23-ERIN

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Avevo fatto centro, ne ero consapevole, ma qualcuno doveva pure spiegargli quanto fosse importante Jay per la squadra e per me; se non ci fosse stato lui probabilmente non sarei uscita dall'oblio in cui ero caduta.

Ero ancora in videochiamata con Jessie quando due braccia possenti, che conoscevo, mi cinsero la vita da dietro. Sorrisi e Jay mi baciò una guancia salutando poi la ragazzina dall'altra parte dello schermo che ci osservava sognante <Ehi piccoletta pronta ad avermi tra i piedi più spesso?> domandò rivolto allo schermo, mentre il suo respiro solleticava la pelle del collo scoperta. Jessie roteò gli occhi prima di controbattere che, se Jay avesse smesso di chiamarla piccoletta, lei avrebbe potuto tollerare la sua presenza; ridemmo entrambi perché questo era il loro modo di dimostrarsi affetto <Okay potrei pensarci, piccoletta> Lei si coprì il volto con una mano disperata e disapprovò con la testa.

<Ci vediamo domani mattina> la salutai prima di riattaccare e rientrare al caldo. Se continuavano così le temperature, presto sarebbe arrivata la neve e con essa il Natale; non vedevo l'ora.
Rientrati, i genitori e gli zii si scusarono per il comportamento che avevano tenuto nei confronti del figlio e la madre, per farsi perdonare, chiese al figlio che cosa voleva che facessero; lui di risposta li abbracciò e poi ridemmo tutti perché Giovanni affermò innocentemente che ero bellissima e che mi voleva sposare.

Quella notte nel suo appartamento più che fare l'amore, trascorremmo il tempo a parlare e baciarci. Fu proprio tra un bacio e l'altro che scoprii il motivo dell'arruolamento, tanto che gli scese qualche lacrima che mi fece capire quanto fosse legato allo zio.

8 mesi dopo

Luglio era sempre Luglio, sia che lo avessimo passato a Chicago sia qui a Senigallia dove con alcuni colleghi della squadra (Upton, Burgess, Ruzek, Halstead, Atwater e Jessie), avevamo deciso di trascorrere un paio di settimane. Era il mese che sopportavo di meno perché era quello più caldo e quello che mi ricordava di più i miei genitori poiché morti in questo periodo; la meta era stata scelta da Jay perché, dopo che le cugine se n'erano andate, aveva promesso che avrebbe fatto visita alla famiglia materna, ma alla fine aveva aperto l'invito a tutti in quanto ognuno aveva bisogno di staccare un po'. Ruzek e Kim Burgess avevano reso la loro storia pubblica, informando il sergente che l'accettò senza problemi perciò anche io e Jay valutammo questa opzione, però, dopo un'attenta analisi, optammo per tenerla ancora segreta. Ci avrebbe uccisi, ne ero più che certa.
Dovevo ammettere che non era stato affatto facile tenerla nascosta per così tanto tempo perché iniziavo a sospettare che Voight avesse intuito qualcosa, ma c'era sempre una scusa pronta: Jessie che voleva stare con Jay oppure passava sotto casa o ancora che ci eravamo incontrati per caso a fare jogging. Jessie lentamente stava superando la morte dei genitori e lo stesso stavano facendo i nonni, che continuavano a vederla periodicamente; da quel giorno non aveva avuto più crisi di quell'entità, però agli anniversari mensili si chiudeva in se stessa e non spiccicava parola; d'altro canto io non interagivo con il mondo per giorni. Infine, per quanto riguarda i rapporti fra me e Upton, ci stavamo avvicinando come aveva preannunciato Jay.

<Per le prossime due settimane guai a chi parla di lavoro, ora solo relax> ci ammonì Hailey stendendosi sul lettino dei bagni 41, dove avevano preso gli ombrelloni le cugine di Jay con alcuni amici e amiche e dove ci avevano riservato due ombrelloni. Ieri sera eravamo atterrati all'aeroporto di Falconara diretti poi a Senigallia; alloggiavamo all'Hotel Cristallo, un hotel sul lungomare che si affacciava sulla Rotonda. Avevamo prenotato due stanze: in una ci sistemammo noi ragazze, nell'altra i tre uomini nonostante Jay avesse alloggio gratis a casa della famiglia. Le stanze erano una affianco all'altra e davano entrambe sul mare che era spettacolare, soprattutto alla mattina.

Come già detto noi andavamo ai bagni 41 nonostante ce ne fossero molti davanti all'hotel, ma, secondo il mio ragazzo erano troppo confusionari perché erano tutti ragazzini di qualche anno più grandi di Jessie; qui avevamo preso due ombrelloni con due lettini e uno sdraio ciascuno. Benché fossero appena le dieci il sole scottava già e io ero l'unica a stare nello sdraio all'ombra poiché non mi sentivo al massimo delle forze: avevo un po' di nausea e mi sentivo spossata, ma probabilmente era colpa del fuso orario. <Stasera prenotiamo in un locale?> propose Atwater che in quel momento era seduto sulla sabbia.

<Sì, va bene "Qubetti"?> seguitò Jay e noi annuimmo. Quest'ultimo mi guardò da sopra gli occhiali per capire se stessi bene e io feci un impercettibile segno con la testa per rassicurarlo; non capivo se mi credesse o meno, ma non affrontò più il problema dal momento che poco più tardi ci recammo in acqua dove mi sentii meglio. Jessie cominciò a schizzare Jay, poi passò a me e alla fine toccò anche ai piccioncini che si erano allontanati un pochino da noi per avere qualche istante di privacy.

If I Told You that I Love YouDove le storie prendono vita. Scoprilo ora