🔞 31. Violenza

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Quando mi svegliai, vidi la notte diventare sempre più chiara dalle finestre di camera da letto, mi girai e vidi il mio Francesco.
Lo osservavo come i bambini osservano i loro regali di Natale, come la luna osserva il sole, lasciandole il suo posto nel cielo.

Gli passai una mano tra i capelli. Lui, con un sorriso, si svegliò e mi guardò.
“Ciao amore” disse.
“Sembri un angelo quando dormi.” Dissi osservandolo.

Mi abbracciò e mi tenne stretta a sé, come se non mi volesse fare andar via.
Diedi un’occhiata al cellulare, erano le sei del mattino. Dovevo farmi una doccia e passare a casa a cambiarmi, dovevo andare a lavoro. I turni della domenica erano più pesanti della settimana.

Mi alzai, presi i miei vestiti e mi rivestii velocemente, avendo ancora qualche minuto di tempo in più.
“Dove vai” disse lui arrivando in cucina. Era nudo, senza nemmeno i boxer. Lo guardai dalla testa ai piedi, incapace di fare una qualsiasi cosa. Diventai rossa in viso, come se quell’uomo, non smettesse mai di piacermi.

“Devo andare a casa a darmi una rinfrescata e poi a lavoro. Passi poi a fare colazione in pasticceria?” gli chiesi. Lui annuì sorridendo e baciandomi la fronte.

“Ti amo.” Disse. Mi guardava fisso negli occhi, con un sorriso imbarazzato, mentre si passava una mano sulla nuca. Lo guardai attonita.

“Che hai detto?” chiesi sorridendo.
“Ho detto che ti amo Chiara. Ti amo da morire. Non lasciarmi più giuralo.” Disse. Mi avvicinai a Francesco e gli diedi un bacio di conferma.

“Ti amo anche io. E giuro che se mi fai di nuovo del male, io ti uccido. Sappilo” dissi in tono minaccioso.
“Tra qualche giorno parto” disse prendendo le mie mani e baciandone i palmi.

“Vengo con te” risposi decisa. Lui quasi non poteva credere a quello che dissi. Mi guardò confuso.
“Ripeti” disse, per un' ulteriore conferma.
“Vengo con te, prendi un biglietto.” dissi sorridendo. Mi prese in braccio e mi fece girare, ridendo come un ragazzino. Era felice, felice come quando era un bambino e sua madre gli faceva la sua torta preferita il giorno del suo compleanno.

Per le strade, guardavo i passanti, fare colazione nei bar. Ero felice, felice da morire, anzi, da vivere.
Pensai ancora a lui, a come il destino ci fece incontrare ancora una volta. A come eravamo destinati a stare insieme e a come, la promessa fatta un anno prima, fu rispettata.

“Se il destino ci farà incontrare una seconda volta, dal nulla, voglio stare con te da quel momento fino a quando non morirò.” Aveva detto. Io avevo accettato. Ed ora eccoci qui, di nuovo sulla stessa strada da percorrere, mi auguro, questa volta insieme, mano nella mano. Senza lasciarci mai. Questo amore malato, non lo dimenticherò mai e vorrei stare con lui fino a quando non farò l’ultimo respiro.

Arrivai a casa, mi fiondai subito in doccia.
È successo davvero. Ci siamo ritrovati senza sapere nulla. Senza sapere dove fosse lui, dove fossi io.

L’acqua mi lavò via il sapone ed uscii, avvolgendo il mio corpo in un accappatoio.
Come farò a dire ad Anita che vado via? Le prenderà un colpo.

Presi poi il cambio e lo misi in borsone, mi vestii e uscii per andare a lavorare.
Quando arrivai più tardi al lavoro mi misi subito all’opera, aiutando Leonardo a montare delle torte in consegna nella mattinata.

La mattinata andò liscia e senza intoppi. Tranne per il fatto che avevo deciso di parlare con Leo per il licenziamento.
“Leonardo devo parlarti” gli chiesi, non appena il laboratorio si svuotò ed io finii di cambiarmi.

“Dimmi” disse freddo.
“Tra qualche giorno parto e vado via. Mi licenzio.” Leonardo si voltò verso di me, aveva gli occhi rossi di rabbia e i pugni chiusi, con le nocche bianche.
“Mi fa piacere che tu e mio fratello abbiate fatto pace. State proprio bene insieme.” Disse incrociando le mani al petto, poggiandosi al bancone.

Così, l'alba baciò il tramonto - Storia di un'ossessioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora