7-ERIN

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Uscita dall'ospedale, io e Voight tornammo al distretto dove avremmo parlato della situazione e delle regole che avrei dovuto seguire, tra le quali potevamo ricordare esame delle urine ogni lunedì per i due mesi successivi, un mese a casa con loro, sedute con uno psicologo e infine non avrei lavorato con Halstead per un altro mese. Forse l'ultima era quella più difficile da seguire, ma ci avrei provato comunque.

Quando entrai a casa di Hank era già ora di cena, per cui Camille aveva già apparecchiato la tavola e James si era seduto al tavolo, ma corse ad abbracciarmi appena mi vide; Justin era un medico e lavorava a Detroit e tornava a casa una volta ogni due settimane, mentre Caroline era un'avvocatessa presso uno studio legale a New York e di conseguenza la vedevamo più di rado, una volta al mese circa.

<Cosa c'è per cena, amore?> domandò Hank addentando affamato una fetta di pane.

<Insalata e carne. Com'è andata la giornata?> rispose con un sorriso Camille aprendo la domanda a tutti e tre. La donna lavorava come infermiera di neonatologia al Med per cui spesso lavorava di notte, ma da quando io e James eravamo entrati a far parte di questa famiglia, aveva sempre cercato insieme al marito di non lasciarci soli.

<Tutto bene, anche se l'allenamento di oggi è stato tosto> si intromise James iniziando a servirsi l'insalata

<Abbiamo finalmente liberato Halstead> seguitò il sergente con un sospiro soddisfatto. Nel mentre Camille mi aveva servito un po'di insalata e una fettina di carne che, però, guardai soltanto perché mi si era chiuso nuovamente lo stomaco. Scusandomi salii al piano superiore dove si trovavano le camere ed entrai in quella che mi aveva ospitato per cinque anni; era rimasto tutto uguale come lo avevo lasciato l'ultima volta in cui ci avevo dormito, cioè cinque anni fa, nonostante ciò sapeva di pulito, probabilmente Camille l'aveva pulita di recente. Mi guardai attorno e lo sguardo mi cadde sulla parete tappezzata di fotografie dietro la testata del letto; erano circa una cinquantina e ognuna di esse mi ritraeva con un'amica o con tutto il gruppo composto da sei persone, compresa me. Di loro solo due, Michelle e Natalie, erano rimaste a Chicago dove studiavano entrambe medicina; Margaret si era trasferita a Miami perché la filiale del padre aveva cambiato sede; Nicole era entrata a far parte del corpo dei Navy Seal e infine Charlotte si era laureata da poco alla UCLA in Arti e in Architettura a Los Angeles.

Quando James entrò, sobbalzai perché ero ancora immersa nei pensieri.

<Posso parlarti?> chiese fermo sulla soglia. Gli feci cenno di sì e lo invitai ad entrare <Non volevo entrare dalla porta principale al distretto, ma tu te ne eri andata e papà mi aveva ordinato di andare a scuola. Avevo provato a vedere se fosse aperto sul retro, ma...>

<Va bene, Jamie. Ti perdono, però ho bisogno di sapere una cosa: lo hai mai chiamato "papà" mentre eri lì?>

<Assolutamente no.> rispose fermamente. Lo invitai ad abbracciarmi prima di farlo andare a dormire perché era tardi e domani avrebbe avuto una partita importante.

Avendo passato la notte interamente in bianco, alle cinque decisi di andare a correre per riuscire a scaricare la tensione che si era accumulata e per affrontare al meglio la seduta con lo psicologo fissata da Hank per il pomeriggio. Io non lo avrei fatto di sicuro, mi conosceva troppo bene.

Al mio ritorno Camille mi aveva fatto trovare il baco croccante con le gocce di cioccolato dentro una ciotola e una tazza di caffè fumante affianco. <La tua colazione preferita> aggiunse poi baciandomi la testa. A quel punto era impossibile non mangiare e cinque minuti dopo avevo già spazzolato tutto.

Al distretto i colleghi vollero i colleghi vollero immortalare la coppia di infortunati e, vedendo sorridere tutti, mi sembrava scortese non ricambiare. Ma quell'attimo durò così poco che non sembrava reale tanto che mi si strinse lo stomaco e mi venne da vomitare. Il pomeriggio arrivò troppo presto e con esso anche lo psicologo che si accomodò nell'ufficio del sergente.

<Dottor Charles> lo salutai sedendomi in una delle poltrone all'interno.

<Ciao Erin, sai perché sono qui?> iniziò e io annuii. Mi credeva forse stupida?

<Bene, allora raccontami qualcosa> rimasi a fissarlo senza proferire parola.

<che cosa dovrei dire?> chiesi dopo qualche minuto.

<Come ti senti, cosa pensi in questo momento oppure tutto ciò che ti passa per la testa>

<Sto bene> mi limitai a rispondere. Non era affatto vero e probabilmente lo sapeva anche lui, ma secondo la sua filosofia (ci aveva aiutato con un caso) era il paziente a dover ammettere il problema.

<Perfetto> chiuse la cartellina e la ripose nella valigetta <Per oggi abbiamo finito, ci vediamo la settimana prossima> concluse. Si alzò e quando fu sul punto di scendere le scale, lo richiamai.

<e se ne avessi bisogno prima?> domandai incerta dondolandomi sui talloni

<hai detto che stai bene, perché ne dovresti avere bisogno?>

<Infatti non ne ho bisogno, era per dire>

<Puoi chiamarmi a qualsiasi ora> detto ciò scomparì in fondo alle scale. Entrai nella sala relax dove trovai Jay intento a sorseggiare un caffè, mi sedetti anche io nel tavolo e rimanemmo a parlare un po' fino a quando non furono tornati i nostri colleghi.

Una settimana era passata dalla prima seduta con lo psicologo e oggi ne avrei avuta un'altra, ma decisi di spostarla quando Hank avvisò me e mio fratello che Caroline sarebbe arrivata in giornata e che sarebbe rimasta in città per una settimana. Per questa ragione quel giorno andai al lavoro felice, un sentimento che non avevo più provato dalla morte di Rocky; inoltre per la prima volta dopo due settimane, oggi, sarei potuta tornare sul campo almeno per quanto concerne il sopralluogo nelle scene del crimine.

Ultimamente dormivo poco di più ma comunque troppo poco affinché il caffè potesse darmi la carica giusta, ma d'altronde preferivo essere stanca morta che rivivere ogni istante di quel dannato giorno.

Alle undici circa la Platt ci informò di una visita e Voight, una volta sceso al piano inferiore, tornò seguito da una ragazza, che conoscevo fin troppo bene. <Ragazzi lei è mia figlia Caroline. Si fermerà in città per due settimane e oggi starà con noi fino alla fine del turno. Per cui non comportatevi da zoticoni> ci ammonì, ma io scoppiai a ridere come una matta lasciando perplessi tutti. I lineamenti dei volti del sergente e di Jay, soprattutto, ma in generale di tutta la squadra, si distesero lasciando posto a un sospiro di sollievo e ad un sorriso. Questo momento di felicità durò poco, cioè fin quando non ci avvisarono di una bomba esplosa davanti a una scuola media che era frequentata dal figlio piccolo di Dawson.

Chi diamine faceva esplodere una bomba davanti ad una scuola?

If I Told You that I Love YouDove le storie prendono vita. Scoprilo ora