Capitolo 14

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Ormai è passata una settimana dal mio compleanno.
Stamattina Liberio mi ha inviato un messaggio per annunciarmi che ha buone notizia.
Non ho idea di cosa si tratti, ha promesso che me ne parlerà a ricreazione.
Purtroppo oggi entrerà più tardi: non ha studiato per l'interrogazione di francese e ha preferito nascondersi, quel codardo.
Comunque, per evitare che la classe lo prenda di mira – poiché effettivamente toccava a lui venire interrogato, mi offro volontaria. Dopotutto conosco bene gli argomenti, e avevo già adocchiato Marzia e Binah sul punto di dire la loro di fronte a tutti, al che ho preferito frenarle prima che mettessero in moto il "treno dell'infamia".
Mi alzo e mi avvio alla cattedra, con Luca che si bacia tre dita e le solleva e Guo che comincia a fischiare il soundtrack di Hunger Games.

Ne esco vincitrice con un soddisfacente 8, e alla fine dell'ora successiva, a scienze, il professor Rossini consegna i compiti della settimana precedente.
Ho preso... 10!
«Molto brava, Gherardi» si complimenta l'insegnante.
«Accidentaccio!» fischia Roo, sbirciando il mio compito. «Come cavolo hai fatto?!»
«Ehm...» Scoppio a ridere. «Non lo so.»
«Ma va'!» borbotta Luca, alzandosi per venire a spiare il mio foglio. «10! 10 in chimica! Possibile? Qui al linguistico?!»

«Quanto ha pleso Malzia?» sussurra Guo, affamato di vittime.
Io però mi giro a lanciargli un'occhiataccia. «Non stuzzicarla, non mi va proprio.»
«Uh, però è proprio una bellissima domanda!» urla Nadia con dispetto.
Roo tira una matita centrandola sulla fronte, vicinissima al rischio di ficcargliela in un occhio, e la mette finalmente a tacere.
Ai primi banchi, Marzia sta stropicciando il suo compito... su cui comunque è segnato un 9 e mezzo!
Quante storie!

La campanella suona, e mentre la maggior parte della classe si alza per uscire a prendere un po' d'aria fresca, il professor Rossini fa cenno ad Alberto e a Claudio di avvicinarsi alla cattedra.
A loro non è stato consegnato il compito.
Io invece comincio a mangiare il muffin al cioccolato fondente che mi sono portata da casa, ascoltando Roberta che borbotta invidiosa del mio 10. Lei ha preso 6 e mezzo.

Le mie prese un giro vengono presto interrotte dall'urlo esasperato di Alberto: «NO! NO! PROFESSORE, NON È GIUSTO!»
Ci voltiamo tutti a guardarli, anche chi è uscito si affaccia per assistere alla scenata.
Il nostro capoclasse ha gli occhi fuori dalle orbite, sembra impazzito di rabbia, rivolta tutta contro Claudio. Questi è molto più grosso, ma Alberto non ne sembra affatto intimorito e gli pungola il petto con l'indice. «Confessa di aver copiato! DILLO! VUOI FARMI FINIRE NEI CASINI?»

«Rovai, io non metto in dubbio che Righini abbia copiato» lo richiama burbero il professore. «Però non posso essere certo che tu ti sia astenuto dal suggerirgli. Avete gli stessi identici errori, le stesse identiche parole alle domande aperte.»
Alberto lo guarda scandalizzato. «Professore, ricorda cos'è successo quella mattina?! Tutta quella scenata! Ha fatto il compito in neanche mezz'ora, e solo perché costretto! Lei neanche stava guardando, chiacchierava con la supplente!» strilla come indemoniato.
Non l'ho mai visto rispondere tanto male a un insegnante...

Il Rossini non si scompone, sebbene i suoi occhi brillino di un silenzioso avvertimento. «Rovai, ripeto, io non posso essere certo che tu non abbia lasciato copiare Righini.»
«ALLORA LA PROSSIMA VOLTA STIA PIÙ ATTENTO! QUINDI CHE COSA FARÀ? MI DARÀ UN 2?!»
Il Rossini abbatte il palmo sulla cattedra, facendolo azzittire e rimettere in riga con un sussulto violento. «No» risponde piano, i denti digrignati dall'indignazione. «Farò fare una seconda volta il compito a entrambi, e vi terrò d'occhio.»

«Non è affatto giusto» mormora Roberta. «Claudio non ci considera mai, e non ha mai chiesto aiuto durante i compiti in classe.»
Ha ragione.
Però, a differenza di Marzia, Alberto è sempre stato disposto a suggerire pur di aiutare i compagni in difficoltà.
Ciononostante, Claudio non ha mai chiesto aiuto a nessuno, sebbene i brutti voti, e non mi pare di averlo mai visto parlare decentemente con qualcuno di noi.

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