Capitolo 4

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«La sua asma è tra i casi più gravi, lo stiamo tenendo d'occhio. Tuttavia, crediamo di poterlo salvare...»
«Non ce lo dica se non lo sa ancora con certezza» interrompo l'infermiere.
Mio padre mi guarda severo, prima di sospirare. «Grazie, infermiere. Aspettiamo notizie.»
L'uomo fa un cenno e si allontana per rientrare nella stanza in cui è stato portato mio fratello, dove lo stanno aiutando a recuperare il respiro...
«Mi dispiace... » mormoro, per l'ennesima volta.
«Non è colpa tua» sussurra il babbo, strizzandomi dolcemente il braccio.
Tommaso, seduto qui vicino con i suoi genitori, fa ballettare la gamba da quando siamo arrivati, mentre zia Emma piange e zio Stefano le tiene la mano.

Il mio cellulare squilla, così mi allontano per rispondere: è Liberio.
«Pronto?»
«Ire? Come sta Saul?»
Mi guardo alle spalle, non sapendo come rispondere. La voce mi si strozza in mezzo alla gola provocandomi un dolore che, assieme a quello che provo al petto, si presenta insopportabile.
Liberio insiste, ora più agitato: «Irene?»
«Senti, pensano di poterlo aiutare» sibilo, cercando di non piangere.
La sua voce si fa subito più rilassata: «Bene, dai...»
«Bene un cazzo!» ringhio, azzittendolo. «Io non ci credo finché non vedo mio fratello con gli occhi aperti e in grado di parlarmi!»
«Ma gli infermieri...»
«E chi se ne frega di cosa dicono loro!» inveisco, quasi urlando nel reparto ospedaliero.
Devo andarmene da qui, non sopporto questo posto, lo odio...

Certa che nessun parente mi stia guardando, mi avvio fuori dal reparto e imbocco le scale che portano al piano terra.
«Ire, stai calma, per favore. So a cosa stai pensando...»
«Libe, non puoi dire niente che possa farmi stare meglio!» lo accuso, prima di riattaccargli il telefono in faccia.
Lui vuole che io stia calma...
Non si rende conto che è la cosa peggiore da dire?
Esco dalla misericordia e mi dirigo verso il cancello, quasi correndo. Il mio volto è attraversato da un'ombra di fiele e il veleno mi ribolle in corpo. Sento il cellulare vibrare in tasca, ma lo ignoro, trattenendo a stento l'impulso di gettarlo in un bidone dell'immondizia.
È quasi ora di cena, e io mi avvio là dove ho bisogno di sfogarmi, una volta per tutte, per chiarire la situazione...
Saul porta sempre con sé l'inalatore. E questa volta se lo dimentica?

Raggiunte le porte della chiesa ormai vuota, entro senza fare il Segno della Croce. Batto i piedi lungo la navata e mi precipito all'altare.
Allora sollevo lo sguardo sul Crocifisso per puntarGli il dito contro e urlare: «SAUL?! ANCHE SAUL?! MIO FRATELLO?!» Getto indietro la testa a lanciare un grido selvaggio che mi liberi dal dolore.
Ma è inutile, non funziona...

Continuo a fissare il Crocifisso. Immobile, non mi dà risposta. E mi fa ancor più imbestialire. «Ma Tu», soffio adirata, marciando in avanti fino a scontrarmi con l'altare, «cosa‐vuoi-da-me? COSA VUOI DA ME? COSA VUOI DA NOI? Hai preso Michele! E MIA MADRE! E adesso vuoi prenderTi anche SAUL?! Ha tredici anni! E Michele ne aveva venti! Lui e Walter avevano solo vent'anni! E nonna Rosalba?! Non l'ho mai conosciuta, ma so benissimo che è morta giovane, proprio come mia madre! Perché continui a farci patire così tanto?!» Batto le mani sull'altare. «PERCHÉ?! Se vuoi qualcuno, PRENDI ME! SONO QUI! LASCIA STARE LA MIA FAMIGLIA E PRENDI ME!»
«Irene?! Cosa stai facendo?!»
«Ti ho chiesto più e più volte un minimo di aiuto, almeno un segno del fatto che Tu ci stia accanto! Ma niente! NIENTE! Ho solo bisogno che Tu Ti mostri! Che mi dimostri che sei qui e che ci ami! Invece mi stai facendo intendere tutto il contrario! È questa la verità, Dio? Tu non ci ami?! Oppure non esisti?!»
«Irene!»

Sento afferrarmi per le braccia e venire allontanata dall'altare. Tento di divincolarmi da don Teo, ma lui, nonostante l'età, è più forte di me.
«Guardi cosa ci sta facendo!» sbraito. «Mio cugino! Mia madre! E ora Saul!»
«S-Saul? Che cosa gli è successo?»
«È alla misericordia! Ha avuto un attacco d'asma e non aveva l'inalatore! Lui glielo ha fatto dimenticare!»
«Irene, questo non è vero.»
«SÌ INVECE! E mia nonna sta malissimo! E...» sto per urlare di Tommaso e delle mie paure su di lui, ma mi mordo la lingua. Equivarrebbe a tradirlo e a spiattellare problemi familiari...

Mi accascio a terra ad affogare nelle mie lacrime, e don Teo si accuccia accanto a me.
«Perché?» ansimo, con le fitte che mi attraversano il petto. «Perché ci fa questo? Noi non abbiamo fatto niente di male... Vuole Saul perché in questi mesi sono stata arrabbiata con Lui... Perché a scuola rispondo male a tutti, perché non voglio parlare con nessuno... perché ho dei dubbi su di Lui...»
«No. No, Irene, questo non è vero. Il Signore non ti odia.»
«E ora ho risposto male anche a Liberio, quindi Saul...»
«Irene, per favore, alzati. Ti accompagno alla misericordia.»
«No...» scuoto la testa e mi rialzo, asciugandomi il viso.

Mi giro a guardare il Crocifisso. Gesù non fa cenni.
«Vorrei solo un segno...» sussurro, la voce rotta. «Un aiuto... Non voglio rimanere sola, ma sola mi sento già... abbandonata da Te...»
Tutti i sacrifici... perché? Che cosa ha in mente? Perché sempre gli innocenti? Che razza di giustizia è? Se sono io a meritare una punizione, perché devono rimetterci gli altri?
Evito lo sguardo di don Teo e mi allontano verso i portali della chiesa, ignorando i suoi richiami.

                                    *

Ho avvisato mio padre che tornerò a casa. Gli ho chiesto scusa, perché dovrei rimanergli vicino, ma proprio non ce la faccio. L'idea di rimanere tutta la notte in ospedale ad aspettare... non ce la faccio, questa volta sono troppo debole per lottare...
Arrivo a casa e mi affretto a indossare il pigiama. Niente cena, niente musica, niente canto, non mi va niente.
Voglio solo dormire. E spero di morire, cosicché Saul non se ne vada...

Nei sogni vedo mia madre, che mi chiama. Ho paura, penso che sia venuta a prendermi...
Però, se proprio sarò con lei, posso accettare dolcemente questo destino.
Le corro incontro, ma lei mi dà le spalle e se ne va, facendo orecchie da mercante al mio richiamo disperato...

Mi sveglio a causa di un suono fastidioso nel mio orecchio.
Scuoto la mano, pensando a una zanzara, ma poi mi rendo conto che si tratta del cellulare che vibra sul comodino.
Spalanco gli occhi, e non appena leggo Babbo rispondo: «Pronto?»
«Ire, Saul sta bene! È sveglio!»
Lancio un mugolio di gioia nello stesso momento in cui le lacrime sgusciano a bagnarmi le guance.
Saul è vivo...
E sono viva anch'io, perché sto parlando al cellulare con mio padre. Non è un sogno, perché sono nel mio letto, e mia madre non c'è.
«Grazie...» sussurro.
«Come?»
«Eh? Ehm... come sta?»
«Sta benissimo. Per oggi vogliono tenerlo d'occhio, ma credo che domani potrà tornare a casa. Nessun effetto collaterale negativo. Vieni?»
«Sì sì, mi preparo e arrivo!»
«Ire,» adesso cerca di farsi più serio, «che cos'hai fatto ieri sera?»
Scuoto la testa, dimentica che non può vedermi, dunque mormoro asciutta: «Una piccola crisi».
«Perché non me lo...»
«Babbo, va' da Saul» lo interrompo, in tono bonario. «Io arrivo.»
Lui fa una pausa. Immagino che voglia insistere...
Alla fine però, per fortuna, risponde: « Va bene. A fra poco».

Riattacco e prendo un respiro profondo, senza smettere di sorridere e ridere.
Sta bene... Saul sta bene. La mamma lo ha protetto. Il Signore lo ha protetto. E...
Mi passo una mano tra i ciuffi, rimirando distrattamente le cupe sfumature che la penombra della stanza affligge sui miei capelli biondi.
Don Teo mi ha vista, ha assistito alla mia crisi...
Chissà cosa pensa adesso di me... che sono fuori di testa...

«Ti dai una mossa o no?»
Caccio un urlo.
Non sono sola, mi accorgo soltanto adesso che ci sono tre sagome distinte in camera mia.

Il Paradiso a casa miaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora