Casa.
Tornare a casa, dopo tanto tempo, era quello di cui avevo bisogno.
Non che non mi trovassi bene al campus, anzi, ma tornare a casa ti fa sentire bene.
Chè puoi scappare via e andare dove vuoi, ma poi ad un certo punto torni a casa, anche senza un vero motivo, solo perché casa è casa.
Non c'è un posto migliore di quello.
Per i ricordi, per l'infanzia, per la vita passata lì in quelle quattro mura, per i tuoi genitori, per la tua famiglia.
In quel momento ero a casa. Finalmente.
Misi lo zaino sulle spalle e appena le porte del pullman si aprirono, io scesi.
L'inverno a Boston era davvero freddo, molto di più di quello di New York.
Fortunatamente non pioveva, ma sembrava che di lì a poco avrebbe iniziato a nevicare.
Iniziai a camminare verso casa con passo spedito dato che non avevo un ombrello con me e poi camminando mi sarei riscaldata.
Camminavo per la città incantata nel vedere la bellezza che non avevo visto fin da subito.
Boston non mi aveva colpita, non all'inizio almeno.
Quando i miei genitori dissero a me e a mio fratello che saremmo andati a vivere in America non la prendemmo bene, per niente.
Eravamo piccoli e avevamo tutta la nostra vita a Torino: gli amici, la scuola, la famiglia. Spostarci e iniziare da zero fu difficile, soprattutto all'inizio.
Avevamo entrambi problemi con la lingua e non avendo nessuno lì, potevamo contare soltanto su noi stessi.
Per fortuna la prima scuola che frequentammo metteva a disposizione degli studenti alcuni professori che potevano aiutarci con l'inglese e magari spiegarci qualcosa che non avevamo capito.
Pian piano ci ambientammo e devo ammettere che ad oggi preferisco Boston a Torino, anche se questo non posso dirlo ai miei perchè a loro ho sempre detto di preferire l'Italia, un po' per l'orgoglio e un po' perchè infondo l'Italia era casa mia.
Ormai la mia vita era lì, i miei amici erano lì, la scuola era lì. Soltanto la mia famiglia era a Torino, i miei nonni e i miei zii. Però una volta all'anno torniamo in Italia e ci restiamo per almeno un mese.
Solitamente in estate, approfittiamo del clima italiano e ci godiamo il mare.
Dopo aver camminato tra le strade colorate e ricche di murales e dipinti, arrivai finalmente a casa.
Suonai il campanello.
Ero emozionata. Non vedevo la mia famiglia da qualche mese ormai se non tramite facetime e chiamate varie.
Nessuno aprì.
Suonai di nuovo, ma ancora non aprì nessuno.
Presi la chiave di riserva che era nascosta sotto la pianta accanto alla porta ed entrai. Effettivamente non c'era nessuno in casa.
Posai lo zaino sul tavolo e presi il cellulare. Ignorai i vari messaggi e chiamai mia mamma.
"Pronto?" sentii la sua voce
"Mamma ciao, buongiorno" risposi
"Tesoro come stai?"
"Sto bene e tu?"
"Bene bene, oggi abbiamo deciso di passare la giornata al centro commerciale. Tuo padre e tuo fratello vogliono comprare dei vestiti...questi ragazzi di oggi" continuò mia madre mentre mio padre in sottofondo provava ad attirare la mia attenzione "Eccolo te lo passo"
"Martiii" disse mio padre
"Papà ciao come stai??"
"Tutto bene per il momento, stasera poi ti aggiornerò. Sai dopo una giornata al centro commerciale con tua madre" ridacchiò
"Ci credo" dissi ridendo
"Tu cosa farai oggi?" continuò mio padre
"Ma credo niente di che, non ho ancora visto i ragazzi. Dopo chiederò cosa hanno organizzato" risposi mentendo
"Capisco, ti passo la mamma che chiede la linea. Ciao tesoro, ti voglio bene"
"Anch'io papà"
"Allora tesoro come vanno gli esami? Hai ansia? Mica hai avuto problemi di quel tipo e non me l'hai detto?" ora era mia mamma a parlare
"No mamma stai tranquilla, per il momento non ho molta ansia. Forse per questo non ne ho avuti. Gli esami iniziano a gennaio, dopo le vacanze invernali" risposi
"Stai studiando? Sai che se ne vuoi parlare puoi chiamare quando vuoi, possiamo venire a prenderti quando vuoi, anche di notte"
"Si mamma lo so, grazie"
"Vabene tesoro io ti lascio che stiamo entrando e dentro non prende la linea. Un bacio grande da tutti" disse salutandomi
"Anche a voi, dai un abbraccio a Nico. Ci sentiamo dopo" chiusi la chiamata.
Sorrisi. Ero così fortunata ad avere una famiglia così.
Decisi di non dire che ero a casa, anche se all'inizio ci avevo pensato. Avevo chiamato proprio per quello. Ma non volevo sconvolgere i loro piani, avrebbero passato una giornata magnifica, ne ero sicura, e avrei provato a fare lo stesso anch'io.
Posai il cellulare nello zaino e decisi di non prenderlo per tutta la giornata.
Erano quasi le dieci e mezza e avevo fame.
Non avevo fatto colazione e la pizza della notte prima era ormai digerita, così aprii i vari mobili della cucina, il frigo, la dispensa, raccolsi vari ingredienti e cucinai i pancakes alla nutella.
Non sono mai stata brava in cucina, non so affatto cucinare, ma la prima cosa che ho imparato a cucinare in America sono i pancakes.
E, con tanta modestia ed umiltà, ammetto che li facevo benissimo.
La mia specialità. Anche l'unica, però sono dettagli insignificanti questi.
Finii di mangiare così presi lo zaino e salii in camera mia.
Tutto era come l'avevo lasciato.
Un po' mi mancava la mia stanza, i miei spazi, il mio bagno, il mio adorato e comodissimo letto. Totalmente diverso da quello che avevo al campus, anche se con Gaia non sembrava tanto scomodo.
Gaia faceva sembrare tutto così...perfetto.
No, ok. Basta Martina. Avevi detto di non dover pensare a Gaia, almeno oggi. Almeno per qualche ora.
Perfetto adesso parlo anche da sola, sto impazzendo.
Anche se...insomma con chi dovrei parlare, questa casa è vuota.
Ho avuto la sfiga di tornare a casa proprio quando la mia famiglia non c'era. Se non sono capacità queste, non saprei.
Tirai fuori dallo zaino il quaderno in cui avevo scritto durante il viaggio. Volevo trasformare quelle parole, quei pensieri in una canzone, in musica.
Rispolverai la mia vecchia chitarra che avevo deciso di lasciare lì e pensai ad un giro di accordi armonico.
Senza neanche rendermene conto creai una melodia orecchiabile con qualche nota.
Ora dovevo soltanto dare forma a quei pensieri.
Soltanto.