33. Il mio sangue

4.1K 90 12
                                    

Un anno e nove mesi dopo

Francesco

La sveglia suonò forte, come ogni maledetta mattina in cui aprivo gli occhi. Mi voltai verso Margherita e capii che dovevo svegliarmi davvero.

L’unico pensiero però fu ancora lei, la mia bambina. Anche se lei continuò a mandarmi messaggi e a farmi telefonate, io non risposi mai.

Chissà dov’è, con chi. Cosa starà facendo? Magari è a lavoro adesso o si sta svegliando e guardando il sole. Il sole, la luna e le stelle, sono le uniche cose uguali a cui possiamo volgere lo sguardo.

Mi alzai dal letto, guardai in mezzo alle mie cosce. L’erezione mi faceva male, capitava ogni mattina se pensavo a lei.

Controvoglia, feci il caffè alla macchinetta, una doccia e mi vestii per raggiungere la scuola. 

“Buongiorno professore!” sempre le stesse parole, mai una voce che le somigliasse. La cercavo, in ogni particolare di ogni singola ragazza. La voce, i modi di fare, camminare. Niente, nessuno poteva somigliare a lei.

La giornata andò liscia, come tutte le altre. La solita monotonia. Quelle adolescenti erano tutte trucco e provocazioni. Lei era diversa, aveva in testa la cultura, l’amore per la cucina, ma soprattutto, l’amore per me.

Con Margherita avevamo fatto pace e ritirato il divorzio. I bambini ovviamente erano al settimo cielo, vedendomi di nuovo a casa. Sono la mia vita e per loro avrei fatto questo sforzo. Ma per me, Margherita era e restava, solo la madre dei miei figli.

Non la amavo, anzi mi faceva male stare con lei e vederla la mattina, appena sveglio. Volevo vedere la mia bambina, appena sveglio. Tutti i giorni della mia vita. Margherita si impegnò tanto, dovevo riconoscerlo. Si impegnò a perdonarci, fece di tutto per riprendere la situazione in mano, per tornare ad essere una famiglia. Ma onestamente, non credo fossimo stati più una famiglia come lo eravamo prima.
Prima di precipitare nel baratro. Prima che conoscessi Lei. Chiara.

Non l’ho mai più chiamata, non le ho più scritto un messaggio. Cancellai quella stessa sera il suo numero e la chat di WhatsApp, fu inutile, però. Conoscevo il suo numero a memoria. Cancellai tutte le foto, tutte tranne una. L’avevamo fatta la prima volta che abbiamo fatto l’amore.

Quanto ci amavamo. Ritraeva noi due, abbracciati a letto. Lei mi dava la schiena ed io la abbracciavo da dietro. In quella foto, avevo altri occhi, me ne rendo conto. Avevo gli occhi di un uomo innamorato. Innamorato di lei, di me stesso e della vita.

Si, perché lei mi fece innamorare della vita, della libertà, della spensieratezza.
Margherita sapeva che non ero lo stesso, ma per i bambini e per l’amore verso di loro, non me lo ha mai chiesto.

Mi resi conto che la pensavo sempre. Rischiavo di impazzire i primi mesi senza di lei. Senza sentirla, vederla, toccarla. Senza affondare in lei, nella sua carne, nella sua pelle. Senza il suo profumo, la sua carne, giovane e calda.

Ricordavo ogni effetto che le facevo. Ogni volta che la toccavo, che la sfioravo, che la baciavo, i suoi occhi brillavano. Lei brillava di luce propria. Lei, la mia bambina.

Ormai le mie notti non erano più le stesse, non dormivo per tre ore di fila senza svegliarmi. Mi svegliavo, la pensavo. Bevevo. Mi alzavo dal letto e bevevo alcol, pensandola.

Chissà che farà adesso pensavo. Chissà con chi è, se ha trovato un uomo che la ama come l’ho amata io. Che la baci come l’ho baciata io. Che la tocchi come l’ho toccata io.

È certo che, l’ultima volta che lo abbiamo fatto, non sono stato carino con lei. Me ne sono pentito subito.
La amavo e la amo ancora. Sono consapevole di averla trattata male, ma ero arrabbiato. Deluso. Da lei e dal suo comportamento da ragazzina.

Così, l'alba baciò il tramonto - Storia di un'ossessioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora