8. MANI SPORCHE

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Penso che sia una delle giornate più brutte della mia vita. Dopo la morte dei miei genitori non avrei mai pensato di rivivere il terrore di quel giorno eppure è successo.

Quando dall'ospedale avevano chiamato Gianmarco per dirgli dell'incidente dei miei, mi accorsi, nonostante fossi abbastanza piccola, che qualcosa non andava dalla sua espressione vuota e senza emozioni.

Mi guardò con uno sguardo buio, come se gli avessero spento la luce da dentro gli occhi, e mi abbracciò. Avevo solo 10 anni e credevo che mai più nella vita avrei provato quella stessa sensazione, lontana dalla paura ma vicina alla disperazione. L'angoscia di voler urlare e spaccare il mondo perché più niente sarebbe stato lo stesso. L'ansia di voler andare via a tutti i costi. Gli occhi di Gianmarco di quella maledetta sera non mi avrebbero mai lasciata. Nemmeno per un momento, nemmeno lontanamente.

Oggi, dopo 8 anni, rivivo per la prima volta quella stessa ansia ma con la sensazione che sia troppo tardi per poter scappare. Anche in questo caso è un qualcosa di estremamente lontano dalla paura, ma più vicino alla disperazione, come se sotto di me il pavimento si stesse sgretolando piano, come se io continuassi imperterrita a camminare verso una destinazione ignota e buia, verso un sogno bruciato dalla mia realtà.

Avevo aperto il mio diario segreto, quello che avevo cominciato a scrivere otto anni fa, ma lo avevo anche chiuso. Scrivere è un'arte che ha bisogno di essere nutrita, curata e amata, non è per tutti. Rimetto tutto in ordine e lascio cadere la penna sul letto, indosso una camicetta a fiori e un jeans stretto sopra l'intimo coordinato, le scarpe da ginnastica, prendo la borsa ed esco come un automa, come se non stessi davvero pensando a quello che sto facendo, come se non fossi io, come se fosse un'altra persona.

Del resto non è Camilla ad incamminarsi verso quella camera d'albergo, è Stella il mio nemico peggiore. Quella che mi sta tradendo, che sta bruciando tutti i miei sogni e annullando ogni mio desiderio.

Sto per incontrare Michele, l'uomo potente, l'uomo importante che mi ha procurato Alberto. Qualche mese fa probabilmente ne sarei stata felice, passare quelle due ore in sua compagnia, avrebbero significato più soldi da conservare per l'università. Ora invece, mentre varco la soglia dell'hotel a cinque stelle in cui ci incontreremo mi sembra di non riconoscermi più. La hall dell'albergo è stracolma di lusso, un lusso che non ho mai visto prima d'ora, ma bisognava aspettarselo da uno con così tanti soldi.

Mi chiedo immediatamente cosa spinga un uomo così, un uomo che ha tutto nella vita, a desiderare una ragazzina di appena diciotto anni.

-Cerco la camera numero 113- mi rivolgo alla receptionist. È giovane, con non troppi anni più di me.

-Primo piano- mi dice con disprezzo.

So cosa starà pensando ma cerco di eliminare quel pensiero dalla mia testa.

Mi avvicino alla porta della camera 113, la osservo per un tempo che mi sembra infinito e mi manca il respiro, perché mai prima di questo momento avevo avuto tanti dubbi di varcare una semplice porta.

Busso alla porta due volte, prima che un uomo di mezza età venga ad aprirmi. Michele è un bell'uomo, di bella presenza, i capelli brizzolati non sono molto lunghi, ha le spalle larghe ed è tutto sommato niente male. Mi guarda dall'alto della sua statura e non dice nulla.

Con la mano mi invita a sedermi sul letto, non sembra sorpreso di vedere davanti a sé una ragazza tanto giovane.

A differenza di Tommaso.

Mi guardo intorno, osservo la camera in tutta la sua straordinaria bellezza. Appesi alle mura ci sono quadri di vario genere, una poltroncina rossa è di fronte al letto e accanto ad essa un mobiletto con sopra una bottiglia di champagne e due bicchieri.

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