore di sonno e delle sostanze che continuava ad assumere. Lei, però, che normale non era, continuò a sorridergli aspettando una risposta.
Desiderava solo che il figlio fosse normale, perciò ignorava tutti quei segnali.

"Non proprio" disse, infine, ammettendo la realtà. Non si può essere amici di qualcuno con cui hai parlato due volte, anzi tre, anche se Eijirou una non se la ricordava. Tra l'altro, mettendo in mezzo i suoi sentimenti, probabilmente lui non sarebbe mai riuscito a rimanere solo amico di Katsuki.

"Eppure ha chiamato stamattina dicendo che hai dimenticato il foglio con gli appunti a casa sua. Hai studiato lì, ieri? E comunque gli ho dato il tuo numero" concluse, allontanandosi dal figlio, senza nemmeno aspettare una risposta dal suo interlocutore.

Il cucchiaio cadde nella tazza di latte che se ne stava di fronte al rosso, producendo un'onda che fece finire il liquido tutto sul tavolo. Senza fiato e con il respiro spezzato, si rese conto di quello che aveva appena detto sua madre: ora Katsuki aveva il suo numero. Deglutì un paio di volte, cercando di pensare a mente lucida, nonostante il mal di testa, passando in rassegna ogni eventualità che si sarebbe potuta venire a creare.

Riconobbe che non fosse un male che il biondo avesse il proprio numero, infondo non avevano comunque molto da dirsi, nonostante quello che gli aveva detto prima di entrare in casa sua, nonostante avessero studiato insieme e nonostante si fosse preso cura di lui come nessuno aveva mai fatto.
Fece scrocchiare le dita sui palmi, mentre fissava il liquido bianco sulla tovaglia arancione della cucina, che stava lentamente venendo assorbito, come incantato, perso nella propria mente e poi si alzò in piedi di scatto, correndo su per le scale, passando davanti ai genitori, in salotto, che lo fissarono confusi, ma senza fare domande.

Ancora sveglio [Kiribaku]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora