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«Te ne stai zitto zitto, ma non è dato sapere su che rimugini, piccolo Kleim», osservò Herbert Klodtz guardando la strada sinuosa verso Dulchdorf da dietro lo specchio delle lenti, oltre il parabrezza della Kadett. Hansi avrebbe giurato che dormisse oramai. Ma si sbagliava, a quanto pare...

«E dire che secondo me ci sono un sacco di cose che vorresti chiedermi».

«Sì ce ne sono veramente ma non so se...»

«Avanti, spara allora!»

«Ecco... come mai uno come te viaggia in treno, in classe turistica?»

«Aaaah, era questo a tormentarti? Beh, è semplice: è tutta colpa degli italiani. Quella loro polizia col pennacchio, come si chiamano già?... I Carabinieri?!... Loro! M'hanno fermato una volta nei pressi di Ventimiglia... Sì: un posto sul confine insomma, che io ero lanciato circa ai duecento verso Montecarlo. Farai fatica a crederlo ma non ci sono state ragioni. Si sono presi l'auto, la mia patente. Via per due mesi e oplà!» Sorrise a mezza bocca incrociando le braccia sopra la cintura di sicurezza.

«Vatti a fidare di questi mandolini mangiapasta cuore di pizza».

«Così sei a piedi. Voglio dire, niente autista o roba del genere?»

«Ehi dico, ma mi hai preso per un emiro? O per un calciatore forse? Quanto sei ingenuo Hans».

«E Poney?»

«Ah, lei al volante si crede il Settimo Cavalleggeri: sempre alla carica! Ed io ci tengo alla pelle, ancora per un po'...», rifletté. «Però sai Hans, quando giù in Italia mi sono trovato ad arrangiarmi con mezzi di fortuna, a piedi sulla strada, è stato persino... Interessante. Sì. M'ha preso un'eccitazione come da tempo non... Io già lo sapevo che dovevo venire qui e allora mi sono detto: faccio come la gente comune, nella media insomma. Questa è la mia città natale, ci sono tornato tante volte con l'elicottero, con la fuoriserie. Ma questa volta ci torno da semplice turista. Così. Tanto per cambiare».

«Hm. Dev'essere stata una bella svolta per te».

«Sento dell'ironia nella tua voce, piccolo Kleim?»

«Ma figurati. E il motivo?»

«Che motivo?»

«Della rimpatriata».

«Aaah, quello. Ho un appuntamento questa mattina, su a Dulchdorf».

«Un appuntamento? Di domenica? E con chi se posso?»

«Con un notaio! Anzi, per dir meglio, con quello che prima era un notaio ed ora è diventato una notaia: Olga Munsen».

«Porca miseria, Olga Munsen hai detto?»

«Perché, la conosci per caso?»

«Ma certo e anche tu. Non ti sovviene nulla, per esempio, al suono della parola "boa"?»

Sì, perché ai tempi della scuola, quando Herbert stava ancora nella classe di Dieter Kleim, nella stessa s'annoverava anche Olga Munsen, loro coetanea. Girava voce che quando Klodtz e la sua cricca di cervelloni ingannavano l'ora di fisica disegnando battaglie navali, ogni tanto sistemavano sulla griglia un cerchietto bello tondo: una "boa" per così dire. Per cui, tra una chiamata e l'altra: "A3"- "B6"- "H8", capitava di sentirsi arrivare per risposta: [Corpodibacco! Mi hai sgonfiato la Munsen!].

«Olga "culodiboa"?» Herbert Klodtz balzò sul sedile. «Ecco dove l'avevo già sentito questo cavolo di nome. E mi pareva infatti».

«Olga era molto intelligente, sai? Un cervello così. Lo dice sempre anche mio fratello Dieter che...»

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