6-JAY

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Tornato a Chicago ero furibondo.

Avevo sprecato solo tempo oppure la mia visita era servita a qualcosa?

Avevo notato lo sguardo che aveva avuto quando quella ragazza era caduta a terra in overdose, aveva una voglia di aiutare, ma c'era qualcosa che la fermava e io forse sapevo anche cosa era: paura. La paura era una brutta bestia, ti logorava lentamente fino a quando non prendeva il sopravvento e a quel punto era difficile da debellare. Io stesso l'avevo provata sulla mia pelle quando, durante un raid notturno in Afghanistan, tutta la mia squadra era saltata in aria; oltre a me si era salvato solo Mouse: io, tornato in patria, ero riuscito a superare il trauma grazie al dialogo con i miei amici, lui, al contrario, aveva trovato la salvezza nella droga.

Ero talmente furibondo che non ci pensai due volte ad andare sotto copertura per togliere una volta per tutte la droga con il drago infuocato, ma qualcosa era andato storto e mi rapirono. Non so per quanto tempo mi torturarono, ma di una cosa ero certo: sentii dolore finchè non arrivò Erin, la sua presenza mi aveva ridato quel briciolo di energia che bastava per aiutarla a liberarci.

Al Med di Will non c'era traccia, probabilmente non era di turno e ne fui felice perché non avrei retto una discussione con lui in questo momento. Il dottor Choi insieme all'infermiera April mi misero dei punti al labbro e al taglio che avevo sull'addome, poi mi avrebbero mandato in radiologia per assicurarsi che non avessi costole rotte. Però prima parlai con Erin alla quale si era aperta la ferita sulla spalla. Non aveva il coraggio di entrare e non so se fu un bene o un male, ma dovevo comunque scoprire se era tornata definitivamente.

<Ti sanguina la spalla>

<Lo so>

<Sei di nuovo dei nostri?>

<Penso proprio di sì, ma ne parlerò meglio dopo al distretto con Voight anche perché mi ha avvisato che dovrò seguire delle regole ben precise> emisi un sospiro di sollievo e poi sorrisi. Ero contento, molto.

<So che non sono affari miei, ma al distretto girano delle voci sulla tua parentela con Voight, soprattutto da quando...> mi fermai. Dovevo continuare o lasciare perdere, ma lei mi chiese di proseguire <Da quando, beh, tuo fratello è venuto al distretto il giorno dopo che te ne eri andata>

<Nessuna> si affrettò a rispondere per poi andare a farsi medicare.

Per quel giorno non la vidi più e i raggi non mostrarono niente di rotto per cui potei tornare a casa. Quando fui sotto al mio appartamento, salutai Antonio e trovai davanti al portone mio fratello. Non appena mi vide iniziò a inveirmi contro, ma sapevo che a parlare era la paura di perdermi poiché era già accaduto; non avevo voglia di litigare né tantomeno di ascoltarlo così gli proposi una birra su a casa. Acconsentì ma sapevo anche che il giorno dopo avrei dovuto affrontare i miei genitori dal momento che loro, più di chiunque altro in famiglia, non avevano mai accettato le mie scelte lavorative.

Quando finalmente si calmò e andò via, mi addormentai profondamente sulla poltrona.

Il telefono suonò ma ero talmente stanco che lo spensi con una mano per dormire altri dieci minuti, ma ricominciò a provocare quel rumore assordante. Ci rinunciai e mi alzai dalla poltrona con un torcicollo pazzesco che si andava a sommare al dolore dei lividi. Alla terza volta, decisi che era il momento di rispondere.

<Quando pensavi di informarci del tuo rapimento?> la voce preoccupata di mamma acutizzò il mal di testa.

<Sono stati giorni difficili sotto tutti gli aspetti, mamma, e poi non vi volevo rovinare la vacanza> mi giustificai.

<Jay lo sai che sei più importante tu che la vacanza in Italia...> proseguì. Mamma e papà erano in Italia non tanto per fare una vacanza nel pieno termine, ma per trovare tutti i miei parenti materni.

<Sì, okay. Ora devo andare. Ciao ma', saluta papà> tagliai corto. Non avevo voglia di ascoltare la solita ramanzina e dovevo prendere assolutamente un antidolorifico se volevo combinare qualcosa durante la giornata.

Nonostante sapessi che il sergente mi avrebbe tenuto in panchina per un paio di giorni, andai comunque al distretto perché sapevo che se fossi rimasto a casa non avrei avuto scuse qualora Will fosse tornato a trovarmi.

<Ehi, guardate chi c'è!> esclamò Atwater venendomi incontro battendo il cinque; fu seguito da Ruzek che mi abbracciò, ma fui costretto ad allontanarmi per il mio addome dolorante.

<Bene, la vecchia coppia è tornata> annunciò Antonio scherzosamente <Questa volta però di infortunati> ridemmo tutti e parlammo del più e del meno nell'attesa del sergente che non tardò ad arrivare accompagnato da Lindsay in tuta da ginnastica. Teneva il braccio sinistro, quello ferito, piegato e aveva una faccia stanca e sconvolta; ero sicuro al cento per cento che se io avevo dormito come un ghiro, lei non aveva chiuso occhio.

<Perfetto, mettetevi vicini> affermò Ruzek riferito a me e Lindsay estraendo il cellulare <Serve una foto> sorridemmo tutti <Ma quanto siete belli tutti rotti> incarnò la dose Dawson; a quel punto scoppiai a ridere, mentre la ragazza al mio fianco si allontanò per sedersi alla scrivania.

If I Told You that I Love YouDove le storie prendono vita. Scoprilo ora