3. Prepotenza e sculacciate

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"Mi sembra di aver capito che la signorina non intende beneficiare della sua presenza, quindi la invito a girarsi e ad andare via." Disse il professore con voce roca e a denti stretti, guardando il ragazzo. Lo guardai attentamente e la luce fioca che illuminava il suo collo, mi fece beare alla vista delle sue vene, venute fuori dal nervoso che provava in quel momento, e ne provava tanto a giudicare dai pugni stretti che aveva lungo i fianchi.

Il ragazzo fece un po' lo sbruffone ma dopo pochi instanti, capì la brutta situazione creatasi e se ne andò, finalmente. Anita nel mentre mi diede una gomitata sul braccio, come per esortarmi a ringraziare il professore ma, io ero rimasta ferma, muta e imbarazzata.

"Ti ha fatta male?" mi chiese preoccupato all'orecchio per farsi sentire, prendendo il mio braccio per poi afferrarlo e stringerlo, trascinandomi più vicino a sé.

Guardai la mano mentre stringeva il mio braccio, incurante di ciò che avesse detto e poi fissai i suoi splendidi occhi grigi. In quel momento che lo stavo guardando da vicino, mi accorsi della pelle matura del collo, delle increspature causate dagli anni attorno agli occhi e delle rughe d'espressione attorno alle sue fantastiche labbra.

Mi resi conto dell'effetto infuocato che ebbe il suo tocco su di me, così fissai la sua mano che non si decideva a mollare la presa.

"Vieni andiamo in un posto più tranquillo!" mi disse, ignorando completamente Anita che ci fissava in modo abbastanza scioccato. Mi fermai subito e non feci come disse lui, così strattonai la sua mano via dal braccio e incrociai le braccia sul petto.

"No, non sono da sola." Dissi guardandolo.

Lui guardò Anita e poi spostò il suo sguardo nuovamente su di me. La musica forte ci dava fastidio e non potevamo parlare a distanza "di sicurezza" visto che non ci sentivamo a vicenda.

"Vieni lasciamo a casa Anita e poi lascio a casa te. Sbrigati!" incalzò arrabbiato. Un'espressione dura gli dipinse il volto vissuto, con una lieve crescita di barba. Così senza preavviso, senza dirmi se potesse farlo, vedendomi ferma e praticamente immobile a fissarlo incantata, mi afferrò la mano e mi trascinò fuori da quel trambusto.

D'istinto afferrai la mano di Anita e fummo a pochi passi dal locale, in una zona appartata e più silenziosa, dove si potesse parlare senza avvicinarsi troppo, per fortuna.

"Anita dammi il tuo indirizzo, ti lascio a casa." Disse infuriato, parlando velocemente e guardando la mia amica. Io lo guardai ancora. Sembravo bloccata, non usciva una parola dalla mia boccaccia. Mi feci coraggio e parlai.

"Ho la mia macchina, grazie ma ce la caviamo benissimo da sole. Grazie per avermi liberata da quel ragazzo. A domani prof!" dissi camminando in senso opposto. Lui non contento mi fermò ancora mettendomi una mano sulla spalla e facendomi voltare di botto.

"Tu non vai da nessuna parte e soprattutto non chiamarmi mai più "prof" perché mi dà fastidio. Non mi importa inoltre che avete la macchina, non puoi andare via da sola. Sai? Ci sono molti sconosciuti in giro da cui non accettare caramelle." Mi disse guardandomi dritto negli occhi. Senza pensarci due volte, feci prevalere l'istinto e non collegai i neuroni.

"E dovrei accettare le sue caramelle, prof?" marcai più del dovuto quella parola. Lui strinse i pugni e poi aprendo le mani, le passava avidamente sui suoi jeans che sembravano nuovi di zecca. Sentii il professore emettere un sospiro, di quelli che si fanno quando si ha poca pazienza a disposizione.

"Per un'ultima volta, o muovi il tuo bellissimo sederino con le buone o sarò costretto a portarti in macchina con la forza. Perché qui l'unica a non accettare un aiuto sei tu piccola signorina occhi verdi." Mi disse puntandomi il dito contro. Lo guardai accigliata. Non sapevo cosa rispondere e rimasi in un silenzio che per me sembrò un'eternità.

Così, l'alba baciò il tramonto - Storia di un'ossessioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora